Covid, nuovi vaccini in arrivo a inizio ottobre. Si pagheranno?

Tra 15 giorni arriveranno in Italia i nuovi vaccini Covid. Ad annunciarlo il ministro della Salute Schillaci, che ha chiarito la questione del costo dei vaccini

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Tra 15 giorni avremo i nuovi vaccini Covid aggiornati: con l’inizio di ottobre, le prime scorte saranno pronte nei magazzini. Ad annunciarlo il ministro della Salute Orazio Schillaci, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti. Subito dopo, dunque, se tutto va bene, potremo iniziare a vaccinarci con la nuova formula studiata ad hoc contro le nuove varianti del virus. Ma Schillaci, proseguendo, ha seminato il panico. Sulla possibilità che il vaccino anti-Covid venga offerto a tutti e gratuitamente, ha detto in una prima battuta, “ancora non ci abbiamo ragionato”.

Apriti cielo. La sola possibilità che il vaccino debba essere pagato dagli italiani, o almeno da una parte della popolazione, ha scatenato le ire delle opposizioni e dei medici. In effetti, a ben guardare, quella del ministro è parsa sin da subito una dichiarazione fuori luogo e inappropriata, considerato che il vaccino va assolutamente fatto per le persone cui è raccomandato per motivi di salute o di età, e la campagna vaccinale, da quando ha smesso di essere obbligatoria, è parecchio rallentata. Quindi immaginare che la dose si debba pure pagare, beh insomma, complica parecchio le cose.

Vaccini Covid gratis per tutti o no?

Secondo i dati del Report Vaccini anti-Covid del Ministero della Salute aggiornato all’1 settembre 2023, da inizio vaccinazioni ad oggi sono state somministrate in Italia un totale di 145.116.898 dosi. 49.561.046 persone, pari al 91,79 % della popolazione over 12, ha concluso il primo ciclo di vaccinazione (prima e seconda dose); 40.530.378, pari all’84,96 % della platea, si è sottoposto anche al booster (terza dose), ma appena 6.800.506 italiani, il 17,06 % della platea, ha fatto anche la seconda dose booster (quarta dose); alla terza dose booster (quinta dose) si sono sottoposti poi soltanto in 546.286, l’8,92 % della platea per cui era raccomandata. Numeri in rischioso calo, cui bisogna prestare attenzione.

Dopo le critiche a pioggia e lo stupore – per non dire rabbia -, Schillaci ha fatto marcia indietro dal salotto di Bruno Vespa: “Il vaccino anti-Covid aggiornato verrà offerto gratuitamente a tutti i cittadini che vogliano sottoporsi alla somministrazione” e quindi non solo a over 60, soggetti fragili, operatori sanitari e donne incinte come previsto.

Per quanto riguarda invece i più piccoli, il ministro minimizza: “Siamo molto tranquilli, stiamo lavorando con il Ministero dell’Istruzione per tranquillizzare tutti. C’è stato un allarmismo forse esagerato su questo argomento”. Eppure a richiamare l’attenzione sui bambini sono stati gli stessi presidi delle scuole italiane, preoccupati dei possibili aumenti dei contagi.

Anche i pediatri sono sul chi va là. Sette milioni di alunni sono tornati in classe questa settimana, servirebbero indicazioni più stringenti secondo Antonio D’Avino, presidente nazionale della Fimp-Federazione italiana medici pediatri. C’è da ricordare infatti che ora con le nuove regole anche da positivi si può uscire e fare la stessa vita di sempre. Questo potrebbe portare – come già sta avvenendo in queste ultime settimane a causa della variante Eris – a un ritorno prepotente del virus.

Cosa sappiamo della variante Eris

A proposito di Eris, uno studio realizzato dall’Università dell’Insubria e appena pubblicato sulla rivista European Journal of Internal Medicine rivela come mai questa variante, che in Italia è presente in almeno il 40% dei sequenziamenti, si stia diffondendo così rapidamente.

I ricercatori italiani hanno valutato l’effetto di una particolare mutazione (F456L) avvenuta a livello della proteina Spike del virus, che conferirebbe a questa variante una maggiore capacità di sfuggire alle difese anticorpali. In particolare, gli autori dello studio hanno dimostrato che questa nuova mutazione fa mantenere ad EG.5 le stesse capacità funzionali e trasmissive delle precedenti varianti Omicron che abbiamo avuto.

“La maggiore resistenza agli anticorpi e la inalterata capacità trasmissiva e di legame alle nostre cellule della variante EG.5 rispetto alle precedenti e temute varianti Omicron – commenta uno degli autori prof. Fabio Angeli – spiegherebbe l’aumento degli indicatori – numero di casi positivi, tasso di occupazione dei letti di terapia intensiva, decessi e tasso di positività ai tamponi – anche nel nostro Paese”. Parliamo di un +43,4% di casi positivi, +44,6% di decessi solo nell’ultima settimana, rispetto la precedente.

Quanto è efficace il nuovo vaccino

Tornando al vaccino, il 30 agosto il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’EMA ha raccomandato l’autorizzazione del vaccino Comirnaty, che tutti conosciamo come Pfizer, adattato contro la sottovariante Omicron XBB.1.5. Il CHMP ha tenuto conto di tutti i dati disponibili sul vaccino e le relative versioni adattate, compresi i dati di sicurezza, efficacia e immunogenicità, cioè il grado di capacità di evocare la risposta immunitaria. I nuovi dati di laboratorio mostrano una solida risposta del vaccino adattato nei confronti della variante XBB.1.5 e dei ceppi correlati del virus.

Mentre i vecchi vaccini sono da buttare – si parla di 15 milioni di dosi, c’è da capire se verranno “riciclate” per i Paesi dove mancano – il nuovo vaccino sarà utilizzato per prevenire il Covid negli adulti e nei bambini a partire dai 6 mesi di età.

In linea con le precedenti raccomandazioni dell’EMA e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), gli adulti e i bambini di età pari o superiore a 5 anni in attesa di vaccinazione devono ricevere un’unica dose, a prescindere da un eventuale precedente ciclo vaccinale anti-Covid. I bambini di età compresa tra 6 mesi e 4 anni possono ricevere 1 oppure 3 dosi, a seconda che abbiano o meno completato il ciclo di vaccinazione primaria o avuto il Covid.

Intanto, proprio ieri (14 settembre, ndr) è arrivato anche il via libera dell’Ema all’autorizzazione dell’evoluzione del vaccino Spikevax di Moderna per fronteggiare la variante di OmicronXBB.1.5. Lo ha reso noto la stessa agenzia europea per i farmaci, precisando che il nuovo vaccino potrà essere utilizzato pre prevenire gli effetti dell’infezione negli adulti e nei bambini di età superiore ai 6 anni.

Chi dovrà fare il nuovo vaccino Covid e quando

La dose di richiamo con i nuovi vaccini va effettuata a distanza di almeno 3 mesi dall’ultima dose, a prescindere dal numero di richiami già effettuati, oppure 3 mesi dall’ultima infezione Covid avuta. I nuovi vaccini verranno utilizzati anche per coloro che devono fare ancora la prima dose.

Mentre si torna anche a parlare di possibile obbligo di mascherine, sappiamo che i nuovi vaccini sono raccomandati ad alcuni soggetti in particolare, perché per loro sarebbe molto più pericoloso contrarre il virus, a fronte invece del fatto che gli effetti collaterali dell’immunizzazione sono minimi. Il Ministero della Salute ha riassunto in una circolare i soggetti per cui è raccomandato il nuovo vaccino Covid:

  • persone di età pari o superiore a 60 anni
  • ospiti delle strutture per lungodegenti
  • donne che si trovano in qualsiasi trimestre della gravidanza o nel periodo postpartum, comprese le donne in allattamento
    operatori sanitari e sociosanitari addetti all’assistenza negli ospedali, nel territorio e nelle strutture di lungodegenza, e studenti di medicina, delle professioni sanitarie che effettuano tirocini in strutture assistenziali e tutto il personale sanitario e sociosanitario in formazione
  • persone dai 6 mesi ai 59 anni di età compresi, con elevata fragilità, in quanto affette da patologie o con condizioni che aumentano il rischio di Covid grave (qui l’elenco delle malattie e situazioni ritenute a rischio). Il Ministero chiarisce che per i casi più gravi potrebbe essere necessaria, dopo valutazione medica, un’ulteriore dose di richiamo o una anticipazione dell’intervallo dall’ultima dose.

Chi farà il vaccino prima in caso di scarsità di dosi

La circolare precisa che, all’avvio della campagna vaccinale, in caso di una disponibilità di dosi insufficiente a garantire un’immediata adeguata copertura, la vaccinazione, pur rimanendo raccomandata per tutti i gruppi di persone indicate sopra, sarà somministrata prima a queste categorie di persone:

  • persone di età pari o superiore a 80 anni
  • ospiti delle strutture per lungodegenti
  • persone con elevata fragilità, con particolare riferimento ai soggetti con marcata compromissione del sistema immunitario
    operatori sanitari e addetti all’assistenza negli ospedali e nelle strutture di lungodegenza.

Perché a Bergamo ci sono stati così tanti morti: lo studio sui geni di Neanderthal

Intanto, è appena stato pubblicato uno studio che darebbe una risposta fondamentale per capire le ragioni dell’ecatombe Covid che colpì la zone di Bergamo e provincia a inizio pandemia. Tutti ricordiamo quelle tremende immagini di carri armarti che trasportavano cadaveri, perché ce n’erano troppi: i dati parlano chiaro. Secondo questo studio, fu tutta colpa dei “geni di Neanderthal”.

Chi ha questi geni, come appunto chi vive in quelle zone, rischia la forma più grave del Covid. La ricerca è stata condotta su quasi 10mila persone del Bergamasco. L’Istituto Mario Negri di Bergamo guidato da Giuseppe Remuzzi – che si è sempre distinto durante la pandemia per aver proposto un protocollo di cura estremamente efficace eppure molto diverso da quello ufficiale dell’allora ministro Speranza – ha presentato i risultati di “Origin”.

Negli ultimi due anni i ricercatori hanno analizzato la relazione fra i fattori genetici e la gravità della malattia Covid nella provincia di Bergamo, epicentro della pandemia. Ha coinvolto l’intera comunità, dove hanno aderito 9.733 persone di Bergamo e provincia che hanno compilato un questionario sulla loro storia clinica e familiare riferita al Covid. Il 92% dei partecipanti che aveva avuto il Covid si era infettato prima di maggio 2020. Tra questi, 12 persone avevano avuto sintomi già a novembre-dicembre 2019.

All’interno di questo ampio campione sono state selezionate 1.200 persone – tutte nate a Bergamo e provincia – divise in tre gruppi omogenei per caratteristiche e fattori di rischio: 400 che hanno avuto una forma grave della malattia, 400 che hanno contratto il virus in forma lieve e 400 che non l’hanno contratto.

Le persone che avevano avuto il Covid severo avevano più frequentemente parenti di primo grado morti a causa del virus rispetto ai partecipanti con Covid lieve o che non si erano infettati. Questo dato evidenzia un contributo della genetica alla gravità della malattia. I campioni di DNA sono stati analizzati mediante un DNA microarray, una tecnologia in grado di leggere centinaia di migliaia di variazioni su tutto il genoma, che ha permesso di analizzare per ogni partecipante circa 9 milioni di varianti genetiche e di rilevare la regione del DNA responsabile delle diverse manifestazioni della malattia.

Lo studio, pubblicato sulla rivista iScience, dimostra quindi che una certa regione del genoma umano si associava in modo significativo col rischio di ammalarsi di Covid e di ammalarsi in forma grave nei residenti in quelle aree più colpite dalla pandemia.

“La cosa sensazionale – commenta Remuzzi – è che 3 dei 6 geni che si associano a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal, in particolare dal genoma di Vindija che risale a 50 mila anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa. Le vittime del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono forse 1 milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”.

“I risultati dello studio Origin – spiega Marina Noris, Responsabile del Centro di Genomica umana dell’Istituto Mario Negri – dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo”.