Navi russe a Cuba e nel Mar Rosso, cosa ci fa Mosca a l’Avana e in Sudan?

La Russia moltiplica la pressione sugli Usa anche lontano dall'Ucraina. A Cuba arrivano tre navi militari e un sottomarino a propulsione nucleare, in Sudan si lavora a una base di Mosca proprio nel mezzo delle rotte del Mar Rosso

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Perché vi state preoccupando tutti? Cosa avremmo mai fatto di così inquietante? È stata più o meno questa la reazione del Cremlino dopo che mezzo mondo ha visto con timore l’arrivo di navi russe a Cuba e in Sudan, nel Mar Rosso. Nessun intento offensivo, pare, ma solo di sfoggio di potenza in faccia agli Usa.

La riunione del G7 in Puglia ha accelerato le macchine della propaganda e le tattiche delle grandi potenze, con Mosca che cerca ancora una volta di moltiplicare il fronte di confronto con gli Stati Uniti, evitando di concentrare l’attenzione sulla sola Ucraina. Se da un lato non si tratta di novità o pretesti di scontro, dall’altro la doppia mossa di Putin è fortemente scenografica. Come scenografica è stata la risposta americana, che ha fatto sfrecciare jet ed elicotteri militari sulle spiagge di Miami, ripresi dai video dei bagnanti. Sotto la patina c’è però anche qualcosa di più serio?

Navi e un sottomarino nucleare di Mosca a Cuba

Applausi festanti e accoglienza in pompa magna: così Cuba ha dato il benvenuto alla flottiglia russa giunta giovedì nel porto dell’Avana. Si tratta di tre navi militari: il rimorchiatore di salvataggio russo Nikolai Chiker, la fregata missilistica Gorshkov e la nave cisterna Pashin. A questi si aggiunge il vero pezzo da 90: il sottomarino a propulsione nucleare “Kazan”. Propulsione, non armi, come sottolineato dalle autorità cubane. Stazioneranno tutti nell’area caraibica fino al 17 giugno, per partecipare a esercitazioni congiunte che coinvolgeranno anche imbarcazioni di supporto. Scortata da piccole navi nel passaggio nello stretto canale della Baia dell’Avana, la fregata ammiraglia, adornata con le bandiere russa e cubana, è stata accolta da 21 colpi di cannone. Marinai in alta uniforme stavano in formazione militare mentre si avvicinavano all’isola. “Le esercitazioni militari sono una pratica normale per tutti gli stati, soprattutto per una potenza marittima così grande come la Federazione Russa”, ha spiegato con la consueta retorica il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Le autorità cubane affermano che la sua presenza “non rappresenta minacce” per la regione caraibica. I piani dei marinai russi prevedono “incontri con il comando della Marina cubana e il governatore dell’Avana, visitando luoghi storici e culturali”, oltre alla possibilità di fermarsi nell’altro alleato Venezuela dopo il 17 giugno.

L’obiettivo principale di Mosca è quello di mettere pressione agli Usa nel loro cortile di casa, nel proprio estero vicino a due passi dalla Florida. Una condizione invalidante per l’immagine dell’egemone globale, come ci ricorda la Crisi dei Missili del 1962. La Russia è un alleato di lunga data del Venezuela e di Cuba, e le sue navi da guerra e i suoi aerei hanno periodicamente fatto incursioni nei Caraibi. Ma questa missione arriva meno di due settimane dopo l’autorizzazione concessa da Joe Biden all’Ucraina per utilizzare le armi fornite dagli Stati Uniti per colpire direttamente in territorio russo. La mossa americana ha innescato la reazione di Vladimir Putin, il quale ha suggerito “risposte asimmetriche” lontano dall’Ucraina. Come sottolineato anche da Benjamin Gedan, direttore del Programma America Latina presso il think tank americano Wilson Center, la mossa di Mosca “ricorda inoltre agli amici della Russia nella regione, soprattutto alle anti-Usa Cuba e Venezuela, che il Cremlino è dalla loro parte”.

Perché la Russia è sbarcata all’Avana

Le navi russe hanno attraccato più volte nel porto dell’Avana negli ultimi trent’anni, dopo il crollo dell’Urss. Nel 2015, una nave da ricognizione e da comunicazione arrivò senza preavviso a Cuba, proprio il giorno prima dell’inizio dei colloqui sulla riapertura delle relazioni diplomatiche con gli Usa. Si tratta dunque di visite “di routine”, che però si intensificano e si fanno più scenografiche in concomitanza con l’inasprimento di tensioni e dossier che coinvolgono Mosca e Washington. Le esercitazioni militari seguono la stessa linea, e infatti sono aumentate a causa del sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina e delle attività della Nato in Europa. Mentre la flottiglia russa arrivava a l’Avana, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov accoglieva il suo omologo cubano, Bruno Rodríguez, a Mosca. Nella dottrina militare e di difesa della Russia, l’America Latina e i Caraibi ricoprono una posizione di primo piano.

La presenza russa in un’area considerata sotto l’influenza degli Stati Uniti funge appunto da contrappeso alle attività americane in Europa. Anche se si tratta sostanzialmente di una provocazione, Putin invia un messaggio sulla capacità della Russia di proiettare la propria potenza nell’emisfero occidentale con l’aiuto dei suoi alleati. La stabilità della regione potrebbe essere ulteriormente minacciata anche dall’utilizzo strumentale che il Venezuela potrebbe fare della presenza navale russa. Potrebbe infatti tramutarsi in un’opportunità per sostenere la candidatura del presidente Nicolás Maduro per un terzo mandato nelle elezioni del 28 luglio, contrastando la veemente opposizione locale e facendo esplodere le tensioni latenti con la Guyana per il territorio dell’Esequibo.

La reazione degli Stati Uniti

Quella di Mosca è stata interpretata dagli Usa per quella che è: una dimostrazione di forza in un momento storico di crescenti tensioni con la Russia. La navigazione del gruppo navale di Mosca è stato seguito da vicino lungo il tragitto da unità statunitensi e canadesi. Subito dopo gli Usa hanno mobilitato un sottomarino nella Baia di Guantanamo: l’Uss Helena, un sottomarino da attacco rapido a propulsione nucleare, escludendo tuttavia che il suo trasferimento nell’area risponda a una minaccia dovuta alla presenza di navi del Cremlino. “Non è una sorpresa, li abbiamo già visti effettuare questo tipo di scali portuali. Naturalmente li prendiamo sul serio, ma questi esercizi non sono una minaccia per gli Stati Uniti”, ha detto la portavoce del Pentagono, Sabrina Singh.

Sebbene la flotta russa includa un sottomarino a propulsione nucleare, un alto funzionario dell’amministrazione Biden ha infatti osservato che nessuna di quelle navi trasporta armi nucleari. Parlando in condizione di anonimato per fornire dettagli che non erano stati annunciati pubblicamente, il funzionario ha confermato che gli schieramenti della Russia “non rappresentano una minaccia diretta per gli Stati Uniti”. In precedenza altri esponenti degli apparati Usa avevano annunciato che le imbarcazioni russe sarebbero rimaste nella regione per tutta l’estate.

Una base russa in Sudan: Mosca di traverso nelle rotte del Mar Rosso

Un’altra area dove la Russia è già presente e molto attiva è il Medio Oriente, dalla Siria al Mediterraneo e al Mar Rosso. Qui minaccia gli equilibri della globalizzazione a guida Usa e delle rotte marittime tramite un accordo annunciato col Sudan. In cambio della fornitura di armi e munizioni – giudicate “urgenti” per la leadership militare del Paese invischiato in un’apocalittica guerra civile tra le Forze armate regolari e la Forza di Intervento Rapido (Rsf) guidata dal generale Dagalo – Mosca potrà posizionare almeno 300 militari e quattro navi da guerra nel porto strategico di Port Sudan. Uno snodo fondamentale anche dal punto di vista petrolifero. Ma soprattutto una finestra sul tratto di mare più importante per il commercio mondiale, dal Canale di Suez allo Stretto di Bab el-Mandeb, già messo in crisi dalle azioni belliche degli Houthi. L’annuncio dell’intesa c’era stato già il 25 maggio, ad opera del vice comandante delle Forze armante sudanesi Yasser Al Atta.

La mossa russa non arriva dunque a sorpresa, per via dell’alleanza pluriennale col Sudan, anche se fino a qualche mese fa molti avrebbero scommesso che Mosca si sarebbe schierata con i militari ribelli (accusati di crimini di guerra e pulizia etnica). Invece è arrivato l’accordo con Khartoum, che durerà ben 25 anni e che segnerà una nuova era di cooperazione strategica fra i due Paesi. Anche in campo energetico e nucleare. Rompendo ancora di più le scatole agli stanchi Usa in un’area tra le più importanti del pianeta e serrandosi sempre più al fianco dell’Iran, che ha aumentato il suo ruolo nel conflitto sudanese. L’esercito governativo è infatti riuscito a riconquistare diverse zone di Khartoum grazie all’uso dei droni iraniani e alla cooperazione con Teheran in ambito militare. Nelle prossime settimane una delegazione militare sudanese si recherà in Russia per concludere l’accordo, seguita da un’altra di stampo ministeriale per definire varie intese economiche e commerciali. Il Sudan, tra le altre cose, è ricco anche di risorse minerarie come mica, alluminio, uranio e soprattutto oro.

C’è però anche da dire che l’accordo è stato a lungo inseguito dai due Paesi e messo in crisi da ostacoli e pareri contrari. Il Sudan “ora non rinuncia ai suoi obblighi di costruire una base della Marina russa nel Mar Rosso. Il progetto sarà realizzato”, ha però annunciato l’ambasciatore sudanese a Mosca, Mohammed Sirraj. C’è da dire anche un’altra cosa: nonostante la grande pubblicità sull’accordo con il governo sudanese, la Russia continua a collaborare anche con la fazione ribelle per il controllo delle risorse minerarie e dei traffici socio-economici del Paese, dove il Gruppo Wagner è attivo e radicato da tempo. Mosca conferma insomma il suo approccio ambiguo nei teatri di guerra e scontro in Africa, al fine di aumentare la propria influenza.

Il risiko del Sudan coinvolge anche altri attori con interessi spesso contrari a quelli russi, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Entrambi hanno come obiettivo strategico la stabilità del Paese africano e di conseguenza del triangolo che congiunge Oceano Indiano-Mar Rosso-Mediterraneo. Per questo motivo hanno garantito supporto finanziario al governo e alle Fas. Anche l’Egitto entra nel gioco, sostenendo anch’esso le Fas per la sicurezza delle risorse idriche del Nilo. Senza dimenticare la Cina, onnipresente con investimenti e infrastrutture in gran parte del Continente. E gli Usa, che operano anche in Africa orientale per contrastare le spinte anti-occidentali innescate da Mosca e Pechino.