La storia della “flotta fantasma” russa nel Mediterraneo: perché non è una notizia

La Russia utilizza "navi ombra" per il trasporto illegale di petrolio e armi, deviando però dalla consueta rotta Mar Nero-Siria. Ora il viaggio passa davanti alla Sicilia e sale fino al Baltico

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Poche cose sono note come il fatto che la Russia invii e faccia pascolare le sue navi nel Mediterraneo. Eppure di tanto in tanto questa tattica consueta diventa una notizia da prima pagina, con tanto di titoli sulla “flotta fantasma”. Forse su questo punto ci abbiamo azzeccato: quello di Mosca è davvero un gruppo di imbarcazioni “invisibili” (o come se lo fossero). Sarà forse per questo che sovente ci dimentichiamo di averle viste.

La novità semmai sta nella rotta. Le navi ombra russe trasportano petrolio e armi, partendo dal porto di Tartus in Siria e circumnavigando di fatto l’Europa per portare munizioni e mezzi a Kaliningrad e, da lì, al fronte di guerra ucraino. Il greggio viene invece traghettato verso l’Asia e poi nel Vecchio Continente per aggirare le sanzioni occidentali. Un sistema collaudato e difficile da bloccare. Pena l’escalation.

Cos’è la flotta fantasma russa e perché viaggia nel Mediterraneo

Da quando Usa e Ue hanno imposto l’embargo commerciale ai danni della Russia nel 2022, le cosiddette “petroliere fantasma” di Mosca hanno cominciato a trasportare clandestinamente greggio russo, nascondendosi dietro false bandiere di altre nazioni. Gran parte di queste imbarcazioni sono vecchie, poco sicure e non coperte da assicurazione nonostante il rischio di incidenti, come nel caso della “Pablo”, che ha preso fuoco al largo delle coste della Malesia a maggio 2023. Le sanzioni occidentali hanno modificato le rotte di trasporto del petrolio russo, allungando tragitti e distanze, aumentando i costi di trasporto e il numero di trasbordi in alto mare. A quel punto è emersa una “flotta fantasma” specializzata nel trasporto legale ma rischioso del petrolio russo in Asia, i cui proprietari si nascondono dietro società di comodo e commercianti con sede a Dubai. Negli ultimi due anni, dunque, numerose navi cargo russe hanno fatto sistematicamente la spola tra il porto siriano di Tartus e quello russo di Novorossijsk, nel Mar Nero, passando dagli Stretti turchi con la compiacenza di Ankara (membro Nato, ma ambiguo).

La rotta Mar Nero-Mediterraneo serviva anche ad altri scopi. Le intelligence statunitensi e britanniche l’hanno ribattezzato “Sirian Express”, per la frequenza dei viaggi. Oltre al petrolio, questi viaggi miravano al trasporto di mezzi blindati e artiglieria dalla Siria, in cui la Russia è intervenuta al fianco di Assad e dove è rimasta presente, per dirottarli nuovamente a Novorossijsk. Da qui, tramite ferrovia, il materiale bellico veniva portato al fronte ucraino. Avrete notato i verbi al passato. Sono d’obbligo, perché ultimamente le cose sono cambiate.

Il cambio di rotta delle navi russe

Quando l’invasione dell’Ucraina ha compiuto due anni, dal solito porto di Tartus è salpata una nave fantasma: niente radar, niente trasmettitori, tutto spento. La Sparta IV è russa in tutto e per tutto, proprietà del ministero della Difesa, ma ufficialmente è registrato come cargo civile. La sua rotta, per la prima volta, non ha però seguito lo schema che da mesi e mesi Mosca aveva disegnato per le sue navi. Giunta all’imbocco del Bosforo e del Mar Nero, è tornata indietro per attraversare il Mediterraneo e passare dallo Stretto Sicilia e da quello di Gibilterra, per poi risalire verso il Canale della Manica e il Baltico. Destinazione finale: l’exclave russa di Kaliningrad, nel cuore d’Europa. Tutto lecito, visto che la nave non ha mai lasciato le acque internazionali, seppur scortata a distanza dall’imponente fregata Grigorovich. Perché?

Il fatto è che, seppur in grandissima difficoltà di uomini e mezzi, l’Ucraina sta dando parecchio filo da torcere alla Russia nel Mar Nero. I droni marini di Kiev tengono sotto scacco le unità navali russe, minacciando l’annessa Crimea e imponendo al Cremlino di spostare le proprie imbarcazioni verso porti più sicuri, sulla costa orientale. Il commercio di petrolio è vitale per sostenere lo sforzo bellico russo, così come il flusso di armi. Per questo la Sparta IV, dopo qualche settimana di stazione nel Baltico, ha attraversato lo Stretto di Danimarca e ha percorso al contrario la stessa rotta verso Tartus. E, come la Sparta IV, hanno fatto e fanno lo stesso almeno altre quattro imbarcazioni. Altri dati forniti dal think tank Atlantic Council mostrano come, a partire dal 2022, la maggior parte degli scali di queste navi sia avvenuta in India, Grecia, Cina e Marocco. La Liberia si è imposta come lo Stato di bandiera dominante per i cargo che lasciano i porti russi attraverso il Mar Baltico. Seguono le Isole Marshall, la Russia stessa e Panama, le cui navi hanno aumentato i loro viaggi lungo le due rotte. Dal 2021 anche altri sei Stati portabandiera (Isole Cook, Gabon, Camerun, Palau, Saint Kitts e Nevis e Vietnam) hanno iniziato a trasportare petrolio russo. Il Gabon, in particolare, è diventato ben presto la destinazione preferita delle imbarcazioni fantasma. Secondo S&P Global Market Intelligence, il registro navale del Paese africano è raddoppiato durante la prima metà del 2023 e circa il 98% delle petroliere che navigano sotto la sua bandiera sono ad alto rischio o non hanno un proprietario identificabile.

Dal febbraio 2022 a oggi, la flotta fantasma di vecchie navi prive di un’adeguata assicurazione e con “salto di bandiera” tra diversi registri navali permissivi è cresciuta in modo esponenziale, fino a raggiungere circa 1.400 unità. Se agisse in buona fede, hanno notato molti analisti, il governo russo doterebbe queste unità di un’assicurazione che copra gli eventuali danni, oltre a introdurre la manutenzione obbligatoria delle strutture. Oltre a soddisfare le esigenze di trasporto della Russia – così come di Iran, Corea del Nord e Venezuela – il gruppo di “imbarcazioni ombra” costituisce l’emblema dell’aggressione da “zona grigia”, causando danni e tensioni che i Paesi coinvolti possono fare ben poco per punire. Per “zona grigia” si intende l’impiego di tattiche che sfidano lo status quo senza innescare un’escalation che sfoci in un confronto militare esteso. Se gli Stati tentassero infatti di bloccare le navi russe dalle loro acque o di scortarle via, ciò potrebbe provocare ritorsioni e un’escalation da parte di Mosca.

Il trasporto occulto di petrolio russo

Le operazioni navali occulte della Russia includono anche il trasbordo di petrolio da una nave all’altra in mare aperto, con tanto di pagamento a bordo e configurando un elevato rischio ambientale per il pericolo di sversamenti o incidenti in mare. Un pericolo molto alto, considerando quanto sono datate le imbarcazioni utilizzate che operano al di fuori di qualunque norma marittima. La destinazione delle navi sono Cina e India, dove il greggio viene raffinato e viene in parte dirottato nuovamente verso il Mediterraneo e l’Europa. Le operazioni di “passaggio” del petrolio avvengono in quattro zone prestabilite del Mediterraneo e del Mar Nero: al largo del porto romeno di Costanza, nel Golfo greco di Laconia, dinanzi a Malta e a Ceuta, nei pressi dello Stretto di Gibilterra.

Un disastro ambientale è stato evitato per un pelo il 1° maggio 2023, al largo delle coste della Malesia. Quel giorno la Pablo, una vecchia petroliera dallo scafo arrugginito capace di immagazzinare fino a 700mila barili di petrolio, stava navigando in un mare calmo a poche miglia dalla piccola isola paradisiaca di Pulau Tinggi. Poi, all’improvviso, un’esplosione. “Quando ho aperto la porta della mia cabina, ho visto fumo ovunque”, ha raccontato qualche giorno dopo il capitano della nave, Oleksandr Lepyoshkin. “Sembrava una guerra, c’erano scoppi ovunque e un fumo denso che ci soffocava”. Parte dello scafo fu spazzata via, ma per fortuna era vuota perché la cisterna aveva appena scaricato il suo carico in Cina. Per tre lunghi giorni, la guardia costiera malese ha gravitato intorno all’impotente relitto fumante, senza osare avvicinarsi per paura di ulteriori esplosioni. Dei 28 membri dell’equipaggio, due indiani e un ucraino non sono stati più ritrovati. Da lì si sono accesi i riflettori sulla Pablo.

La guardia costiera ha scoperto che si trattava di una nave cisterna di 27 anni, decisamente vecchia per gli standard consueti (20-25 anni), e che è stata acquistata da un cittadino indiano nel 2018 mentre era sul punto di essere demolita. Dopo aver cambiato proprietario più volte, è stata cancellata da diversi Stati di bandiera in seguito al suo coinvolgimento nell’aggiramento delle sanzioni contro l’Iran, prima di essere finalmente registrata nel connivente Gabon. Secondo Kpler, società specializzata nell’analisi di dati marittimi, la Pablo trasportava un olio combustibile pesante altamente inquinante, utilizzato come combustibile o per produrre elettricità soprattutto in Asia. Dopo un lungo periodo di trasporto di olio combustibile dall’Iran, oggetto di sanzioni, l’ultima spedizione è partita dalla Russia e ha registrato diversi trasbordi in alto mare: prima nello Stretto di Gibilterra, poi vicino la Malesia.

Perché gli Stati non possono bloccare le navi russe

Bloccare le navi fantasma dalle acque territoriali o dalle Zone economiche esclusive comporta ostacoli significativi che lo rendono praticamente impossibile. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) garantisce alle navi il diritto di passaggio inoffensivo, e cioè il diritto di “navigare liberamente attraverso i mari territoriali”. Le acque territoriali di un Paese consistono nel tratto di mare compreso entro le 12 miglia nautiche dalla costa nazionale. Se le navi transitano al di là di tale limite, sono sostanzialmente intoccabili. Ma non solo: nei rari casi in cui un’imbarcazione fantasma “sfori” la soglia delle acque territoriali di uno Stato, è capitato che il suddetto Stato considerasse troppo rischioso cercare di bloccare il natante, anche perché di fatto non esiste un registro delle “imbarcazioni ombra” riconosciuto a livello internazionale.

L’Unclos garantisce diritti anche alle navi che viaggiano nelle cosiddette Zone economiche esclusive (Zee) dei vari Paesi, che si estendono per 200 miglia nautiche oltre le acque territoriali. Uno Stato possiede i diritti esclusivi sulle risorse naturali presenti all’interno della sua Zee, nonché i diritti esclusivi sugli impianti offshore installati. Tuttavia, lo stesso Stato non ha poteri legali sulla Zee oltre al controllo di tali risorse e degli impianti. Per un Paese si rivelerebbe dunque molto difficile bandire le navi fantasma dalla sua Zee. Un alto funzionario della guardia costiera di uno Stato membro della Nato, protetto dall’anonimato, ha rivelato all’Atlantic Council che “se le navi hanno problemi si può intervenire quando entrano nelle acque territoriali, ma esiste anche un margine di intervento nella Zee se le imbarcazioni minacciano le installazioni nazionali”. Tale diritto è sancito dalla Convenzione internazionale relativa all’intervento in alto mare in caso di inquinamento da idrocarburi. Il regolamento consente ai Paesi di “prevenire, mitigare o eliminare il pericolo per le proprie coste o i relativi interessi derivanti dall’inquinamento da petrolio o dalla minaccia di esso, a seguito di un sinistro marittimo”. In altre parole, uno Stato costiero può bandire una nave dalle acque della propria Zee anche solo se ritiene “probabile” una fuoriuscita di petrolio.

Il contrammiraglio in pensione Nils Wang, ex capo della Marina danese, ha affermato che “l’intera struttura del traffico mercantile marittimo si basa su diritti molto significativi di libera navigazione. Finché ti trovi in ​​alto mare, nella Zee di un Paese o al confine esterno delle sue acque territoriali, hai diritto al passaggio innocuo. Ciò significa che, se non fai nulla di dannoso per l’ambiente o i fondali marini, il Paese costiero non può importi alcuna sanzione o intraprendere azioni ostili“. Se invece la nave entra in un porto o attraversa le acque territoriali interne, lo Stato territoriale può bloccare la nave. Anche se, come detto, ciò non aiuta i numerosi Stati nelle cui acque passano navi diverse dalle altre come quelle della flotta fantasma russa. I Paesi si guardano infatti bene dal trattenere navi ombra nelle loro acque, anche se hanno forti sospetti che stiano violando le regole del mare. “Nessuno è interessato a portare le navi in ​​un porto e ad arrestare l’equipaggio, perché altrimenti rimarresti invischiato in una situazione assai scomoda con la nave straniera nel tuo porto. Tutti sperano che passi attraverso le acque senza dare fastidio”, ha spiegato Wang.

Un’ultima considerazione sui doveri nei confronti delle navi, fantasma o meno, che transitano al largo delle coste degli Stati. Se un’imbarcazione è in pericolo, il Paese costiero ha obblighi di soccorso imposti dalla Convenzione di ricerca e salvataggio. Il pianeta è diviso in 13 zone di ricerca e salvataggio. Australia e Nuova Zelanda, ad esempio, hanno doveri di ricerca e salvataggio praticamente fino all’Antartide. In sostanza: non importa dove ti trovi, se sei in pericolo uno specifico Stato costiero avrà la responsabilità della ricerca e del salvataggio della tua nave alla deriva. Ciò significa che il Paese interessato è obbligato a salvare equipaggio e passeggeri in difficoltà se la nave si trova nella sua area geografica di responsabilità.

Cosa vuole la Russia nel Mediterraneo?

Al di là degli interessi economici, va sottolineato un altro aspetto: il Mediterraneo è un vecchio, vecchissimo sogno della Russia. Ed è per questo che ospita da tempo le navi di Mosca. Il controllo del Mar Nero risponde quasi esclusivamente a crearsi uno sbocco privilegiato nel mare che bagna Europa e Africa, altro grande obiettivo messo prepotentemente sul tavolo dalla guerra in Ucraina. Per questo a fine luglio 2023 Vladimir Putin ha inaugurato una nuova dottrina navale che punta ad allargare il cappio che soffoca la Russia sul mare in corrispondenza degli Stretti, che tendono a “stringersi” e a bloccare i traffici durante le crisi internazionali.

Dopo aver trincerato i mari del Nord nel Circolo Polare Artico, allo scopo di insidiare gli Usa e la Nato sul fronte marittimo settentrionale, Mosca si è resa conto che le resistenze alleate in quell’area sono troppo dure da scardinare. Almeno per il momento. Fisiologico dunque il dirottamento degli sforzi navali verso Sud, dove le imbarcazioni russe possono contare su appoggi geopolitici, approdi sicuri e partner commerciali prima di far rotta verso l’Oceano Indiano e i mari asiatici. In questo senso la Crimea, e in particolare il porto di Sebastopoli, giocano un ruolo fondamentale.