La Cina vara un fondo per i microchip da 47,5 miliardi di dollari: il piano di Pechino

La Cina è pronta ad investire sulla propria capacità di produrre microchip con un fondo da 47,5 miliardi di dollari

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

La Cina, tramite il National Enterprise Credit Information Publicity System, ha varato un nuovo fondo da 47,5 miliardi di dollari per incentivare la produzione di microchip all’interno del Paese. L’obiettivo primario è quello di arrivare all’indipendenza dai chip occidentali e soprattutto dalle apparecchiature per produrli, di cui è specialista l’azienda dei Paesi Bassi Asml.

A causa della guerra commerciale scoppiata con gli Usa, la Cina sta avendo grosse difficoltà a reperire i microchip necessari alla produzione di moltissimi beni. Al contempo i suoi prodotti, tecnologicamente meno avanzati di quelli statunitensi, sono colpiti da dazi a più del 100% del loro valore. Per questa ragione Pechino vuole isolarsi dal mercato dei semiconduttori, con rischi seri.

Il fondo cinese per i microchip

Il National Enterprise Credit Information Publicity System ha stanziato 47,5 miliardi di dollari per un fondo che aiuti le aziende cinesi a recuperare quelle occidentali per quanto riguarda la produzione di microchip. L’obiettivo principale di questo massiccio stanziamento di fondi è quello di sganciarsi dalla dipendenza che il sistema cinese ha dall’estero in particolare per i macchinari che permettono la produzione dei semiconduttori.

L’iniziativa è frutto del blocco imposto dagli Stati Uniti proprio sul mercato tecnologico alla Cina. Da una parte la Casa bianca ha appena alzato del 100% i dazi in entrata proprio sui semiconduttori. Dall’altro sta impedendo alle proprie aziende e a quelle dei propri alleati di vendere chip avanzati e macchinari per produrre semiconduttori, anche della passata generazione, alla Cina.

Questo sta impedendo lo sviluppo tecnologico ed economico del Paese in diversi ambiti. Dal punto di vista della sicurezza nazionale, Pechino è preoccupata dell’effetto che questi dazi stanno avendo sul complesso industriale militare. Per quanto riguarda invece il progresso tecnologico, private dei chip più avanzati, le aziende cinesi stanno faticando a tenere il passo con quelle occidentali per quanto riguarda l’intelligenza artificiale.

La strategia della Cina per isolarsi dall’occidente

Con questo nuovo investimento la Cina vuole isolarsi il prima possibile dall’occidente a livello tecnologico. Il rischio però per Pechino è quello di chiudersi in un sistema meno avanzato di quello dei diretti competitor e costringere le proprie aziende ad adattarsi a prodotti di minore qualità e meno innovativi di quelli che altrimenti avrebbero a disposizione se potessero agire liberamente sul mercato internazionale.

Un esempio di questa tendenza è la recente iniziativa presa dal governo di Pechino per quanto riguarda i semiconduttori nel mercato automobilistico. Al momento le case produttrici di auto in Cina stanno avendo un ottimo successo sia in patria che all’estero, grazie alle vetture elettriche a basso costo. Il 90% dei chip di queste vetture però proviene da aziende occidentali, tra cui anche l’italofrancese STMicroelectronics, e giapponesi. Il governo ha però spinto le aziende ad impegnarsi ad usare, entro fine anno, almeno il 20% di chip cinesi.

Una mossa che permetterebbe di aumentare la domanda interna di microchip, stimolando il mercato. Ma anche una decisione rischiosa. I chip delle auto non sono molto avanzati, ma sono responsabili del funzionamento di molti sistemi di affidabilità e sicurezza. Per questa ragione i produttori sono molto restii a cambiare fornitore, dato che è fondamentale che questi sistemi funzionino e si adattino perfettamente ai modelli su cui sono montati. Il rischio è quello di danneggiare il settore dell’automotive cinese nel tentativo di rivitalizzare quello dei semiconduttori.