Resistenza agli antibiotici, perché fa paura e quali sono i rischi

La resistenza agli antibiotici è destinata a diventare uno dei grandi allarmi per il benessere globale, con un pesante impatto sulla sanità pubblica e implicazioni economiche

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

AMR. Ricordate questa sigla internazionale, che sta per Anti Microbial Resistance. È una voce che sempre più frequentemente entrerà nelle tematiche relative alla salute. Perché la resistenza agli antibiotici è ed è destinata a diventare uno dei grandi allarmi per il benessere globale, con un pesante impatto sulla sanità pubblica e importanti implicazioni sia dal punto di vista clinico sia dal punto di vista economico.

Pensate solo che in Italia nel 2021 sono stati isolati 62.833 patogeni e le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici si mantengono elevate tanto che il nostro Paese è in fondo alle classifiche dell’incidenza di batteri resistenti. Ma il problema è sicuramente più ampio, fino a risuonare come un’emergenza globale. Per comprendere la portata di quanto avviene basta rileggere un recente scenario elaborato dall’OMS: si prevede che entro il 2050 la prima causa di morte saranno le infezioni da germi resistenti con un numero di vite perdute, 10 milioni, superiori alle morti attualmente legate ai tumori. In Europa si ipotizzano 392.000 morti: 120.000 solo in Italia.

Cosa succede se usiamo male gli antibiotici

I batteri sono per loro natura mutanti. E soprattutto sono terribilmente rapidi a riprodursi. Se trovano condizioni ottimali possono raddoppiare di numero ogni venti minuti. L’antibiotico, specie se impiegato in maniera impropria, può diventare una sorta di “stimolo” per scatenare una serie di naturali meccanismi di sopravvivenza che il batterio mette in atto per sfuggire all’attacco del farmaco e per preservare la specie.

I mezzi attraverso cui si creano le resistenze sono molteplici. Per sfuggire all’antibiotico il germe può ad esempio “rimescolare” alcune porzioni del proprio materiale genetico con quello di un’altra specie, assumendone le caratteristiche di resistenza. A volte invece viene sfruttato un batteriofago, una sorta di “cinghia di trasmissione” che permette al germe di incorporare geni di un altro batterio, o addirittura può accadere che un frammento di Dna passi da una cellula batterica all’altra, modificando gli invisibili “punti d’attacco” dell’antibiotico.

Il risultato di tutti questi passaggi è che l’antibiotico, non trovando più gli “appigli” necessari per uccidere il batterio, diventa inefficace. Va anche ricordato che i geni che favoriscono la resistenza possono superare la barriera di “specie” dell’ospite, per cui si trasmettono con grande facilità anche da una specie all’altra ed anche in particolari situazioni, come ad esempio nella zootecnia o nell’agricoltura.

Quanto pesa l’impropria prescrizione di antibiotici

“La crescente espansione dei microrganismi multiresistenti ha molte spiegazioni, ma certamente l’eccesso di prescrizione di antibiotici rappresenta un rilevante fattore di selezione di specie resistenti – ha recentemente sottolineato presentando un’iniziativa della SITA (Società Italiana Terapia Antibiotica) Pierluigi Viale, Direttore Malattie Infettive presso il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna e Professore Ordinario di Malattie Infettive all’ateneo bolognese – è una sorta di meccanismo darwiniano per cui in una popolazione microbica di enormi dimensioni, che colonizza tutto il nostro ecosistema, una terapia antibiotica prolungata, a spettro troppo ampio, ripetuta più volte rappresenta un fattore di stress che genera selezione di ceppi resistenti”.

Lo spettro di un’era pre-antibiotica, che ci riporterebbe indietro di cent’anni, si sta allungando inesorabilmente sulla salute pubblica globale per colpa dei super-batteri resistenti agli antibiotici.

Perché i batteri diventano resistenti anche “a tavola”

In teoria, sono diverse le opportunità per un batterio di divenire ad un certo punto resistente ad un antibiotico. Andiamo per ordine, partendo dalla tavola. I batteri presenti nei cibi, del tutto innocui sul fronte della salute, potrebbero diventare una sorta di “veicolo” di resistenza. Infatti potrebbero consentire una sorta di “trasferimento orizzontale” dei geni della resistenza batterica, che passano attraverso un microorganismo commensale per il corpo umano e fino a raggiungere germi patogeni. Questi, nelle fasi successive di sviluppo, incorporano nel proprio genoma l’invisibile tratto genetico che li rendono inattaccabili da un determinato antibiotico, e la loro “stirpe” conserva questa caratteristica, diventando quindi resistenti all’antibioticoterapia.

Mettere sotto accusa solo gli alimenti, tuttavia, sarebbe riduttivo e improprio. Perché il trasferimento di geni di resistenza da batteri “buoni” a “cattivi” appare sempre più come un fenomeno che coinvolge l’ambiente in cui viviamo. Lo provano alcuni studi condotti su neonati allattati esclusivamente al seno, che non avevano mai assunto alcun cibo diverso dal latte materno: nella loro flora intestinale albergano batteri che hanno nel proprio patrimonio genetico i tratti tipici della resistenza, e quindi possono “trasferirli” ad altri batteri.

Perché è difficile trovare nuovi antibiotici e quanto sono importanti i vaccini

Nell’ultimo decennio sono state sviluppate o sono in corso alcune nuove molecole antibiotiche. Ma in termini generali la ricerca e sviluppo di questi farmaci si presenta difficoltosa per diverse ragioni, in primo luogo perché questi superbatteri sono degli ‘opportunisti’, che minacciano la vita di pazienti fragili e compromessi con diverse comorbidità e poi perché arruolare numeri adeguati di pazienti vulnerabili per avere trial clinici con adeguate evidenze di efficacia non è semplice.

Per contrastare i germi multiresistenti è dunque necessario potenziare la ricerca e incentivare l’utilizzo di nuovi antibiotici, veri salvavita come gli antitumorali, superando il paradosso di non curare un’infezione oggi per timore che diventi più grave o meno curabile domani.

È fondamentale fare ricerca per individuare nuovi farmaci e valorizzare gli antibiotici innovativi, che inseriti all’interno di schemi terapeutici adeguati consentano anche di proteggere gli sforzi e gli investimenti fatti a sostegno della salute del paziente con enormi risparmi di risorse. In questo senso, comunque, anche la ricerca sui vaccini appare importante: se si trovano vaccini nuovi per ceppi batterici che non hanno ancora una modalità preventiva di questo tipo o comunque sia utilizzano al meglio quelli disponibili, si riduce il rischio di dover impiegare antibiotici per combattere le infezioni batteriche che a volte non si sviluppano autonomamente, ma a volte si sovrappongono a quelle virali.

Servono nuove regole per gli antibiotici in studio?

Detto che è più facile individuare un nuovo antibiotico all’interno di una famiglia già esistente, piuttosto che trovarne di diversi, bisogna ricordare che lo sviluppo di un nuovo antibiotico è estremamente costoso e idealmente il farmaco verrà impiegato per un limitato numero di pazienti, quelli infettati da batteri resistenti. Per questo la cura tende ad essere molto costosa, più o meno come accade in caso di terapie per malattie rare.

Ma si tratta di una necessità: allargare l’impiego di un nuovo farmaco anche a batteri non resistenti permetterebbe un costo minore, ma potrebbe innalzare il rischio di resistenze. Infine non va dimenticato che l’antibiotico è “diverso” rispetto ad altri farmaci: spesso questi medicinali sono stati isolati da microorganismi come funghi o batteri che debbono competere con altre specie nel loro ambiente. Per questo occorre pensare a vie diverse, come ad esempio l’associazione tra due farmaci: si sa che un batterio diventa più difficilmente resistente quanto esposto a due diversi antibiotici.

Chi ha più bisogno di antibiotici mirati

Sia chiaro: occorre molta attenzione alla prevenzione. Soprattutto negli ospedali e nelle case di cura, per contenere le infezioni e la trasmissione batterica. Ma con la certezza che comunque ci saranno sempre più soggetti fragili potenzialmente esposti ad infezioni correlate all’assistenza.

Paradossalmente i rischi aumentano perché la medicina avanza. I progressi in chirurgia, trapiantologia e oncologia hanno infatti salvato sempre più vite rendendole però più suscettibili al rischio di infezioni ospedaliere. Per questo occorrono nuovi antibiotici su misura per i pazienti più fragili come gli anziani, i pazienti sottoposti a trapianto d’organo o cure oncologiche, i soggetti in terapia intensiva o che hanno subito interventi chirurgici importanti, i cui esiti sono penalizzati dalla mancanza di nuovi antibiotici che rischia in più di paralizzare tali attività, soprattutto nei casi più complessi.

Anche per questo si punta ad equiparare i requisiti regolatori dei nuovi antibiotici a quelli degli antitumorali, creando ‘corsie preferenziali’ e percorsi regolatori accelerati e semplificati per l’approvazione, l’immissione in commercio e l’introduzione a livello regionale di farmaci salvavita.

Cinque regole per controllare al meglio le infezioni

  • Lavarsi frequentemente e con cura le mani durante la giornata;
  • Mettere la mano o un fazzoletto davanti alla bocca quando si starnuta;
  • Utilizzare con appropriatezza gli antibiotici solo dietro prescrizione del medico;
  • Non assumere antibiotici per il raffreddore o la comune influenza;
  • Usare gli antibiotici rispettando i dosaggi e i tempi prescritti dal medico di famiglia e completare sempre il ciclo di trattamento anche se ci si sente meglio.