Referendum su Jobs Act e tutele crescenti, perché votare NO al primo quesito

Sono almeno tre i motivi secondo i quali i critici del referendum invitano a votare NO al primo quesito che punta a riscrivere la disciplina del licenziamento secondo il Jobs Act

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 21 Maggio 2025 10:25

Questo articolo fa parte di un ciclo dedicato al referendum 2025, che ha l’obiettivo di illustrare in modo chiaro e documentato le posizioni a favore e contro i quesiti, nonché gli scenari in caso di raggiungimento del quorum. QuiFinanza mantiene una linea editoriale imparziale e si impegna a fornire un’informazione completa e obiettiva, senza sostenere alcuna posizione politica o ideologica.

Il primo quesito dei cinque che compongono il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno riguarda il contratto di lavoro a tutele crescenti nell’ambito del Jobs Act, relativamente alla disciplina dei licenziamenti illegittimi. Il quesito riportato sulla prima scheda chiede ai cittadini di pronunciarsi sul trattamento che il giudice del lavoro può decretare dopo aver stabilito che il lavoratore è stato licenziato in maniera non corretta nelle aziende con più di 15 dipendenti.

Il testo completo del primo quesito

Di seguito il primo quesito del referendum, per come verrà riportato sulla scheda verde:

Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 nella sua interezza?”.

Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 nella sua interezza?

Il quesito è stato proposto dalla Cgil guidata dal segretario generale Maurizio Landini con l’obiettivo di ripristinare il reintegro del dipendente licenziato in maniera illegittima nel suo posto di lavoro, così come prevedeva originariamente l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970.

Si premette che i contratti a tutele crescenti sui quali interviene il primo quesito referendario si applicano unicamente ai rapporti di lavoro costituiti a partire dal 7 marzo 2015. Tutti gli altri rapporti di lavoro sono regolati dalla legge Fornero.

Perché votare NO al primo quesito

Chi sostiene il NO al primo quesito lo fa, in genere, per almeno tre ragioni.

NO perché si riducono le mensilità di risarcimento

La prima ragione è di tipo materiale e riguarda il calo del risarcimento per il lavoratore da 36 mensilità a 12/24 mensilità, a seconda dei casi. Attualmente, per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti (cioè a partire dal 7 marzo 2015), in caso di licenziamento dichiarato illegittimo ma non nullo o discriminatorio, il giudice dispone la risoluzione del rapporto di lavoro e condanna il datore al pagamento di un’indennità compresa tra 6 e 36 mensilità, calcolata in base all’anzianità di servizio e ad altri criteri. Tale indennità non include automaticamente il pagamento degli stipendi e dei contributi previdenziali relativi al periodo tra il licenziamento e la sentenza.

Nei casi più gravi, come i licenziamenti discriminatori o nulli, è previsto il reintegro nel posto di lavoro, accompagnato dal risarcimento delle retribuzioni perse e dal versamento dei contributi previdenziali per il periodo intercorso tra il licenziamento e il reintegro.

Se il referendum venisse approvato, abrogando il decreto legislativo n. 23/2015, si applicherebbe nuovamente la disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla legge Fornero del 2012. In questo scenario, il reintegro verrebbe esteso anche ad altri casi di licenziamento illegittimo, come quelli per insussistenza del fatto contestato. Nei casi in cui non sia disposto il reintegro, l’indennità risarcitoria sarebbe compresa tra 12 e 24 mensilità, mentre per le violazioni formali o procedurali si applicherebbe un’indennità ridotta, tra 6 e 12 mensilità.

Senza contare che il reintegro potrebbe portare a tensioni nel team di lavoro.

NO perché si minacciano le assunzioni

La seconda ragione, secondo il critici del referendum, riguarda le assunzioni: si obietta che una maggiore difficoltà nel licenziare si tradurrebbe nella minore propensione ad assumere da parte degli imprenditori. Questo potrebbe tradursi in più contratti a termine o di collaborazione aumentando, per paradosso, le difficoltà nel trovare stabilità lavorativa.

NO perché la norma fu voluta dal Pd

La terza motivazione, comune anche all’altro quesito legato al Jobs Act, è di natura formale e riguarda un tema di coerenza politica: fu infatti il Partito democratico a introdurre il Jobs Act a partire dal 2014. Una decina d’anni più tardi, quello stesso partito è oggi in prima fila nel mettere in discussione una serie di norme che esso stesso aveva varato.

Queste erano le motivazioni del NO. Qui abbiamo analizzato le ragioni del SÌ al primo quesito del referendum.

La posizione dei partiti in sintesi

I partiti di governo spingono per l’astensione in modo da far saltare il quorum.

Il Partito democratico di Elly Schlein ha annunciato cinque sì, ma la corrente riformista di Energia popolare non ritirerà la scheda del primo quesito.

Il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte vota SÌ. Vota SÌ anche Avs. +Europa dice NO al primo quesito. Italia Viva dice NO; NO anche da Azione.

Partito NO Astensione
Centro-destra X
Pd (maggioranza) X
Pd (corrente Energia popolare) X
M5S X
Avs X
Azione X
Italia Viva X
+Europa X

 

Le posizioni dei partiti sui referendum dell'8 e del 9 giugno 2025: chi voterà per il SÌ e per il NO e chi invita all'astensione
ANSA
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