Dai detenuti al reclutamento via meme: ecco la guerra “sporca” di Putin

La guerra della Russia in Ucraina nei racconti di chi vi ha partecipato. Soldati per scelta o per costrizione: anziani, disabili, carcerati, civili minacciati

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’Ucraina sta pagando un prezzo altissimo per la guerra. Una guerra che riguarda superpotenze rivali (Russia e Stati Uniti), e che si è trasformata in una guerra per la patria, in cui migliaia di giovani si sono convinti che armarsi e partire per il fronte fosse l’unica occasione di riscatto di un’intera vita passata in pace. Questo discorso vale anche per i cittadini russi. Nelle Federazione la propaganda e l’opera di convincimento viaggiano a livelli inimmaginabili per molti Paesi occidentali, come l’Italia, in cui il benessere e la condizione post-storica mettono al bando qualsivoglia sacrificio imperiale per il predominio sugli altri.

In Russia la guerra ora si è cominciata a chiamarla così anche in pubblico: война (“voyna”) e non più solo SVO (Spetsialnaya Voennaya operatsiya, “operazione militare speciale”). Finora era vietatissimo (per decreto) parlare di guerra o di invasione, ma ormai l’opinione pubblica è sazia di morte e dolore anche al di là degli Urali e vuole farlo sapere almeno con le parole. Putin, ex spia dei servizi segreti sovietici, sa benissimo che la guerra si fa anche a parole. Ma si fa soprattutto con il sacrificio di centinaia di migliaia di cittadini mandati al fronte senza troppi complimenti, con metodi di reclutamento che coi diritti umani hanno poco o niente a che fare (qui abbiamo parlato dei bambini ucraini deportati in Russia per essere “rieducati”).

Dal rastrellamento selvaggio di “carne da cannone” nelle carceri all’arruolamento di riservisti anziani e perfino disabili (perlopiù mentali), dai mercenari ai volontari, fino al reclutamento tramite meme. La guerra “sporca” di Vladimir Putin non è riuscita a nascondersi nelle profondità della sconfinata Russia, come nel Novecento, ma è stata rivelata grazie alle operazioni di intelligence (con l’Osint e i dati satellitari) e ai sempre presenti disertori che, in ogni grande conflitto, consegnano al nemico armi molto potenti: dettagli su crimini internazionali che potranno colpire la Russia anche dopo aver raggiunto la pace (intanto Putin pensa a una nuova economia per la Russia: il piano).

La mobilitazione: come la Russia richiama i soldati al fronte

Dopo aver subìto il durissimo colpo della controffensiva ucraina, che ha riconquistato una roccaforte come Kherson, in autunno Putin ha annunciato la mobilitazione parziale per il suo esercito, inviando al fronte circa 300mila uomini. Si tratta sia di veterani, ormai anziani per combattere ma con un forte spirito militaresco e reazionario, sia di persone che non sanno neanche tenere in mano un fucile (checché ne dica il ministro della Difesa russo Shoigu). Tutti vengono addestrati in territorio russo (o bielorusso) da ufficiali con esperienza di combattimento in operazioni militari speciali, prima di essere inviati nelle regioni ucraine “liberate”. La retorica imperialistica è ancora una volta fondamentale per comprendere la mentalità che viene inculcata in soggetti largamente manipolabili e impressionabili.

Si promette una paga media di 50mila rubli, circa 830 euro, al mese. Lo Stato maggiore ha poi tolto il limite dei 40 anni, dicendosi pronto pagare dai 2 ai 6mila dollari, mentre il Gruppo Wagner offre fino a 10mila dollari una tantum, oltre a uno stipendio di circa 3.700 euro al mese, per un impegno militare sulla carta di “soli” sei mesi. Ma in molti distretti, soprattutto nelle regioni più remote e povere della Federazione, non si promette e non si chiede niente. In Tatarstan nell’ufficio di reclutamento ti scortano e ti fanno firmare. Si reclutano anche i migranti provenienti da Kyrgyzstan, Tagikistan, Kazakhstan e Uzbekistan con la promessa (leggi: ricatto) della cittadinanza russa. A centinaia e centinaia dormono per terra in camerate che assomigliano più a celle di prigione. Molti sono stati costretti a comprare di tasca propria forniture mediche di base e uniformi. In altri casi agli arruolati sono state forniti giubbotti antiproiettili bucati e armi e munizioni coperte di ruggine. Alcune reclute sono state collocate in edifici inabitabili, privi di riscaldamento e servizi igienici. Ad altri è andata peggio: sono finiti all’addiaccio. Sui social girano ancora centinaia di video tutorial in cui si consiglia ai coscritti di provvedere all’acquisto di disinfettanti, lacci emostatici e garze per fasciare le ferite. Allo stesso tempo parenti, vicini e volontari raccolgono per loro calze calde, guanti e cappelli.

Dalla Buriazia (Siberia meridionale), e in particolare dai piccoli centri abitati, sono giunte notizie di convocazioni consegnate nel pieno della notte a uomini di età anche superiore ai 50 anni. Casi simili sono stati poi segnalati anche in Jacuzia, Dagestan, Tatarstan e nelle regioni di Samara, Nižnij Novgorod, Kursk. Dall’inizio della mobilitazione, nei centri di addestramento e nelle basi militari del ministero della Difesa sono già morte (senza fare in tempo a raggiungere il fronte) decine di reclute. Alcuni di loro avevano problemi di salute, aggravati dalle condizioni difficili nei centri di accoglienza temporanea, altri si sono suicidati o sono morti a causa di risse e in altre circostanze sconosciute.

Secondo l’articolo 17 della legge federale intitolata “Sulla preparazione alla mobilitazione e sulla mobilitazione”, tutti coloro che si trovano nella riserva (zapas) possono essere mobilitati, qualunque sia la loro specialità (paracadutisti, carristi e via dicendo) e categoria. Esistono infatti tre categorie che variano a seconda dell’età e del grado: le prime due riguardano solo gli uomini (soggetti alla leva obbligatoria) mentre nella terza categoria sono incluse anche le donne. In teoria il limite di età per soldati semplici e sottoufficiali è 50 anni, mentre per gli ufficiali varia a seconda del grado e può arrivare fino a 65 anni. In Russia, inoltre, esiste una differenza tra zapas e rezerv: il primo è un termine ombrello che contiene anche il secondo. I rezervisty (parte della rezerv) sono coloro che, alla fine del servizio di leva, hanno scelto di firmare un apposito contratto che, in cambio di un compenso, prevede l’inserimento nella riserva e la partecipazione alle esercitazioni militari.

Come funziona (tecnicamente) la mobilitazione in Russia

La mobilitazione parziale è stata resa effettiva tramite un decreto del Cremlino e somiglia nei fatti alla sua fase successiva: l’introduzione delle legge marziale e della mobilitazione totale. Queste ultime possono (devono) essere dichiarate in caso di violazione dell’integrità territoriale della Federazione Russa o di minaccia diretta alla stessa. I presupposti, anzi i pretesti, ci sono tutti. Nel territorio russo vengono considerate anche le quattro regioni occupate e nelle quali si è svolto il referendum sull’annessione (Lugansk, Donetsk, Kherson, Zaporizhzhia), il che vuol dire che la controffensiva ucraina in quegli oblast viene considerata una violazione dell’integrità territoriale della Federazione.

Una fonte della Novaja Gazeta Europa all’interno dell’amministrazione presidenziale sostiene che il punto 7 del decreto parla di un milione di soldati “mobilitabili”. Poco importa che la cifra sia stata prontamente smentita dal portavoce di Putin, Dmitrij Peskov. A livello tecnico, la mobilitazione prevede la convocazione dei riservisti presso i commissariati militari, sulla carta attraverso tre modalità ufficiali:

  • se il riservista è già in possesso di un ordine di mobilitazione;
  • se ha ricevuto una convocazione di persona;
  • in base a una disposizione del commissariato militare competente o di un ministero che è a capo di gruppi di riservisti (ad esempio le truppe del ministero dell’Interno).

Per velocizzare la distribuzione delle convocazioni sono stati cooptati insegnanti, membri delle associazioni dei condomini, impiegati pubblici (ad esempio degli uffici postali) e medici. Anche chi ha ottenuto l’esenzione dal servizio di leva per motivi di salute e chi ha preso parte al servizio civile alternativo può essere mobilitato. L’esenzione riguarda solamente chi ha situazioni familiari particolari (nella legge federale sono elencati tutti i casi contemplati), i lavoratori di alcuni settori fondamentali, determinati dal Governo, i non idonei al servizio e i parlamentari. La non idoneità al servizio può essere ottenuta solamente se durante la visita medica presso il commissariato militare è stata assegnata la categoria di idoneità D (non idoneo), mentre coloro che in tempo di pace hanno ricevuto l’esenzione (V e G, terza e quarta categoria) possono essere convocati.

Non è inutile sottolineare la corruzione dilagante che ammorba questi anelli della catena militare russa: quei pochi che possono permettersi di offrire una bustarella all’esaminatore, hanno buone probabilità di evitare la chiamata in guerra. Non sono pochi però i casi, riferiti dai cosiddetti “disertori” finiti in mani ucraine, in cui funzionari hanno intascato la tangente e poi hanno denunciato alle autorità militari il tentativo di corruzione, col povero malcapitato finito in cella o spedito al fronte in prima linea.

Sia i soldati mobilitati che quelli a contratto inoltre non possono cessare dal servizio fino alla fine della mobilitazione. Le uniche eccezioni sono motivi di salute, il raggiungimento del limite di età e convinzioni (religiose o meno) personali che permettano di effettuare il servizio civile invece di quello militare. Tradotto: se non puoi imbracciare il fucile, ti mettono a lavorare per l’esercito dietro le linee, nelle catene di approvvigionamento o assistenza. In base al Codice del Lavoro russo, chi entra ufficialmente nell’esercito viene licenziato per effetto di un apposito articolo, continuando tuttavia a ricevere lo stipendio e avendo la garanzia di riottenere il posto di lavoro al termine della mobilitazione. Se da un lato il lavoro è garantito, dall’altro mezzi di trasporto, edifici, strutture e altri beni di organizzazioni e di privati cittadini possono invece essere sequestrati e utilizzati a scopi militari (articoli 8 e 10 della legge sulla mobilitazione). All’articolo 21 comma 2, si vieta inoltre ai riservisti di lasciare il Paese.

Il reclutamento tramite meme

Tra le righe ufficiali del decreto si apre però tutto uno spazio che consente ampio margine di manovra alle autorità per mobilitare soldati. Alcuni modi hanno dell’incredibile, come quello che mi ha rivelato un macellaio russo di stanza a Marinka, che ho potuto intervistare grazie a una catena di tag su Telegram. Vladimir, nome di fantasia, fa di mestiere il macellaio. O, meglio, lo faceva quando era un semplice civile. Dopo il lancio dell’operazione militare speciale si è offerto volontario, perché persuaso alla causa russa da un meme. Pensavo di non aver tradotto bene. “No aspetta – gli ho chiesto – fammi capire bene: hai detto meme? Cioè le immagini con messaggi divertenti?”.

“In generale, siamo stati reclutati con annunci pubblici realizzati come meme militari. In un gruppo social della mia città ho notato un annuncio che diceva: chiunque vuole può unirsi alla SVO come volontario”. Come Vladimir, sono centinaia i cittadini russi che hanno commentato l’immagine – anche ironica e “leggera” all’apparenza, come i classici meme che conosciamo anche noi – e risposto all’appello. I loro contatti sono finiti negli schedari dei reclutatori, che hanno poi inviato in forma privata un altro meme, definito “più serio” dallo stesso Vladimir, al quale l’interessato avrebbe dovuto rispondere seguendo delle istruzioni, quasi seguendo un linguaggio “cifrato”.

Fonti di intelligence hanno poi rivelato, soprattutto per l’arruolamento di mercenari come quelli del Gruppo Wagner, anche una fittissima rete di video su TikTok che promuoveva l’invasione dell’Ucraina e alimentava la propaganda russa sulla liberazione dal neonazismo, sulla fratellanza del grande popolo russo-ucraino e sulla necessità di resistere alla gravissima minaccia di Usa e Nato. Il tutto condito da immagini e scene di violenza pensate per fomentare il pubblico più estremista.

Detenuti, pensionati e disabili al fronte

La più grande impellenza della Russia dopo le brucianti sconfitte sul campo di battaglia era quella di schierare più uomini possibili, usando un’arma contro la quale l’Ucraina non può reggere il confronto: la demografia. Non conta la qualità, ma la quantità. E quindi via all’arruolamento selvaggio di chi non può rifiutare la chiamata, a partire dalle regioni filorusse e periferiche come ad esempio il Nord Caucaso. Si attinge a piene mani anche dalle carceri, con gli ufficiali che, nell’ansia di raggiungere la quota di mobilitati stabilita dallo Stato maggiore, hanno reclutato centinaia di detenuti. Il meccanismo è sempre quello della “promessa” pericolosa da rifiutare: l’amnistia per chi “servirà” la Russia per sei mesi e uno stipendio di 4mila euro.

Sul fronte disastrato del Donbass e a Bakhmut sono morti tanti carcerati liberati per farsi ammazzare dagli ucraini armati dagli occidentali. E con loro sono stati inviati in prima linea anche tanti disabili mentali, troppo deboli per opporsi alla chiamata e pronti a entusiasmarsi se indottrinati a dovere. Oltre ai pensionati, ridotti sul lastrico dalla situazione economica disastrosa in cui versa la Federazione, soprattutto la parte “nascosta” non illuminata dalle luci di Mosca e San Pietroburgo. I video dei “reietti” della società russa nelle caserme hanno fatto il giro dei canali social dedicati alla guerra in Ucraina. Un rischio per la già precaria tenute dell’esercito di Putin, che ha subito promulgato una legge che condanna a 10 anni di prigione i soldati che si arrendono volontariamente al nemico.

Il morale dei russi e la guerra ibrida

Nel giro di un anno sono circa 700mila i cittadini russi che hanno lasciato il loro Paese, mentre i sondaggi rivelano che per la stragrande maggioranza di coloro che sono rimasti (quasi il 70%) il sentimento predominante è l’ansia. La mobilitazione ha avuto un peso enorme in questa faccenda: le convocazioni sono arrivate alle famiglie numerose, ai disabili, ai pensionati, alle donne e persino a gente defunta anche da due anni, mostrando tutta l’inefficienza e l’ansia (anche qui) della rete burocratica del Cremlino. Dall’annuncio della mobilitazione, nel settembre 2022, sono scoppiate decine di proteste locali, accompagnate anche da azioni violente come incendi e vandalismo.

La guerra ibrida della Russia dura però da molto prima. Fin dall’annessione unilaterale della Crimea, riflesso tardivo delle batoste patite durante la guerra di Cecenia, Mosca ha esplorato nuove vie di combattere il prossimo, basandosi sulle teorie di figure come quella del generale Makhmut Gareev, che accanto alle tattiche militari ha proposto di affiancare una guerra d’informazione a scopo strategico. La prima grande applicazione si è vista proprio in Ucraina nel 2014, quando fu sferrato un enorme attacco hacker alla Commissione elettorale centrale del Paese invaso.

Dall’inizio di questa guerra, le agenzie di intelligence russe hanno condotto azioni cibernetiche su quattro principali obiettivi:

  • sulla popolazione russa, allo scopo di nascondere gli insuccessi sul campo e mantenere il consenso popolare per lo sforzo bellico;
  • sulla popolazione ucraina, al fine di destabilizzare il Paese, minare la fiducia nelle istituzioni e la capacità di resistenza;
  • sul governo ucraino, per indebolirlo nella sua organizzazione;
  • sui Paesi occidentali, soprattutto per stemperare le critiche relative ai crimini di guerra.