Israele accusa l’Onu: “Dipendenti dell’Unrwa parteciparono al maxi attacco del 7 ottobre”

Mentre il conflitto in Medio Oriente si allarga ed entra nella sua terza fase, Israele si scaglia contro le Nazioni Unite accusandole di "complicità" con Hamas. Il tutto durante la visita di Stato di Blinken, che vede anche Abu Mazen

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Qualcuno diceva che chi fa la guerra a parole, presto la farà anche con le armi. Nell’epoca della guerra ibrida (come quella tra Russia e Ucraina), parole e armi sono sempre cariche e viaggiano di pari passo nell’attaccare i nemici. E spesso può capitare che questa propaganda vada oltre il bersaglio, colpendo anche gli alleati.

È il caso di Israele, che per bocca dell’ambasciatore Gilad Erdan ha accusato senza mezzi termini l’Onu, affermando che “è complice dei terroristi” e che “non ha ragione di esistere”. Un attacco durissimo, che potrebbe avere conseguenze forti all’interno del fronte occidentale a guida Usa, già teso e stanco per l’impegno simultaneo su più fronti. Il segretario di Stato americano Antony Blinken, in missione in Medio Oriente, ha infatti ribadito la centralità della soluzione a due Stati con Israele responsabile della sicurezza di Gaza e un governo palestinese. Una posizione che si scontra nettamente con la volontà dello Stato ebraico, che si trincererà ancora di più nella propria intransigenza.

L’accusa a membri dell’Onu di complicità nell’attacco di Hamas

Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano, avrebbe fornito le prove della presenza di dipendenti dell’Unrwa fra i miliziani di Hamas che hanno condotto il maxi attacco del 7 ottobre. L’organizzazione delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi a Gaza, dunque, avrebbe favorito le “attività terroristiche dei fondamentalisti” nelle stragi compiute contro gli israeliani. Secondo la radio militare dello Stato ebraico, i dipendenti Onu avrebbero cooperato tramite “l’apertura di imbocchi all’interno delle sue scuole che erano diretti verso i tunnel militari di Hamas, l’utilizzo di edifici scolastici per immagazzinare mezzi da combattimento e testi di insegnamento che esaltano la lotta armata“.

Il quotidiano Israel HaYom ha riferito inoltre che la Ong Un-Watch sarebbe a conoscenza di messaggi interni scambiati su Telegram fra dipendenti dell’Unrwa proprio il 7 ottobre, mentre erano in corso le stragi in territorio israeliano. Secondo l’organizzazione, tra i messaggi sono comparse anche “espressioni di gioia e di sostegno alla Jihad”. La notizia è stata resa pubblica in un momento non casuale, visto che in questi giorni il Segretario di Stato americano Antony Blinken è in visita nel Paese. Tra le altre cose, Blinken ha sollecitato Israele a sostenere maggiormente gli sforzi umanitari a Gaza, ricorrendo anche alle strutture dell’Unrwa. Una mossa che ha tutta la parvenza di essere stata “manovrata” ad hoc, con cui il governo Netanyahu vorrebbe dimostrare agli alleati occidentali che la guerra deve andare avanti e che non ci si può fidare di nessuno. Anche per questo motivo, Israele è passato alla terza fase della guerra, che “sarà più lunga”.

Per Israele “l’Onu non ha ragione di esistere”

L’attacco israeliano nei confronti dell’Onu non si limita però al dossier sulle presunte complicità con Hamas. Durante l’Assemblea Generale, l’ambasciatore Gilad Erdan ha preso la parola per parlare del bambino israeliano Kfir, ostaggio di Hamas, che ha festeggiato il suo primo compleanno in prigionia. “E voi preferite discutere del cessate il fuoco?”, ha urlato, promettendo che lo Stato ebraico continuerà a combattere per difendersi dai terroristi. “Un’organizzazione che non prende posizione quando un bambino di un anno è preso in ostaggio è complice dei terroristi e non ha ragione di esistere. L’Onu continua a concentrarsi sul cessate il fuoco a Gaza e sugli aiuti e non sugli ostaggi”.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite ha poi rincarato la dose sostenendo che “i miliziani di Hamas hanno brutalmente violentato le donne israeliane, usando lo stupro come arma di guerra (qui abbiamo parlato dei crimini di guerra di Israele e Hamas). Ne hanno parlato anche i media statunitensi, ma qui, nell’organizzazione che dovrebbe difendere i diritti umani? Silenzio. Le donne israeliane non sono donne, i bambini israeliani non sono bambini”, ha tuonato accusando le Nazioni Unite di “vergognosa indifferenza”. E in chiusura di discorso ha ribadito la vera posizione di Israele sul conflitto nella Striscia di Gaza: “Il cessate il fuoco rappresenta una vittoria per Hamas, null’altro”.

Israele e Usa, un rapporto sempre più difficile

Dopo aver incontrato i vertici israeliani, Antony Blinken si è recato a Ramallah, in Cisgiordania, per vedere anche il presidente palestinese Abu Mazen. Un incontro ovviamente inviso al governo Netanyahu, che non manca di opporsi alla volontà americana di coinvolgere l’Autorità nazionale palestinese (Anp) nella futura gestione di Gaza, una volta terminate le ostilità. Il Segretario di Stato americano è stato accolto al suo arrivo a Ramallah da manifestanti che hanno urlato “Palestina Libera” e “Stop al genocidio”. La retorica del “porre fine alla violenza estremista e lavorare per uno Stato palestinese indipendente” non convince le masse arabo-palestinesi, da anni divise tra organizzazioni e attori stranieri che ne vogliono guidare la traiettoria. Neanche quelle più moderate, come l’Anp. Gaza “è parte inseparabile dello Stato palestinese e non consentiremo alcun tentativo di sradicare il nostro popolo dalla Cisgiordania, da Gerusalemme e dalla Striscia”, ha infatti dichiarato Abu Mazen.

Nonostante le accuse e le tensioni, dopo la visita di Blinken Israele ha tuttavia consentito a una delegazione dell’Onu di visitare il nord di Gaza, in modo che possa constatare da vicino lo stato delle infrastrutture e stabilire i bisogni nell’area. Le Nazioni Unite, dal canto loro, hanno più volte espresso preoccupazione riguardo alle condizioni di fame nella Striscia e per l’ormai inesistente accesso al cibo di molte persone nell’enclave palestinese. “Molti ci supplicano per avere qualcosa da mangiare”, hanno riportato alcuni funzionari.

Intanto una delegazione israeliana si è recata al Cairo per una nuova tornata di incontri con vertici dell’Egitto in vista di un possibile nuovo scambio di ostaggi. L’Egitto, insieme al Qatar e agli Usa, è uno dei promotori dei negoziati che in passato hanno portato alla tregua temporanea tra Hamas e Israele. Lo Stato ebraico è dunque stretto tra il fuoco del fronte di Gaza e Libano (dove lo scontro con Hezbollah si fa sempre più vivo) e quello dell’egemone America che vuole mettere preso fine al conflitto per la Striscia. La ferma volontà di Israele è però quella di giustificare e proseguire la sua guerra contro i palestinesi e ottenere il controllo delle terre comprese fra il fiume Giordano e il Mediterraneo. In altre parole: dopo Gaza, toccherà alla Cisgiordania. E non ci sarà proposta di autogoverno palestinese sponsorizzata dagli Usa che tenga, perché Israele non ripone alcune fiducia in qualunque fazione arabo-palestinese. Anche dietro garanzia di Washington.