Israele-Hamas, il vero motivo per cui la tregua viene prolungata

Terminati i quattro giorni di cessate il fuoco previsti dall'accordo mediato dal Qatar, Israele e Hamas concordano una proroga della tregua. Come mai? E soprattutto: fino a quando durerà?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’accordo sullo scambio di ostaggi e prigionieri tra Israele e Hamas procede secondo le previsioni: al quarto e ultimo giorno di tregua pattuito, i fondamentalisti hanno liberato 54 persone, di cui circa metà israeliani e metà provenienti da Thailandia e Filippine (soprattutto braccianti) e da Stati Uniti e Russia. Lo Stato ebraico ha invece rilasciato 117 palestinesi, alcuni dei quali hanno raggiunto la maggiore età in carcere. Il rapporto 1:3 è stato grossomodo rispettato, seppur con tensioni e accuse reciproche. Nel primo giorno di proroga del cessate il fuoco hanno ritrovato la libertà altri 10 ostaggi israeliani e 30 detenuti palestinesi.

Nonostante l’intesa prevedesse esclusivamente la liberazione di minori, donne e anziani, Hamas ha liberato anche un uomo adulto russo-israeliano, a seguito di alcuni colloqui diretti con il Cremlino. Lo Stato ebraico ritiene che ancora 173 persone si trovino in ostaggio nella Striscia di Gaza, dopo essere state prese con la forza durante il maxi attacco del 7 ottobre.

Come sta procedendo lo scambio di ostaggi e prigionieri

Dieci ostaggi liberati per ogni giorno di tregua aggiuntivo: sono queste le condizioni imposte da Israele per prolungare il cessate il fuoco, ostracizzato per settimane. Intanto il Qatar, grande mediatore del conflitto in Medio Oriente come abbiamo spiegato qui, invia un’altra delegazione a Tel Aviv e lavora alacremente per estendere ulteriormente la tregua. Il primo emissario qatariota si era recato nello Stato ebraico il 25 novembre, segnando un evento a suo modo storico visto che i due Paesi non intrattengono rapporti diplomatici.

Il tutto ovviamente a patto che Hamas rispetti (ancora) i termini e continui a rilasciare 10 ostaggi al giorno. E a patto, per contro, che Israele non ostacoli l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia, che in quattro giorni sono arrivati a bordo di oltre 800 camion. Il capo della Cia, William Burns, è volato in Qatar per incontrare in gran segreto il suo omologo israeliano Aharon Haliva. L’intento americano è quello di estendere la tregua e lo scambio di ostaggi per includere il rilascio di uomini e militari.

Le tensioni e le accuse reciproche, nel frattempo, non si sono però fermate. Da una parte Hamas sostiene che Israele abbia bloccato l’arrivo di carburante negli ospedali del nord della Striscia e di aver fatto passare soltanto un terzo dei camion umanitari permessi. Dall’altra Israele accusa Hamas di non aver concesso al personale della Croce Rossa Internazionale di visitare gli ostaggi che si trovavano ancora a Gaza e di aver liberato alcuni minori separandoli dai genitori ancora prigionieri. A complicare il tutto non poteva mancare un grande classico dei cessate il fuoco in Medio Oriente (e non solo), e cioè l’infrazione del cessate il fuoco. Mentre si attendeva ancora la liberazione degli ostaggi nel primo giorno di proroga della tregua, tre ordigni sono esplosi nel nord della Striscia di Gaza in prossimità di un avamposto delle forze israeliane. Segnalato anche uno scontro a fuoco in cui sarebbero rimasti feriti soldati dello Stato ebraico.

Hamas non si è attardato a replicare anche sul campo della retorica. Le tre esplosioni sono state “una frizione tattica in seguito a una palese violazione da parte di Israele dell’accordo di cessate il fuoco”. I combattenti islamisti “hanno reagito alla violazione. Noi siamo impegnati alla tregua fintanto che anche Israele lo è. Facciamo appello ai mediatori affinché premano sullo Stato ebraico per il rispetto di tutte le intese, in terra e in cielo”.

Intanto sono stati svelati i segreti di Hamas: ecco come ha preparato l’attacco a Israele.

Perché la tregua è stata prolungata

La mediazione del Qatar è stata ancora una volta decisiva: nella serata dell’ultimo dei quattro giorni di tregua previsti dall’accordo originario, è stata raggiunta l’intesa per prolungare il cessate il fuoco di altri due giorni. Il che vuol dire la liberazione di altri 20 ostaggi in cambio di 60 prigionieri palestinesi. La volontà bipartisan di voler prolungare la tregua era evidente da una clausola dell’accordo, che prevedeva per l’appunto una proroga di 24 ore in caso di liberazione di altri 10 ostaggi.

La retorica di questo conflitto ci ha abituati una volta in più a considerare gli esseri umani come merce di scambio o, quando va bene, come semplici numeri. Al di fuori delle stanze negoziali c’è però il popolo. Di suo, il governo israeliano è strategicamente contrario al cessate il fuoco. Le stesse uscite pubbliche di Netanyahu negli ultimi giorni sono state all’indice del militarismo: il 26 novembre il premier israeliano ha visitato le truppe dislocate a Gaza, con tanto di giubbotto antiproiettile e casco protettivo. E con tanto di tre obiettivi bellici che risuonano come comandamenti:

  • riportare a casa tutti gli ostaggi;
  • annientare completamente Hamas;
  • impedire che Gaza torni a essere una minaccia per Israele.

L’opinione pubblica israeliana dà grandissimo peso e risalto alla sorte degli ostaggi, costringendo il governo Netanyahu a non compiere più passi falsi che possano mettere in pericolo la loro incolumità. La sera del 25 novembre oltre 100mila cittadini hanno manifestato nel centro di Tel Aviv in occasione del cinquantesimo giorno dal blitz di Hamas del 7 ottobre. Questo è senza dubbio un primo motivo per cui Israele ha optato per la proroga del cessate il fuoco, dopo aver rifiutato per settimane le richieste di Hamas che volevano sospendere le ostilità.

Ma non è l’unico, perché anche (e soprattutto) Hamas ha interesse a lasciare i fucili nell’armeria. Il movimento islamista ha infatti bisogno della tregua per riorganizzare combattenti e territorio dopo i pesantissimi bombardamenti compiuti per settimane da Israele e per far alzare il prezzo delle trattative per il rilascio degli ostaggi. Per giunta a scadenza quotidiana, aumentando la pressione sugli avversari e recuperando le forze.

Cosa vogliono gli Stati Uniti

Dietro il prolungamento della tregua ci sono anche gli Stati Uniti, che stanno giocando una partita a porte chiuse con Israele. Al netto delle tensioni crescenti degli ultimi tempi tra le amministrazioni Biden e Netanyahu, gli Usa mettono sul tavolo delle trattative non solo la ripresa del conflitto, ma anche la ricerca di una soluzione politica alla grande contesa israelo-palestinese. Per la Casa Bianca è un imperativo in primis strategico, vista la “stanchezza imperiale” degli Usa a causa dell’impegno simultaneo su più fronti.

Joe Biden è inoltre pressato da un’opinione pubblica sempre più stanca dello sforzo richiesto per sostenere Israele e Ucraina. Entrambe due vertebre strategica per l’egemonia globale, ma anche due “pedine ribelli” che, una volta concluse le rispettive guerre, avranno molte meno occasioni per alzare la voce con Washington.

Fino a quando durerà la tregua

E arriviamo alla domanda delle domande: per quanto tempo ancora Israele e Hamas eviteranno di combattersi? La logica militare vuole che nessuno dei due schieramenti consegni tutti gli ostaggi e prigionieri che ha in mano, altrimenti perderebbero un bel peso da giocare sulla bilancia. Una situazione che avvantaggia Hamas, come ben sa lo Stato ebraico.

E infatti, quasi a fine giornata, Israele ha dichiarato di non essere più disposto ad ampliare la tregua, destinata a scadere il 29 novembre. Il termine ultimo oltre il quale Netanyahu non andrà è domenica, per un totale di 10 giorni di sospensione delle ostilità. Con ogni probabilità, dunque, ci saranno altri due rinnovi della tregua di due giorni ciascuno, fino al 3 dicembre. Dopodiché si scatenerà di nuovo la guerra.