Israele invaderà Rafah anche in caso di accordo con Hamas: le parole di Netanyahu

L'invasione di Rafah avrà luogo anche in caso di accordo per il rilascio degli ostaggi tra Hamas e Israele

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu ha avvertito che l’invasione di Rafah, l’ultima grande città della Striscia di Gaza ancora non occupata dall’Idf, andrà avanti anche in caso di accordo con Hamas per la liberazione degli ostaggi. Un attacco a Rafah sembrava essere stato scongiurato nelle ultime settimane, dopo il ritiro parziale dei soldati di Tel Aviv da alcune regioni della Striscia di Gaza. Negli ultimi giorni però l’esercito israeliano ha ricominciato ad ammassare truppe e mezzi per prepararsi all’invasione di terra della città.

Nella giornata di martedì 30 aprile è circolata una bozza di accordo tra Israele e Hamas che potrebbe portare a una tregua di 40 giorni nella Striscia di Gaza. Prevede la liberazione di tutti gli ostaggi che, secondo Tel Aviv, sarebbero ancora in mano al gruppo palestinese, in tutto una trentina. Non ci sarebbero ostacoli all’accordo né da parte palestinese né da parte israeliana, ma un’eventuale invasione di Rafah potrebbe nuovamente allontanare le parti.

Netanyahu ribadisce: Israele invaderà Rafah

“L’idea che porremo fine alla guerra prima di raggiungere tutti i nostri obiettivi è inaccettabile. Entreremo a Rafah e annienteremo tutte le milizie di Hamas presenti, con o senza un accordo, per ottenere una vittoria totale”. Con queste parole il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiuso all’eventualità che un accordo per la liberazione degli ostaggi israeliani rimasti nelle mani di Hamas possa evitare un’invasione dell’ultima grande città della Striscia di Gaza ancora non occupata dall’Idf.

Rafah è un grosso centro abitato nel sud della Striscia di Gaza. Si trova a pochi metri dal valico omonimo, una delle poche strade che consentono di arrivare in Egitto dal territorio palestinese. Prima dell’inizio della guerra di Israele contro Hamas contava circa 170mila abitanti, ma da allora ha ospitato ondate di rifugiati dal nord della Striscia, spinte a sud dall’avanzata dell’Idf. Da diverse settimane si ipotizza che possa essere invasa via terra, anche se l’abitato ha già subito gravi bombardamenti aerei, come quello che ha ucciso 27 persone nella notte tra il 28 e il 29 aprile.

Si calcola che a Rafah siano rifugiati in questo momento 1,4 milioni di sfollati palestinesi, quasi 10 volte la normale popolazione della città. Le loro condizioni, in particolare in caso di invasione di terra da parte dell’esercito israeliano, preoccupano molto la comunità internazionale. Il presidente degli Usa Joe Biden ha tentato diverse volte di dissuadere Benjamin Netanyahu dal procedere con l’invasione, ma gli ultimi movimenti dell’Idf suggeriscono un attacco imminente.

I preparativi per l’invasione di Rafah

Alcune immagini satellitari hanno però rivelato che negli ultimi giorni Israele sta nuovamente ammassando truppe nei pressi della parte meridionale della Striscia di Gaza. Questi movimenti seguono una fase in cui le truppe israeliane si erano ritirate dalla zona, dando la speranza che si potesse trattare di un segnale distensivo in vista delle trattative per un cessate il fuoco.

Fin da subito però le autorità israeliane avevano contestualizzato questi movimenti dell’esercito come una riorganizzazione delle truppe in vista dell’attacco definitivo a Rafah. Il governo di Tel Aviv considera la città come l’ultima roccaforte di Hamas e la sua invasione rappresenterebbe il colpo finale all’autorità del gruppo sulla Striscia di Gaza. Il fatto che le trattative per la liberazione degli ostaggi proseguano in parallelo con i preparativi dell’invasione dimostra che non c’è da parte israeliana la speranza di trovare e liberare gli ostaggi ancora in vita con questa operazione militare.

Le principali critiche a questa mossa dell’Idf riguardano la situazione umanitaria nella città di Rafah. L’esercito ha approntato un campo profughi in località Al Mawasi, con tende per circa un terzo dei civili che si trovano in questo momento nella città. Molti osservatori ritengono questa misura insufficiente per evitare un disastro umanitario durante l’invasione, anche se in passato l’esercito israeliano ha fatto sfollare sempre soltanto una porzione della popolazione civile delle città che ha invaso.

A differenza di quanto avvenuto a Gaza city però, Rafah ha circa dieci volte oggi la popolazione che aveva all’inizio della guerra. Questo potrebbe rendere le operazioni di evacuazione molto più complicate, esponendo moltissimi civili al rischio di rimanere coinvolti negli inevitabili combattimenti tra Hamas e le forze dell’Idf.

L’accordo con Hamas per la liberazione degli ostaggi

Proprio in questi giorni le delegazioni diplomatiche di Hamas e di Israele si sarebbero riavvicinate e avrebbero trovato una bozza di accordo per la liberazione di 33 ostaggi ancora tenuti nella Striscia di Gaza dal gruppo palestinese. Si calcola che manchino all’appello ancora 130 persone rapite da Hamas durante gli attacchi del 7 ottobre scorso. Si ritiene però anche che molti di questi possano essere già morti per via delle condizioni in cui versa la Striscia di Gaza e dei combattimenti. In altri casi invece, i vertici di Hamas fuori dalla Striscia avrebbero perso il contatto con i vari gruppi che ancora detengono gli ostaggi e non potrebbero quindi garantirne la liberazione in caso di accordo.

Israele sembra comunque aver accettato la liberazione sicura di 33 persone, tanto da offrire in cambio sia un cessate il fuoco che la liberazione di diversi prigionieri palestinesi dalle sue carceri. Per quanto riguarda la tregua, si parla di 40 giorni senza combattimenti, anche se Netanyahu ha chiarito che questo non scongiurerà un’invasione di Rafah da parte dell’esercito israeliano. Non è stato invece fornito un numero preciso di prigionieri palestinesi che potrebbero essere liberati nell’ambito dell’accordo, ma l’ordine di grandezze dovrebbe essere attorno alle migliaia.

A spingere per questo accordo sono soprattutto gli Stati Uniti. Fin dall’inizio delle ostilità gli Usa hanno cercato di favorire una soluzione diplomatica. Il mancato sostegno pubblico da parte della Casa Bianca alle operazioni militari nella Striscia di Gaza ha fatto degenerare i rapporti personali tra il presidente americano Joe Biden e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Gli sforzi diplomatici sono stati favoriti anche dal Qatar, che ha spesso interloquito per conto di Hamas, e dall’Egitto, che ha ospitato gli incontri.

Proprio il Paese nordafricano è molto preoccupato per la situazione oltre il confine a Rafah. Una crisi umanitaria su larga scala dovuta all’attacco israeliano sulla città potrebbe avere conseguenze oltre il confine, anche se il valico che conduce in territorio egiziano è chiuso fin dall’inizio della guerra.