Russia, rimpasto di governo: perché Putin ha rivoluzionato la Difesa e cosa cambia

L'apparente rivoluzione nelle stanze del Cremlino non è vera. Più significativo capire il quando e il perché è stato compiuto il rimpasto di governo voluto da Putin. E come cambierà la guerra in Ucraina

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Mentre i carri armati avanzato nell’oblast di Kharkiv e le forze russe abbattono il primo pezzo di artiglieria italiano al fronte ucraino, un Oto Melara M56 da 105 mm, a Mosca si consuma una rivoluzione politica che di politico ha ben poco.

Tre giorni dopo aver confermato la nomina a premier di Mikhail Mishustin, Vladimir Putin ha attuato l’annunciato rimpasto di governo, soprattutto per quanto riguarda i vertici della Difesa e la dirigenza militare. Per alcuni analisti si tratta di un cambio di rotta che implica una guerra lunga in Ucraina, come se tutti gli altri segnali finora offerti dal Cremlino facessero propendere per la tesi contraria. La mossa del presidente russo è anzi la conferma di un disegno tattico che va oltre Kiev e abbraccia la competizione con gli Usa e il futuro del Paese.

Il rimpasto di governo in Russia: fuori Shoigu, dentro Belousov e Patrushev

Tanto rumore per nulla, scriveva il più grande drammaturgo della storia inglese. Sicuramente il primo grande atto di Vladimir Putin nel suo quinto mandato presidenziale smuove un po’ di scrivanie nelle stanze del Cremlino, ma nella sostanza della guerra e della postura internazionale russa cambia poco o niente. Un indizio è dato anche dal fatto che non sono cambiati i vertici dei servizi di sicurezza: Bortnikov all’Fsb, Naryshkin all’Svr e Kolokol’cev all’Interno. Per cominciare, ha fatto molto scalpore (ma solo in Occidente) l’allontanamento di Sergei Shoigu dalla guida del ministero della Difesa a beneficio di Andrei Belousov, economista ed ex vicepremier della Federazione. Vorrà dire che la gestione della guerra in Ucraina diventerà più “economica” o comunque cambierà? Decisamente no. Più verosimilmente Belousov avrà il compito di integrare l’intero comparto della Difesa con l’apparato delle Finanze, con eventuali ricadute anche sulle compagnie paramilitari che di fatto rappresentano le unità d’élite dell’esercito russo all’estero.

Belousov ha la fama in patria (e non solo) di aver predetto la crisi economica del 2008 e per aver ricoperto la carica di premier per soli 20 giorni, nel 2020, perché Mishustin era stato contagiato dal Covid-19. Ma, soprattutto, come ministro dell’Economia (per poco tempo) e poi principale assistente economico di Putin ha curato con profitto il passaggio a un’economia di guerra. Dalle restrizioni per le aziende alle tasse per l’industria metallurgica e mineraria, il fedelissimo dello “zar” rappresenta a livello politico l’intransigenza che in molto chiedevano in un ambiente profondamente influenzato dalla corruzione. La nomina di Belousov andrebbe anche in questa direzione, scacciando gli scomodi spettri di uno scandalo che ha coinvolto – tra gli altri – anche l’ex vice ministro della Difesa Timur Ivanov, stretto collaboratore di Shoighu, arrestato e passibile di 15 anni di reclusione. Lo stesso Shoigu che, prima o poi, sapeva di dover pagare lo scotto della ribellione del Gruppo Wagner del giugno 2023. La grande novità è rappresentata dal fatto che a guidare la Difesa sarà un civile che non ha mai trattato questioni squisitamente militari, economista figlio di un economista. Di più: un monetarista convinto che lo Stato debba sottomettere le grandi imprese. Nazionalizzazione come mantra condiviso dal presidente. Segnale di una pianificazione profonda degli innumerevoli interessi e reti della Russia nel mondo, dall’Asia Centrale al Medio Oriente. E non di un prolungamento della guerra, che sarebbe stata prolungata già di suo senza bisogno di spostare la poltrona di Belousov.

Come previsto, la Duma di Stato russa ha poi approvato la nomina di Dmitry Patrushev, all’incarico di vice primo ministro russo “di secondo livello”. L’organigramma governativo russo non è come il nostro ed esistono dieci vice premier detti di secondo livello. Come primo vicepremier è stato invece nominato Denis Manturov, ministro dell’Industria e del Commercio dal 2012. Dmitry Patrushev è stato spostato dal ministero dell’Agricoltura per seguire la sua area di competenza più “da vicino” al trono di Putin. Alla guida del dicastero è stata nominata una sua vice, la 45enne Oksana Lut. Il valzer delle poltrone istituzionali si fa più fitto: per chi non si lasciato sfuggire il cognome, il padre di Dmitry è Nikolaj Patrushev, che ha ceduto la guida del Consiglio di Sicurezza proprio al “silurato” Shoigu. Che esce dunque dalla porta per rientrare dalla finestra. E Nikolaj, che fine fa? Al momento non si sa, ma assieme a Shoigu e Lavrov fa parte della cerchia di quelli che potremmo definire i “super fedelissimi” di Putin. Proprio Sergei Lavrov sarebbe rimasto al posto che occupa stabilmente da 20 anni per confermare la volontà russa di sedersi prima o poi al tavolo delle trattative, senza cambiare la linea diplomatica. Con gli americani, non certo con gli ucraini, e solo dopo aver ottenuto il massimo vantaggio sul terreno.

Chi è il nuovo ministro della Difesa russo Andrei Belousov

Qualche dettaglio in più sull’uomo che dovrebbe rappresentare una svolta per la tenuta dell’economia, la produzione bellica e la logistica nel tentativo di avere la meglio sull’esercito ucraino. Di Andrei Belousov si sa relativamente poco. 65 anni, laureato in Economia all’Università “Lomonosov” di Mosca nel 1981, negli ultimi quattro anni è stato uno dei vicepremier del governo russo. Nel 2000 si tuffa nella politica, ricoprendo la carica di consigliere del capo del governo. Dal 2008 al 2012, quando Putin è premier, Belousov guida il dipartimento governativo di Economia e Finanza. Poi diventa ministro dello Sviluppo Economico e, dal 2013 al 2020, consigliere economico di Putin al Cremlino. Nel 2020 è nominato primo vicepremier nell’esecutivo guidato dal confermato Mikhail Mishustin.

Fonti del giornale Meduza vicine al governo russo sostengono che la nomina di Belousov sia stata “una decisione personale del presidente” e descrivono il nuovo ministro come “una persona che Putin conosce e ascolta”. Una fonte della testata The Bell presenta invece Belousov come “una persona che crede nella tesi della propaganda che vede la Russia circondata da nemici“. Come gran parte dei russi, verrebbe da dire, giacché non sono mai i leader a generare una popolazione ma esattamente il contrario. Ma tant’è. Belousov è stato inoltre “l’unico” tra gli economisti di spicco dell’entourage di Putin a sostenere nel 2014 l’annessione della Crimea, in violazione del diritto internazionale. Una mossa apparentemente infelice, che ha attirato sanzioni occidentali contro Mosca, ma che per i russi rappresentano “un’occasione” per stringere legami più forti col resto del mondo, a partire da Iran e Cina. Non è un caso se in questi giorni il Cremlino ha sottolineato che la spesa del settore Difesa si starebbe avvicinando al 7% del Pil, cioè ai livelli a suo dire raggiunti dall’Unione Sovietica nei difficili Anni Ottanta. In realtà, secondo Meduza, la spesa militare attuale avrebbe già raggiunto il 7,6% del Pil russo. Un rapporto Nato del 1989 stimava che le spese militari ammontassero invece al 15-17% del Pil nazionale sovietico.

Cosa c’è dietro la mossa di Putin

Dietro il rimpasto di governo ci sarebbe innanzitutto la volontà di Putin di mostrare il suo disappunto per la gestione e la condotta della guerra in Ucraina da parte dei vertici politico-militari. Una mossa di facciata, che non cambia le carte in tavola dal punto di vista bellico ma che, come abbiamo accennato, potrebbe inaugurare un nuovo corso “collaborativo” tra apparati economico-finanziari e apparati militari in Russia. Forse è più interessante soffermarsi sul quando, cioè sulle tempistiche di questa scelta da parte del presidente russo. Shoigu è stato infatti trasferito proprio nel pieno di un’offensiva verso la strategica Kharkiv, nel nord-est ucraino, al contrario di quanto successe invece un anno fa, quando l’ormai ex ministro venne preso di mira dalle critiche del fondatore della Wagner, Yevgeny Prigozhin. Nel frattempo, come ricordato, il vice Timur Ivanov è stato però arrestato per corruzione e gli è stato ordinato di rimanere in custodia in attesa di un’indagine ufficiale. Arresto che è stato ampiamente interpretato come un attacco a Shoigu. Tutta scena, potremmo dire, perché Putin considera Shoigu un prezioso alleato e un sodale, come in Russia tutti sanno. Le immagini delle cavalcate insieme nelle steppe della Siberia e le battute di caccia sono molto celebri tra i cittadini della Federazione, la cui dottrina sociale celebra l’uomo forte e leale.

Il Cremlino e il Consiglio della Federazione hanno insomma sollevato tanta polvere nelle stanze del potere, senza dare adito ad alcuna rivoluzione politica. Piuttosto un assestamento in prospettiva. Anche dal punto di vista bellico, visto che il capo di Stato maggiore, Valery Gerasimov, rimarrà (almeno per ora) al suo posto. Quattro governatori entrano nel governo di Mishustin soprattutto per la loro provenienza geografica, in relazione alle zone più calde o più strategiche per il conflitto con Ucraina e Nato: Anton Alikhanov di Kaliningrad al posto di Manturov; Sergei Tsivilev di Kemerovo all’Energia (secondo i media d’opposizione, sua moglie è la nipote di Putin); Mikhail Degtyarev di Khabarovsk allo Sport; ai Trasporti va Roman Starovoyt della regione di Kursk, una delle tre regioni bombardate più frequentemente dall’inizio della guerra.

Anche secondo l’intelligence di Kiev, la riorganizzazione del vertice amministrativo russo da parte di Putin indica diverse cose. In primis la transizione finale del Paese al “comunismo militare”, cioè militarizzazione totale dell’economia e ristrutturazione dei sistemi di rifornimento dell’esercito, allo scopo di fornire risorse per la guerra “senza fine”. Secondo il consigliere presidenziale ucraino, Mikhaylo Podolyak, le decisioni del Cremlino indicano poi una “ridistribuzione dell’influenza funzionale tra i clan tradizionali e una forte riduzione del numero dei membri influenti del ‘Politburo 2.0’ informale attorno a Putin. Ma anche la volontà di risolvere l’eterno compito di frenare la corruzione dell’esercito (deporre il gruppo di Shoigu) e il graduale schiacciamento delle ambizioni di palazzo del gruppo di Patrushev verso la periferia”. Che, tra l’altro, indica direttamente la crescita della sfiducia all’interno della verticale del potere nel sistema putiniano. In conclusione, afferma Podolyak, la Russia si sta finalmente isolando e cercherà di allargare la guerra, ricalibrando al tempo stesso l’economia per funzionare in formati in grado di sostenere un forte aumento della componente militare. In ogni caso, “non è possibile che la Russia ritorni a partecipare adeguatamente ai processi globali, e quindi qualsiasi formato negoziale è impossibile”.