L’11 settembre di Condoleezza Rice: il suo sguardo al futuro

Guardandosi alle spalle, Condoleezza Rice ripensa agli attentati dell'11 settembre e pensa al loro impatto sul futuro

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Condoleezza Rice è una delle politiche più note e influenti degli anni Duemila. Il suo nome sarà sempre legato agli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti. Al tempo era infatti in carica come Consigliere per la sicurezza nazionale nella prima amministrazione di George W. Bush.

Dopo l’11 settembre 2001

In seguito agli attentati che hanno colpito il cuore di New York e gli Stati Uniti tutti, dando inizio al periodo del terrore su scala globale, Condoleezza Rice ha ricevuto l’incarico di sviluppare una nuova politica di sicurezza nazionale.

Fece molto discutere il suo rifiuto di testimoniare dinanzi alla commissione dedicata all’11 settembre. Un caso dall’eco internazionale, che ha infine spinto il presidente Bush a fornire la propria autorizzazione.

Non passerà di certo alla storia come una guerrafondaia, ma Rice si è più volte espressa in maniera positiva in merito alle posizioni neoconservatrici sulla guerra preventiva. Distante, però, rispetto al pensiero del vicepresidente Dick Cheney e dell’allora segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, considerati dei veri e propri “falchi” sul tema dell’attacco al Medio Oriente.

Ciò non toglie che Condoleezza Rice abbia apertamente sostenuto l’invasione dell’Iraq portata avanti nel 2003, dietro falsa accusa di possesso d’armi di distruzione di massa. Passato alla storia il suo editoriale pubblicato dal New York Times, dal titolo Perché sappiamo che l’Iraq sta mentendo.

20 anni dopo

Guardando indietro, tornando al passato con la memoria di ben 20 anni, Condoleezza Rice ha fornito un resoconto di quella fase storica al Washington Post. In pochi minuti tutto era cambiato per sempre e, da politica, ricorda i frangenti operativi, spiegando come il presidente Bush fosse in Florida, Colin Powell in Perù, il direttore della CIA, George Tenet, si diceva fosse già in un bunker a Langley, mentre il segretario Rumsfeld era irraggiungibile. L’ipotesi avaria svanì rapidamente, per poi rendersi conto come fosse un attacco alla nazione.

Non c’era tempo di agire, in realtà, ma solo di gestire. I Servizi Segreti presero in mano la situazione nell’immediato, conducendola presso il Presidential Management Center, ovvero il bunker d’emergenza.

Un dettaglio risulta molto importante, soprattutto alla luce dei rapporti odierni con la Russia. Rice contattò Putin, al fine di dover assistere alla sua risposta dinanzi alla sorprendente mobilitazione armata USA: “Mi disse di non preoccuparmi e che tutte le loro esercitazioni militari sarebbero state cancellare. Pensai, allora, che la Guerra Fredda era davvero terminata”.

Tante decisioni sono state prese in quella fase cruciale, come l’armamento del drone Predator. Nulla però a confronto dell’invasione di marzo 2003 in Iraq, sulla base di false accuse. Condoleezza Rice difende l’operato americano, sulla base delle informazioni ottenute dall’intelligence. Non si può cambiare il passato, dice, ma ci tiene a definire il regime iracheno oscuro: “Il mondo e il Medio Oriente sono migliori senza la presenza di Saddam Hussein”.

I rimorsi non mancano ma l’ex segretario di Stato resta orgogliosa dell’operato dell’amministrazione Bush. Il presidente decise allora che era giunto il momento d’agire per la comunità internazionale: “Vedremo gli effetti nel tempo, ma posso dire che in cambio di quelle scelte stiamo ottenendo un differente tipo di Medio Oriente”.