Referendum Jobs Act a giugno, cosa prevede: torna l’Articolo 18?

L'8 e il 9 giugno i cittadini sono chiamati a esprimersi su un quesito referendario sui rapporti di lavoro e sui licenziamenti, con il possibile ritorno alla riforma Fornero

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 22 Marzo 2025 14:21

L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, la legge n. 300/1970, ha storicamente rappresentato una delle norme di maggior importanza per la tutela contro i licenziamenti illegittimi. In origine, prevedeva la reintegra obbligatoria del lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo nelle aziende con più di 15 dipendenti (5 per le imprese agricole).

Nel corso degli anni sull’articolo sono intervenute due riforme chiave, prima la riforma Fornero (legge 92/2012) e poi il d. lgs. n. 23 del 2015, attuativo del Jobs Act. Ma ora lo scenario normativo potrebbe cambiare di nuovo, perché a giugno i cittadini saranno chiamati a esprimersi nel previsto referendum abrogativo.

Dovranno votare per la cancellazione o la conservazione di quanto disposto dal decreto del 2015, emesso all’epoca del governo Renzi e il ripristino della situazione precedente.

Cerchiamo allora di fare il punto della situazione, spiegando qual è il quesito referendario in materia di articolo 18 e perché può essere una consultazione di estremo rilievo per i rapporti di lavoro presenti e futuri.

Referendum abrogativo l’8 e il 9 giugno 2025

Disciplinato dalla Costituzione all’art. 75, un referendum abrogativo è uno strumento con il quale i cittadini possono chiedere l’abrogazione totale o parziale di una legge. Se la consultazione ha esito positivo, ne conseguirà che la norma oggetto della consultazione popolare sarà eliminata dall’ordinamento.

L’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su ben 5 quesiti referendari abrogativi. Di questi, quattro sono riferiti al mondo del lavoro (l’altro riguarda la cittadinanza) e riguarderanno:

  • l’indennità di licenziamento nelle piccole imprese;
  • i contratti di lavoro a termine;
  • la responsabilità solidale del committente negli appalti;
  • il Jobs Act, attuato dal d. lgs. n. 23 del 2015 con il varo del contratto a tutele crescenti.

Le consultazioni saranno possibili per la dichiarazione di ammissibilità da parte della Corte Costituzionale, come comunicato dal suo Ufficio Comunicazione e Stampa lo scorso 20 gennaio.

Cosa riguarda quesito referendario sul Jobs Act

In tema di Jobs Act, il referendum al voto l’8 e il 9 giugno prossimo potrebbe essere, in qualche modo, rivoluzionario rispetto a un assetto che negli ultimi anni ha suscitato varie critiche negli ambienti sindacali. Non a caso la Cgil è stata capofila della promozione dei referendum in oggetto, raccogliendo milioni di firme.

In particolare, la richiesta di referendum abrogativo denominata Contratto di lavoro a tutele crescenti – disciplina dei licenziamenti illegittimi è stata ritenuta ammissibile dalla Consulta. Il relativo quesito non rientra in nessuna ipotesi per cui l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario.

Il Jobs Act è un programma di riforme avviato dal Governo con la legge delega 183/2014, al fine di:

  • favorire il rilancio dell’occupazione;
  • riformare il mercato del lavoro;
  • riformare il sistema delle tutele.

Tra i provvedimenti adottati in attuazione di questa legge c’è il citato d. lgs. 23/2015: come accennato, il testo finirà sotto la lente dei cittadini che avranno modo di pronunciarsi sul suo destino.

Nel primo quesito si chiede, infatti, l’abrogazione della disciplina dei licenziamenti introdotta dal Jobs Act con il contratto a tutele crescenti. In caso di vittoria del sì, sarebbe cancellata la più recente disciplina dei licenziamenti illegittimi, tornando all’art. 18 ma nella versione riformata nel 2012 dalla legge Fornero.

Cosa prevede il d. lgs. 23/2015 sul licenziamento illegittimo

Oggi si usa dire che, con il Jobs Act, l’articolo 18 è stato di fatto abolito per i nuovi assunti dal 7 marzo 2015 in poi. Cerchiamo di capire perché.

In sintesi è stato introdotto il sistema a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, mentre il diritto alla reintegra, con risarcimento e pagamento dei contributi per il periodo tra il licenziamento e il ritorno in ufficio, ha ricevuto una compressione, essendo eccezionalmente previsto per i licenziamenti nulli, discriminatori, orali, in violazione di tutele specifiche e poche altre ipotesi.

Per i nuovi assunti dal 7 marzo 2015 la tutela indennitaria (ridotta per anzianità di servizio), diviene la regola generale, sia per i licenziamenti economici e che per i restanti licenziamenti ingiustificati. Mentre l’alternativa del ritorno sul posto di lavoro ha uno spazio marginale.

Per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 continua a valere il regime modificato dalla riforma Fornero, con la possibilità di reintegra in alcuni casi, ma non più in modo esteso come nella versione originale dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Notiamo anche che nel settembre 2018 sull’indennità di cui al Jobs Act è intervenuta la Consulta dichiarandone l’incostituzionalità (violazione degli artt. 4 e 35 Costituzione), richiedendo che i giudici valutassero anche altri fattori oltre a quello dell’anzianità aziendale.

Vero è che la travagliata evoluzione dell’articolo 18 ha seguito un percorso di progressiva riduzione delle tutele per i lavoratori licenziati, passando dalla reintegrazione come regola alla monetizzazione del danno.

Se è vero che la riforma Fornero ha introdotto più flessibilità nel reintegro, è stato il Jobs Act – per il tramite del decreto attuativo ora sottoposto a referendum abrogativo – a sancire il passaggio definitivo verso un modello di indennizzo economico predeterminato, escludendo quasi del tutto il reintegro pur con un licenziamento giudicato illegittimo. Ecco perché c’è chi parla di rapporto di lavoro non a tempo indeterminato, ma a tempo “indeterminabile”.

Cosa succede in caso di abrogazione del Jobs Act

Come accennato, attualmente l’art. 18 è abolito ma potrebbe “resuscitare” per tutti, in caso di vittoria del sì al prossimo referendum abrogativo.

Il ripristino sarebbe parziale, perché non rispecchierebbe il dettato della legge 300/1970 ma quello della riforma Fornero che, pur mantenendo il principio generale della reintegrazione del posto di lavoro, aveva introdotto una distinzione tra diverse tipologie di licenziamento illegittimo, limitando i casi di reintegro.

In sintesi, il ritorno al passato, salve ovviamente novità legislative post referendum, si configurerebbe diversamente, a seconda del tipo di licenziamento:

  • se nullo, ritorsivo, orale o discriminatorio, oltre al risarcimento, scatterebbe l’obbligo di reintegra del dipendente e il pagamento dei contributi per il periodo rimasto “scoperto”;
  • se disciplinare, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, scatterebbe la reintegrazione a condizione che il fatto contestato risulti inesistente, altrimenti, in presenza di licenziamento sproporzionato rispetto ai fatti, vi sarebbe la sola concessione di un indennizzo economico per numero di mensilità – esito analogo a quello del fatto inesistente si avrebbe se il fatto è punibile secondo Ccnl con una sanzione conservativa o se  il licenziamento è dovuto a inidoneità fisica o psichica o in violazione dell’art. 2110 del Codice Civile (periodo di comporto);
  • se economico, per giustificato motivo oggettivo, spetterebbe il solo indennizzo (salva la prova dell’insussistenza del fatto).

L’art. 18 sarebbe così esteso anche agli assunti dopo il 7 marzo 2015, pur nella versione fortemente ridimensionata dalla riforma voluta da Elsa Fornero.

Chi può votare e qual è il quorum del referendum abrogativo

Hanno diritto di partecipare al referendum per l’abrogazione del d. lgs. 23/2015 tutti i cittadini chiamati a eleggere la Camera dei deputati, mentre la proposta soggetta a referendum sarà approvata se:

  • avrà partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto (il 50% + 1, ossia la maggioranza assoluta degli elettori);
  • sarà raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

Per l’abrogazione occorrerà votare , mentre per confermare le regole attuali occorrerà esprimersi con un No. Vincerà l’opzione con la maggioranza dei voti validi.

Se il quorum non sarà raggiunto, il referendum non cambierà l’assetto normativo attuale perché la legge oggetto della consultazione rimarrà in vigore.