Caratteristiche del contratto a tutele crescenti

Scopri quali sono i requisiti e le funzioni del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è un tipo di contratto a tempo indeterminato creato dal governo nel 2015 nell’ambito della riforma lavorativa del 7 marzo 2015 che fa parte del cosiddetto “jobs act” voluto fortemente dall’allora presidente del consiglio Matteo Renzi. L’introduzione di questa nuova formula contrattuale fu attuata per tutelare i lavoratori assunti a tempo indeterminato dal licenziamento illegittimo.

Contratto a tutele crescenti: cos’è

Il contratto a tutele crescenti non è un vero e proprio contratto ma più precisamente è una nuova disciplina che si concentra, in particolare, sui punti riguardanti il diritto di recesso da parte del datore di lavoro quando si è in presenza di un contratto a tempo indeterminato. Questa disciplina si attualizza con l’emanazione del decreto legislativo attuativo numero 23 del 4 marzo 2015 e si tramuta in una sorta di semplificazione in caso di recesso.

Gli obiettivi del contratto a tutele crescenti

Con la convinzione che l’articolo 18 avesse prodotto un sistema di tutela eccessiva del lavoratore, in caso di licenziamento perché le aziende rischiavano di dover pagare risarcimenti assurdi, si è immaginato che tale norma facesse demordere investitori stranieri con l’intenzione di investire in Italia. L’obiettivo del Jobs Act, nel 2015 era introdurre un nuovo apparato di tutele differenti rispetto a quelle previste dall’articolo 18. In pratica, la possibilità del dipendente di essere reintegrato nel posto di lavoro è quasi sempre esclusa e viene prevista per il lavoratore un’indennità in termini di risarcimento fissa che aumenta col crescere del numero di anni di anzianità di servizio.

Contratto a tutele crescenti: come funziona

La nuova disciplina del contratto a tutele crescenti prende di mira i licenziamenti illegittimi e volge lo sguardo ai lavoratori, dirigenti esclusi, che, abbiano maturato un’assunzione a tempo indeterminato dopo la data del 7 marzo 2015. Oltre ai nuovi assunti, la nuova normativa revisiona anche le trasformazioni dei contratti a tempo determinato o di apprendistato in rapporti a tempo indeterminato, sempre avvenute dopo tale data, e dei lavoratori già assunti da aziende con oltre 15 dipendenti assunti dopo il 7 marzo 2015. Ci sono diverse spiegazioni della disciplina a seconda delle diverse motivazioni che possono causare l’illegittimità del licenziamento. Il contratto a tutele crescenti si adotta solo quando i lavoratori sono subordinati e in particolare:

  • Lavoratori presi con contratto a tempo indeterminato in data successiva al 7 marzo 2015;
  • Impiegati con contratto a tempo determinato stilato prima del 7 marzo 2015 e che è stato modificato a tempo indeterminato in data successiva il 7 marzo 2015;
  • Nuovi lavoratori acquisiti con contratto di apprendistato in data antecedente al 7 marzo 2015 che è stato successivamente convalidato a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015.

Tutele crescenti in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o orale

Se il licenziamento approvato dal nostro responsabile risulta nullo in quanto discriminatorio o perché viola altre norme che differiscono ampliamente dai criteri stabiliti dalla legge o ancora perché notificato in forma orale, il datore di lavoro ha l’obbligatorietà di reintegro del dipendente. Se il lavoratore non rioccupa la posizione lavorativa persa entro trenta giorni dall’invito ufficiale dal datore di lavoro, il rapporto si giudica risolto. Oltre al reintegro, il lavoratore ha diritto ad un risarcimento per il danno subito a seguito del licenziamento. Il lavoratore che rifiuta il reintegro può anche richiedere, entro trenta giorni dall’invito a riprendere servizio, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

Licenziamento per giustificato motivo e per giusta causa

Facendo riferimento alle ipotesi in cui il licenziamento è risultato illegittimo, perché non pervenuto per una giusta causa e senza una giustificata motivazione, generalmente si considera il rapporto di lavoro terminato dal momento del licenziamento e non vi è possibilità di reintegro. In questo caso al datore di lavoro viene imposto di pagare un’indennità che può essere da quattro a ventiquattro mensilità a colui che è stato licenziato. Dopo la sentenza n.194 del 2018 l’importo dell’indennità viene stabilita a discrezionalità del giudice, che comunque non può aumentare o diminuite la somma rispetto i suddetti limiti.

Licenziamento per fatto insussistente

Il lavoratore viene reintegrato nei casi di illegittimità ovvero di insussistenza del licenziamento per giustificato motivo. Anche in questo caso il datore di lavoro deve dare un’indennità che verrà valutata in base all’ultima retribuzione di riferimento. L’indennità non può, in ogni caso, essere superiore a dodici mensilità e comporta tuttavia il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Licenziamenti con vizi procedurali e revoca del licenziamento

I licenziamenti illegittimi possono rivelarsi illegittimi, anche nel caso ci siano difetti di motivazione o vizi procedurali. In questo caso, non è previsto il reintegro ma si ha diritto ad un’indennità pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. La legge prescrive che, nel caso in cui il licenziamento sia annullato dal datore di lavoro entro quindici giorni il rapporto di lavoro viene ripristinato senza soluzione di continuità. In ogni caso, Il lavoratore ha comunque diritto alla retribuzione maturata nel periodo antecedente la revoca.

Offerta di conciliazione nel contratto a tutele crescenti

Ai dipendenti in attesa di essere licenziati, ma con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti può essere proposta una conciliazione dallo stesso datore di lavoro con lo scopo di evitare il giudizio. Costui può quindi concedere un’indennità con assegno circolare di importo pari a mezza mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio entro 60 giorni dalla comunicazione di licenziamento. Con l’accettazione dell’assegno il rapporto di lavoro termina e il lavoratore rinuncia all’impugnazione dell’atto.

Licenziamento dei dipendenti delle organizzazioni di tendenza

Anche le organizzazioni di tendenza sono sottoposti alla disciplina del contratto a tutele crescenti. Si tratta di quei datori di lavoro che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione o di culto senza fini di lucro. Dunque i lavoratori assunti a tempo indeterminato dalle organizzazioni di tendenza usufruiscono di eventuali risarcimenti e nei casi previsti, anche del reintegro in azienda.

Licenziamenti dovuti a cambio appalto

Nel cambio di appalto il lavoratore licenziato dall’impresa non più in possesso dell’appalto, viene riassunto automaticamente da parte dell’impresa subentrante con il contratto a tutele crescenti. In caso di licenziamento, il calcolo dell’anzianità di servizio del lavoratore viene effettuato tenendo conto di tutto il periodo nel quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

Previdenza nel caso di licenziamento illegittimo

Se si verifica questo caso il datore di lavoro deve versare i contributi previdenziali e assistenziali previsti dal giorno del licenziamento effettivo a quello della nuova assunzione. Il lavoratore può richiedere, in caso di reintegro un’indennità di 15 mensilità. La forma tutelare che porta al reintegro del lavoratore è applicata nei casi nulli e quindi discriminatorio e per gli altri casi di nullità esplicitamente previsti dalla normativa, anche per il licenziamento prescritto in forma orale.

Contratto a tutele crescenti: come funziona oggi

Non per tutti il Jobs Act era uno strumento utile per la tutela dei lavoratori. Per tale motivo sono iniziate una serie di misure volte a trasformare la normativa. Con il Decreto Dignità si è aumentata l’indennità minima e massima che il lavoratore licenziato può ottenere. La conseguenza prodotta era la tutela dei dipendenti con minori anni di servizio che potevano contare su un indennizzo minimo di sei mesi di retribuzione. Inoltre, la Corte Costituzionale ha affermato che il contratto a tutele crescenti era illegittimo dal momento che presumeva che il solo principio da usare per decidere l’indennità risarcitoria era il tempo del suo rapporto di lavoro ovvero l’anzianità di servizio.

Ad oggi, dal contratto a tutele crescenti è presunto che, a seconda della motivazione per cui licenziamento è illegittimo, al lavoratore possono spettare le seguenti tutele:

  • A seguito del licenziamento dichiarato illegittimo, il lavoratore può richiedere un indennizzo compreso tra un minimo di 6 ed un massimo di 36 mensilità di retribuzione. È a discrezionalità del giudice la decisione dei mesi di risarcimento che spettano al dipendente.
  • Le regole restano inalterate in caso di licenziamento nullo, discriminatorio o ritorsivo
  • Identiche rimangono anche le regole relative al caso di licenziamento disciplinare in cui si evince che la spiegazione data dall’azienda è del tutto incoerente.

Conclusioni

Il racconto di come sia progredito, in circa 3 anni e mezzo, la disciplina alla base del contratto a tutele crescenti fa intuire quali erano le reali intenzioni primarie del legislatore ma queste sono state in parte raggirate dal testo finale in quanto modificato sia dal Decreto Dignità e sia dalla Corte Costituzionale. Quel che conta. In ogni caso, è che ad oggi, sotto alcuni punti di vista si può dire che, un lavoratore ingiustamente licenziato, se risulta essere stato assunto con contratto a tutele crescenti può stare tranquillo, nel senso che godrà comunque di una tutela maggiore rispetto a quella prevista per un dipendente al cui contratto di lavoro si applica il passato articolo 18.