Cassiere licenziato in tronco, la Cassazione spiega cosa rischi davvero sul lavoro

La magistratura conferma l'espulsione disciplinare di un cassiere, ecco quando le violazioni contabili compromettono il rapporto di fiducia sul lavoro

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 24 Giugno 2025 07:00

Diligenza, lealtà e buona fede sono i canoni del diritto civile, che andrebbero rispettati in ogni rapporto di lavoro. Tuttavia sono numerosissime le sentenze che ci indicano che non sempre è così. In una decisione della Sezione Lavoro della Cassazione di poche settimane fa, la n. 11985, è stato confermato il licenziamento in tronco inflitto a un dipendente che, nello svolgimento delle proprie mansioni di cassiere, era andato al di là dei confini delle mansioni contrattuali, compiendo una serie di violazioni contabili.

Vediamo insieme, in sintesi, caso e sentenza e chiariamo – in generale – quando e perché un cassiere della GDO rischia concretamente di perdere il posto per motivi disciplinari.

Le irregolarità contestate al cassiere e l’esito del giudizio in tribunale

Come accertato in corso di causa, un dipendente di un’azienda operante nel settore del commercio si era reso responsabile per non aver registrato varie operazioni di vendita e non aver emesso gli scontrini fiscali ai clienti dell’esercizio, pur avendo incassato i correlati pagamenti.

Il datore di lavoro aveva scoperto le anomalie e irregolarità con un controllo interno tramite agenzia di investigazione  che, – ricordiamo – è lecito nei confronti dei lavoratori se mirato alla tutela del patrimonio aziendale e svolto nel rispetto della privacy e del GDPR. Le responsabilità del dipendente emergevano anche dal riepilogo delle operazioni di cassa, compiuto tramite un apposito codice identificativo.

Il materiale raccolto fu sufficiente per avviare il procedimento disciplinare, che anticipava il licenziamento in tronco poi inflitto al cassiere. Nel tentativo di ribaltare l’esito della vicenda, quest’ultimo si rivolse alla magistratura.

Il tribunale, in funzione di giudice di primo grado, gli diede ragione perché ritenne l’azienda non capace di dare alcuna prova schiacciante, in merito alle violazioni contabili riscontrate e all’effettiva e grave responsabilità disciplinare dell’addetto alla cassa. Non ritenendola proporzionata ai fatti contestati, il magistrato annullò così la massima sanzione disciplinare, disponendo il versamento dell’indennità risarcitoria a favore del licenziato.

Il ribaltamento in appello e gli elementi a favore dell’azienda datrice

La disputa proseguì in appello con la magistratura di secondo grado che, alla luce di quanto emerso in aula, ha cambiato l’esito del primo giudizio. E lo ha fatto giungendo a conclusioni – nel merito – diametralmente opposte. Nel corso del procedimento giudiziario, l’azienda – spiega la Corte d’appello – era riuscita a provare le responsabilità del cassiere grazie:

  • agli effettivi ammanchi di cassa;
  • agli elementi indiziari costituita dalle affermazioni degli investigatori;
  • al valore delle prove testimoniali e documentali raccolte.

In sintesi, una opposta e più accurata valutazione dei fatti – così come ricostruiti in secondo grado – ha portato i giudici d’appello a ritenere corretto il licenziamento per giusta causa e senza preavviso, fondato sulla violazione grave e reiterata degli obblighi di correttezza, lealtà e fedeltà. Ne è seguito il ricorso presso i giudici di piazza Cavour.

La Cassazione conferma il licenziamento in tronco

Valutando corretto il ragionamento logico-giuridico dei giudici d’appello, la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ex dipendente e ne ha confermato l’espulsione dal luogo di lavoro. Infatti, la Corte ha spiegato che un licenziamento disciplinare è legittimo anche senza la prova precisa di un illecito penale come l’appropriazione indebita (astrattamente ben possibile per chi, per lavoro, maneggia denaro).

Pur senza un danno patrimoniale consistente, la mancata emissione degli scontrini combinata all’assenza delle registrazioni delle operazioni contabili di cassa – peraltro non giustificate dal cassiere in alcun modo – non costituiscono mere negligenze, ma un comportamento intenzionalmente adottato e in grado di minare la credibilità del dipendente. Si tratta, insomma, di una violazione chiara dell’art. 2104 Codice Civile che prevede, a carico di del dipendente, l’obbligo di usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della correttezza.

Per la Cassazione, a fondare il recesso unilaterale è sufficiente la presenza di comportamenti che, per la loro gravità e per la loro frequenza siano idonei a far insorgere dubbi sulla futura lealtà e diligenza del cassiere. Tali atti, fin dalla loro scoperta, ledono irrimediabilmente il vincolo fiduciario e non permettono all’azienda di proseguire con il rapporto.

Che cosa cambia

La sentenza n. 11985 conferma una solida linea giurisprudenziale e ribadisce che le mansioni che implicano la gestione del denaro impongono elevati standard di affidabilità. Perciò, anche una dimenticanza o un’omissione senza l’intento di sottrarre denaro, se ripetuta nel tempo, può essere idonea a giustificare un licenziamento.

In altre parole, l’entità economica del danno non è mai decisiva, se il comportamento vìola le regole base di lealtà professionale, di cui anche agli articoli 1175 e 1375 Codice Civile. E se è messa in dubbio la correttezza futura dell’adempimento della prestazione di lavoro, il licenziamento è legittimo e proporzionato ai fatti addebitati. Infatti, si tratta di gesti intenzionali che possono generare in ogni azienda un ragionevole sospetto sulla futura lealtà e correttezza di un addetto, nello svolgimento delle attività.

Ecco perché la decisione della Cassazione ribadisce un principio chiave valido per tutti i contesti lavorativi in cui operano cassieri o addetti alle operazioni contabili di cassa, siano essi impiegati in supermercati, negozi, bar, ristoranti o altre attività commerciali: il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore è centrale e, una volta compromesso, può giustificare il licenziamento in tronco, anche in assenza di un reato conclamato o di un danno economico quantificabile.

In definitiva, i datori di lavoro hanno il diritto (e il dovere, anche per motivi fiscali e di tutela del patrimonio aziendale) di monitorare e verificare l’operato del personale addetto alla cassa. Allo stesso tempo, i lavoratori devono essere pienamente consapevoli che ogni atto contrario ai doveri di trasparenza e tracciabilità può non solo dar luogo a un provvedimento disciplinare (come previsto dallo Statuto dei Lavoratori all’art. 7), ma determinare la perdita del posto. Anche una condotta all’apparenza marginale, se ripetuta e non giustificata, è un fatto grave sul piano disciplinare e giuridico.