Contratto in prova con mansioni diverse, scatta il risarcimento

Una sentenza del Tribunale di Messina chiarisce i limiti della prova: se il lavoratore svolge mansioni diverse, il licenziamento è nullo

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 22 Maggio 2025 09:32

Come è noto, il patto di prova è una clausola o condizione inserita in un contratto di lavoro, per cui, nella fase iniziale del rapporto, ambo le parti possono valutare reciprocamente la convenienza o meno a rendere definitivo il rapporto stesso. Proprio pochi mesi fa il Giudice del lavoro si è espresso con una sentenza che traccia i confini del patto di prova e stabilisce alcune garanzie a favore di chi, assunto con contratto di apprendistato, svolge un periodo mirato a verificare la sua effettiva attitudine all’attività.

Ci riferiamo alla sentenza 591/2025 con cui il tribunale di Messina ha spiegato che, in caso di licenziamento inflitto per non superamento del periodo di prova, se le mansioni in concreto affidate sono diverse da quelle indicate nella clausola contrattuale, il lavoratore ha diritto a una tutela ampia e duplice.

Vediamo più da vicino di quali garanzie si tratta e il perché della decisione giudiziaria, contenente un principio fondamentale che non va affatto trascurato dai datori di lavoro che intendono testare sul campo i potenziali dipendenti a tempo indeterminato.

Il caso della lavoratrice che faceva altre mansioni

Come si legge nella sentenza che ricapitola i fatti di causa, una lavoratrice era stata assunta con contratto di apprendistato professionalizzante triennale per l’acquisizione della qualifica di specialista di salumeria con funzioni di vendita prodotti, IV livello Ccnl terziario commercio. Ebbene, durante il periodo di prova di due mesi, a causa di un incidente la donna si era assentata per malattia. Al rientro era stata destinata alle sole mansioni di cassa fino alla data di licenziamento, avvenuto per mancato superamento della prova.

L’ex apprendista impugnò la decisione e, in particolare, in tribunale contestò che il rapporto si sarebbe svolto senza tutoraggio e non al fine di farle acquisire professionalità ed esperienza necessarie alla qualifica di salumiere, ma in maniera “simulata”, essendosi concretizzato come un normale rapporto di lavoro subordinato con mansioni di cassiera.

Ecco perché la lavoratrice ha scelto di opporsi al licenziamento per insussistenza del fatto addebitato e, anzi, il recesso era da considerarsi nullo per violazione delle norme in tema di apprendistato e per violazione del patto di prova.

Licenziamento invalido per violazione del periodo di prova

Il tribunale di Messina ha sostanzialmente ritenuto giuste le lamentele dell’ex apprendista, rilevando che non si può parlare di esito negativo della prova e, quindi, di valido licenziamento, se le modalità del “test sul campo”, alla luce dei fatti emersi, si rivelano inadeguate ad accertare la abilità lavorativa del prestatore.

In sostanza, accertato quanto successo, il giudice del lavoro ha spiegato che in casi come questo non trova applicazione la disciplina del licenziamento individuale:

trattandosi di vizio funzionale del patto di prova validamente apposto (nella specie, per l’assegnazione in concreto di mansioni diverse da quelle indicate nella clausola accessoria).

Invece, rimarca la magistratura facendo riferimento a un precedente della Suprema Corte (Cass. 29208/2019), in caso di violazione del patto si applica lo speciale regime normativo del recesso in periodo di prova, che prevede il diritto del lavoratore alla continuazione della fase di verifica delle capacità, se possibile, oppure una congrua compensazione economica a coprire il danno sofferto.

Ecco perché, come si legge nel testo della decisione che qui interessa, il datore di lavoro è stato condannato a:

  • consentire alla ricorrente di effettuare i residui 30 giorni di prova nelle mansioni pattuite presso il locale punto vendita in cui aveva lavorato;
  • oppure, se non più operativo, a risarcirle il danno, ragguagliato alla retribuzione di V livello non percepita per tale periodo, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dalla maturazione al soddisfo.

Su tali presupposti il Tribunale di Messina ha così accolto il ricorso della lavoratrice.

Cosa cambia con questa sentenza: casi specifici

Questa sentenza è molto interessante perché tratta di un istituto tra i più applicati nei contratto di lavoro, ossia il patto di prova. Il principio giuridico è che se un’azienda o datore di lavoro fa svolgere attività diverse da quelle originariamente pattuite al lavoratore in prova, non potrà validamente licenziarlo. E anzi quest’ultimo potrà contare su conseguenti tutele.

Si pensi ad esempio a chi, con periodo di prova bimestrale, sia assunto come impiegato contabile con mansioni specifiche (registrazioni Iva, prima nota, ecc.) e poi durante la fase di valutazione viene spostato alle mansioni inferiori di archivista e di addetto a semplici fotocopie o protocolli.

In questo caso, il lavoratore potrà utilmente far dichiarare invalido il licenziamento dal giudice, perché non ha avuto modo di dimostrare le sue reali competenze contabili. Di conseguenza, il datore dovrà dargli la possibilità di rifare la prova. Se non è più possibile proseguire, spetterà un indennizzo economico al prestatore, a causa della perdita ingiustificata del posto.

Un esempio simile potrebbe essere quello del tecnico informatico assunto in prova trimestrale, che però svolge solo corsi online e formazione interna, o della giovane ragazza che firma un contratto come addetta alle vendite al dettaglio in negozio ma che, nei 30 giorni di prova, viene assegnata a ruoli di magazzino, senza contatto col pubblico e senza poter svolgere nemmeno una giornata in negozio. Anche in questi casi il giudice potrebbe facilmente riconoscere un vizio funzionale del patto di prova, che renderebbe illegale il licenziamento.

Come provare la violazione del patto di prova

Per dimostrare la violazione del patto di prova, previsto dall‘art. 2096 del Codice Civile, il lavoratore potrà innanzitutto mostrare il contratto per confrontare le mansioni pattuite con quelle effettivamente svolte. Saranno fondamentali anche le eventuali testimonianze di colleghi o superiori, che confermino l’impiego in compiti diversi o inferiori.

Altre prove utili potranno essere le e-mail, i messaggi, gli ordini di servizio e le comunicazioni aziendali che dimostrino la deviazione dalle mansioni previste o eventuali proteste del lavoratore.

Allo stesso scopo potranno servire anche le informazioni su turni, presenze e report di attività che documentano l’assegnazione a reparti non pertinenti, oltre a programmi formativi non coerenti con il ruolo. Non solo. Le valutazioni scritte o i richiami su attività estranee al profilo contrattuale rafforzeranno la prova.

Concludendo, in le ipotesi viste sopra, il recesso è viziato alla radice, perché l’azienda non ha messo il lavoratore in condizione di essere valutato sul campo. La prova non è stata svolta in senso tecnico, perché il prestatore o la prestatrice non hanno avuto la possibilità di svolgere neanche parzialmente le mansioni effettive e per il tempo sufficiente a completare il test.