Cedolare secca per i non residenti, quando è davvero conveniente farne ricorso

La cedolare secca permette di risparmiare sulle imposte, almeno se confrontata con la normale tassazione Irpef. Ma non sempre conviene fare questa scelta

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Pubblicato: 26 Ottobre 2025 16:27

Grazie alla cedolare secca i proprietari di un immobile – quando sono delle persone fisiche – riescono a beneficiare di una tassazione agevolata sui canoni di locazione che percepiscono. Viene applicata, in altre parole, una tassazione sostitutiva all’Irpef e alle relative addizionali. Ma non solo: non è necessario pagare l’imposta di registro e il bollo nel momento in cui si procede con la registrazione del contratto.

La disciplina che abbiamo visto fino a questo momento si applica anche ai soggetti non residenti fiscalmente nel nostro Paese: l’articolo 3 del Dlgs n. 23/2011 ha fissato come unico parametro soggettivo, per l’applicazione della cedolare secca, l’essere una persona fisica che non stia esercitando un’attività d’impresa. Non è richiesta, in altre parole, la residenza in Italia.

Cedolare secca, l’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione

L’istituto della cedolare secca può essere applicato ai contratti di locazione che abbiano come oggetto le unità immobiliare abitative e le relative pertinenze. Dall’agevolazione sono esclusi i fabbricati classificati nella categoria catastale A10 – che comprende gli uffici e gli studi privati -, ma vi rientrano quelli da A1 a A9 e A11.

Il proprietario dell’immobile deve essere una persona fisica e non deve agire nell’esercizio d’impresa, arti o professioni. All’interno del testo normativo, attraverso il quale è stata istituita la cedolare secca, non si fa menzione alla residenza fiscale in Italia del locatore: non essendoci delle indicazioni in senso contrario, l’opzione è percorribile anche da soggetti residenti all’estero. Rimane sempre fermo un principio: il reddito fondiario di un immobile ubicato in Italia è imponibile unicamente nel nostro Paese (vige il principio della territorialità).

In altre parole se il locatore non residente risulta essere proprietario dell’immobile attraverso una società estera, la cedolare secca non è applicabile (vige in altre parole la stessa regola che viene applicata alle società italiane).

La scelta della cedolare secca permette di evitare di pagare l’imposta di registro e quella di bollo sulla registrazione (lo stesso vale per le risoluzioni e le proroghe del contratto). Il locatore deve rinunciare agli aggiornamenti del canone, compreso quello Istat, almeno per tutto il periodo in cui si è optato per questa soluzione fiscale.

Quali aliquote devono essere applicate

Per il 2025 sono tre le aliquote che si devono applicare per la cedolare secca, che devono essere utilizzate nel momento in cui sorgono delle specifiche condizioni.

È possibile applicare l’aliquota ordinaria del 21% sui contratti di locazione a canone libero – vedasi in questo senso la Legge 431/1998): questa è sostanzialmente la scelta standard che viene applicata in quasi tutte le locazioni residenziali. È un’aliquota fissa che risulta essere più conveniente rispetto a quella progressiva dell’Irpef, soprattutto per i contribuenti che hanno dei redditi medio-alti.

Opportunità molto ghiotta, invece, è l’aliquota del 10%, ma può essere utilizzata solo a fronte di condizioni particolarmente stringenti. Può essere applicata ai contratti di locazione a canone concordato, che vengono stipulati nei Comuni con un’altra tensione abitativa, che sono stati identificati dal Cipe. E in quelli colpiti da delle calamità naturali. I contribuenti non residenti, prima di applicare questa aliquota, è bene che facciano un’attenta verifica sulla sussistenza dei requisiti. Compresi i necessari accordi territoriali.

Una novità interessante è stata introdotta dalla Legge di Bilancio 2024, grazie alla quale è possibile utilizzare l’aliquota del 26% per le locazioni brevi: viene applicata dal secondo immobile in poi. È una soluzione che va incontro ai proprietari immobiliari delle zone turistiche, che sottoscrivono dei contratti di locazione con una durata inferiore a 30 giorni. Anche in questo caso, per i non residenti, è opportuno fare tutte le verifiche del caso, perché siamo di fronte ad una soluzione che supera di molto l’aliquota del 21%. Queste regole sono valide fino al 31 dicembre 2025: per il prossimo anno è necessario attendere il testo definitivo della nuova Manovra per verificare effettivamente quali aliquote verranno applicate.

Imposte pagate all’estero, gestire il credito

Capitolo indubbiamente importante per i contribuenti non residenti è quello relativo al credito d’imposta per le tasse pagate all’estero. Nel momento in cui il paese di residenza del proprietario dell’immobile tassa i redditi di provenienza estera, quelli da locazione dell’immobile situato in Italia potrebbero essere soggetti a doppia imposizione.

Le Convenzioni contro le doppie imposizioni, generalmente, prevedono che i redditi immobiliari vengano tassati esclusivamente nello Stato in cui si trova l’immobile. Il Paese dove è residente fiscalmente il contribuente, però, ha un diritto ben preciso: tassare il reddito mondiale del contribuente, ma permette di ottenere un credito d’imposta per i redditi già tassati all’estero.

Questo significa che, almeno in linea teorica, il contribuente non residente potrebbe vedersi riconosciuto un credito d’imposta per la cedolare secca che ha pagato in Italia. Per questo motivo è necessario che il soggetto in questione tenga copia della documentazione fiscale che attesti i versamenti che ha effettuato. Parliamo, in altre parole, dei versamenti tramite F24 e della dichiarazione dei redditi: saranno le pezze d’appoggio per ottenere il credito d’imposta.

In alcuni casi viene preferito il metodo dell’esenzione a quello del credito d’imposta: vengono escluse completamente dalla base imponibile i redditi che sono già stati tassati in Italia. Quando si dovesse venire a verificare questa situazione, la scelta della cedolare secca potrebbe risultare particolarmente vantaggiosa, perché l’aliquota che viene applicata in Italia risulta essere l’unica che va ad intaccare, sotto il profilo fiscale, i redditi da locazione.

Quale tassazione è più conveniente

Conviene maggiormente la tassazione Irpef o la cedolare secca? Dare una risposta univoca per i non residenti è difficile, perché non è sufficiente calcolare l’aliquota nominale, ma anche gli effetti che questa ha sulla tassazione dei due Paesi che sono coinvolti dall’operazione.

La tassazione Irpef ordinaria prevede una serie di aliquote progressive che, almeno nel 2025, oscillano tra il 23% ed il 43% e prevedono l’applicazione di una serie di scaglioni standard. Bisogna poi aggiungere le addizionali regionali e comunali, che fanno aumentare il carico fiscale di altri 3 o 4 punti percentuali. Con il regime ordinario Irpef, però, è possibile accedere alla deduzione forfettaria del 5% per le spese di manutenzione ordinaria, agevolazione che permette di ridurre la base imponibile.

La cedolare secca elimina completamente la progressività, ma è conveniente quando i redditi da locazione superano i 15.000 euro annui, quando l’aliquota Irpef supera la soglia del 21% prevista dalla cedola ordinaria (con le aliquote previste per il 2025). Discorso diverso per i contratti a canone concordato, che grazie all’aliquota del 20% sono sempre convenienti.