C’è grande fermento in tutta Italia per l’arrivo delle feste di Natale. Dopo diversi anni vissuti in allerta per le possibili recrudescenze dell’emergenza pandemica, già nel 2022 il mese di dicembre aveva regalato un bel po’ di soddisfazioni a ristoratori, albergatori e commercianti, con un aumento importante delle spese sostenute dai cittadini per l’acquisto dei regali e per l’organizzazione dei momenti di svago. Una situazione che iniziava ad apparire molto simile a quella precedente alla diffusione del virus e che, in questo finale di 2023, può riservare altre sorprese molto positive per il settore turistico e – più in generale – per tutta l’economia italiana.
Certo, non sono ancora scomparse alcune criticità croniche che da sempre caratterizzano le nostre città più popolose. A partire dalla scarsa efficienza dei mezzi di trasporto, di cui abbiamo avuto l’ultima prova lampante nel caso che ha visto protagonista il ministro Francesco Lollobrigida, reo di aver chiesto una fermata ad hoc al capotreno del Frecciarossa su cui viaggiava a causa del forte ritardo. Ma la situazione non sembra essere migliore nemmeno sul fronte della disponibilità di taxi all’interno dei contesti urbani, un problema che si protrae ormai da diversi mesi in tutto il Paese.
Quanti taxi ci sono in Italia? Numeri e statistiche di un comparto in tilt
Per comprendere a pieno la portata del fenomeno occorre tornare indietro nel tempo almeno di una decina d’anni, ma anche di più. È il 2007 quando il numero di licenze attive nelle prime 110 città italiane supera la soglia delle 22mila unità. Com’è ovvio, il numero più alto si concentra all’interno della città metropolitana di Roma, che da sola ne conta 7.710. A seguire ci sono Milano (con 4.855 permessi per esercitare la professione), il comprensorio di Napoli (con 2.372 licenze attive) e il territorio comunale di Torino (1.504). A quei tempi, l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi e il ministro dei Trasporti del suo governo, Alessandro Bianchi, espressero soddisfazione per questi numeri.
Facciamo un salto in avanti e arriviamo al 2012. In cinque anni, a Palazzo Chigi si sono alternati prima Silvio Berlusconi e poi Mario Monti, in carica fino all’inizio dell’anno successivo. A distanza di un lustro dallo scenario appena descritto, i numeri sono rimasti gli stessi, praticamente identici, con la sola eccezione di Roma, dove addirittura il numero di licenze è passato da 7.710 a 7.707. Tre in meno. Ma intanto la popolazione delle metropoli è aumentata e con essa anche il numero di turisti. E così iniziano a verificarsi i primi disservizi, con decine di persone che attendono in fila l’arrivo di un taxi.
Cambiano i governi, ma il problema dei taxi nelle città italiane sembra irrisolvibile
Lo scenario che già appariva complicato peggiora nei successivi cinque anni. È il 2017, la guida del Paese è passata dalle mani di Enrico Letta a quelle di Matteo Renzi e poi ancora a quelle di Paolo Gentiloni, ma la disponibilità di licenze di taxi nei centri più popolosi della nazione è rimasta la stessa identica di un decennio prima. Con l’aggravante che la diminuzione del numero di operatori attivi è avvenuta anche a Milano (4.852 rispetto alle 4.855 del 2007), a Torino (con un calo di due unità) e a Napoli (dove sono ben sette le licenze in meno nel giro di dieci anni).
Osservando oggi l’andamento di questi dati pare davvero incredibile come nessuno nelle stanze del potere si sia posto il problema della disponibilità di veicoli bianchi nelle strade e nelle piazze più visitate e frequentate dell’intero territorio nazionale. Noncuranza? Superficialità nell’approccio al tema? Difficile da dire, soprattutto quando la mancanza di visione accomuna tutti gli esponenti del panorama politico (con le responsabilità che, ad ogni modo, vanno condivise anche con gli apparati tecnici e i funzionari dei ministeri).
E così arriviamo al panorama odierno, dove non si riesce più a tenere il conto del numero di segnalazioni di utenti e lavoratori che – da inizio anno ad oggi – hanno vissuto di persona il disagio di non riuscire a trovare un taxi disponibile. Tempo di attesa biblici, spesso superiori a 60 minuti. Gente che litiga per i posti in fila alle fermate, famiglie che rinunciano al viaggio sull’auto bianca, lavoratori imbufaliti per incontri saltati e appuntamenti posticipati. Una vera e propria lotta per accaparrarsi un posto sui sedili posteriori delle auto bianche.
Perché nelle grandi città italiane è impossibile trovare un taxi libero?
Ma quante sono oggi le licenze attive nelle principali metropoli italiane? Purtroppo circa le stesse del 2017, del 2012 e del 2007: infatti, se quindici anni fa si esultava per aver oltrepassato la soglia delle 22mila, oggi in tutta Italia sono presenti solo 23.139 permessi di trasporto. Neanche mille in più rispetto ad allora. Una cosa da non credere, confermata anche dal confronto con gli altri Paesi europei a noi più vicini. Mentre in Francia, complessivamente, si può fare affidamento su un mezzo di trasporto ogni 1.160 abitanti e in Spagna ogni 1.028 abitanti, da noi le persone a cui corrisponde una singola automobile sono oltre 2mila.
Abbiamo già sottolineato la responsabilità dei vari esecutivi che si sono succeduti in questo ventennio, inermi davanti ad una situazione che andava modificandosi sotto i loro occhi e a cui non hanno saputo dare le necessarie risposte. Cosa che invece oggi prova a fare Giorgia Meloni con il decreto Asset, che aumenta del 20% il numero di taxi circolanti nelle prime 72 città italiane per numero di residenti e dà ai Comuni la possibilità di concedere nuove licenze temporanee per un tempo massimo di due anni. Questo perché – vale sempre la pena ricordarlo – la gestione dei permessi di guida è a carico delle singole amministrazioni locali.
Cosa cambierà per i taxi con il decreto Asset e cosa aspettarsi per le feste di Natale
Oltre a decidere il numero di licenze attive all’interno dei propri confini, sono sempre i Comuni a stabilire l’organizzazione dei turni dei professionisti. Ma anche il prezzo delle tariffe per i viaggi urbani ed extraurbani e la possibilità per il singolo autista di cedere la licenza ad un collega (che deve possedere tutti i requisiti stabiliti dal ministero) una volta trascorso un periodo di cinque anni dal suo ottenimento. Regole generali valide da Nord a Sud e una gestione capillare della questione in mano a sindaci e assessori: questa catena, ad oggi, pare funzionare molto male e con gravi falle di servizio per cittadini e turisti.
Sperando che le criticità possano quantomeno essere alleviate in occasione delle feste di Natale e di Capodanno, occorre ricordare che per avviare l’attività professionale come taxista occorre avere minimo 21 anni di età, essere titolari di un’impresa artigiana e aver perfezionato l’iscrizione alla Camera di Commercio di competenza per il proprio comune, con tanto di esame abilitativo da sostenere per poter ottenere la licenza.