“Resta la Fornero ed è pure peggiorata”: svolta sulle pensioni nel 2023

La Cgil attacca il Governo sulla mancata riforma delle pensioni e sulle rivalutazioni degli assegni ritenute non sufficienti

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Redazione

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L’abolizione della Legge Fornero è anche per quest’anno soltanto rimandata, nonostante da mesi vengano annunciata le ipotesi più svariate sulla riforma delle pensioni. Lo fa notare senza risparmiare critiche al Governo Meloni il segretario della Cgil, Maurizio Landini: “Siamo partiti da quota 100 per arrivare a 103, in sostanza siamo tornati alla Legge Fornero, anzi l’hanno peggiorata con opzione donna e ora si danno contributi per non andare in pensione”. L’Esecutivo è in procinto in introdurre la pensione anticipata a 62 anni e 41 di contributi tramite la “Quota 103” che rimane però una misura transitoria valida solo per il 2023. A ricordare che per l’anno prossimo l’età di accesso per la pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni è stata l’Inps, la quale in una circolare calcola la rivalutazione dei trattamenti previdenziali.

Pensioni, i calcoli dell’Inps sulle rivalutazioni

Secondo le stime dell’Istituto guidato da Pasquale Tridico, il recupero integrale dell’inflazione tramite un aumento del 7,3% è previsto da decreto del Mef per le pensioni lorde fino a 2.101,52 euro.

In attesa delle percentuali ufficiali di perequazione stabilite con l’approvazione della Manovra, la Legge di Bilancio in discussione in Parlamento prevede attualmente che per le pensioni oltre la soglia di quattro volte il trattamento minimo la rivalutazione non sia al 100%, ma dell’85% nella fascia fino a cinque volte sopra, del 53% tra le cinque e le sei volte fino ad arrivare al 32% dell’inflazione per le pensioni oltre le 10 volte il minimo (5.243,38 euro lordi) (qui avevamo parlato dell’accordo sulle pensioni minime).

“Il Disegno di Legge di Bilancio 2023 – spiega l’Inps – prevede interventi volti a rimodulare le modalità di attribuzione della rivalutazione automatica per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a quattro volte il trattamento minimo. Al fine di evitare la corresponsione di somme potenzialmente indebite, pertanto, la rivalutazione è stata attribuita in misura pari al 100% a tutti i beneficiari il cui importo cumulato di pensione sia compreso nel limite di quattro volte il trattamento minimo in pagamento nell’anno 2022 (pari a 2.101,52 euro)” (qui avevamo riportato le 6 fasce della perequazione delle pensioni).

“Per i pensionati il cui trattamento pensionistico cumulato è superiore al predetto limite, la rivalutazione sarà attribuita sulla prima rata utile dopo l’approvazione della legge di bilancio 2023” aggiunge l’Ente nella circolare.

Secondo i numeri riportati dall’Istituto, il trattamento minimo rivalutato al 2023 è pari a 563,74 euro (da 525,38), mentre la pensione sociale sale a 414,76 euro al mese (5.391,88 annui) e l’assegno sociale a 503,27 euro (6.542,51 annui), con i limiti reddituali che salgono rispettivamente per questi due ultimi trattamenti a 5.391,88 personali (18.577,24 coniugale) e a 6.542,51 personali (13.085,02 coniugale).

I primi pagamenti delle pensioni arriveranno il 3 gennaio, secondo giorno utile dell’anno per le banche mentre nei mesi successivi alle Poste saranno pagate sempre il primo del mese ad eccezione di maggio, ottobre e novembre (saranno pagate il 2). Gl istituti di credito corrisponderanno gli assegni con con le stesse modalità ad eccezione di aprile e luglio quando si pagheranno il 3 del mese.

“Resta la Fornero ed è pure peggiorata”: le contestazioni della Cgil

La Cgil non sembra fare sconti al Governo nemmeno in tema di adeguamento degli assegni al caro-vita: “Sulla rivalutazione delle pensioni – sottolinea il sindacato – il taglio continua a essere pesante: 3,5 miliardi in meno nel solo 2023, 17 miliardi in meno nel triennio. La rimodulazione della percentuale di rivalutazione, che alza dall’80% all’85% le pensioni tra 4 e 5 volte il trattamento minimo, è insignificante: 8 euro lorde al mese in più di media”.

“E si riduce ancora del 3% la percentuale per i redditi di pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo – si legge ancora nella nota diffusa dalla Cgil – Stiamo parlando non della pensione dei ricchi, come ha sostenuto la presidente del Consiglio, ma degli assegni di impiegati e operai specializzati che hanno lavorato e versato contributi per 40 e più anni. Su opzione donna, nessun cambiamento. Un’abrogazione, di fatto, della misura. Riguarderà appena 870 persone, secondo le nostre analisi. Nessuna marcia indietro neppure su ‘Quota 103’, cui si accede con almeno 62 anni. Altro che ‘Quota 41’, che doveva prescindere dall’età anagrafica. I pochi che vi accederanno supereranno a stento le 10.000 unità”.