La Procura di Bologna ha messo nel mirino uno dei gruppi più ramificati del panorama fintech europeo. A finire sotto inchiesta è Ion, la holding fondata da Andrea Pignataro e con quartier generale a Londra, ma tentacoli ben piantati anche altrove. Secondo la Guardia di Finanza, il gruppo avrebbe lasciato per strada, o meglio, fuori bilancio, mezzo miliardo di euro in imposte, cifra che lievita a 1,2 miliardi se si includono interessi e sanzioni. Il sospetto è che dietro le quinte ci sia una regia fiscale calibrata al millimetro per sfuggire all’erario italiano.
Dietro l’immagine levigata da unicorno tecnologico si muove un colosso che va ben oltre il software. Oggi Ion controlla un mosaico di società che spaziano dalla finanza all’immobiliare, passando per il credito. Cedacri, Cerved e Prelios sono solo alcune delle tessere acquisite a colpi di M&A.
Pignataro e il nodo della residenza fiscale: cosa contesta la procura
Tra il 2013 e il 2023, secondo gli accertamenti, Ion avrebbe omesso versamenti per circa 500 milioni di euro. Con l’aggiunta di interessi e penalità, il totale sfiora 1,2 miliardi. Al centro delle contestazioni, la questione mai risolta della residenza fiscale. Per gli inquirenti, il centro di gravità dell’impero di Andrea Pignataro non sarebbe all’estero, ma in Italia, dove si genererebbero i redditi da tassare.
Il meccanismo contestato ricalca uno schema ormai collaudato: profitti spostati su società con sede in paesi a bassa imposizione fiscale (in questo caso il Lussemburgo) mentre il lavoro e i ricavi restano ancorati al territorio italiano. Un copione noto tra le grandi aziende tech, che si muovono tra le pieghe del diritto tributario come in un campo minato disegnato da loro stesse.
Il gruppo ha ricevuto due inviti a comparire da parte dell’Agenzia delle Entrate. Ion ha fatto sapere di voler collaborare con le autorità. A guidare l’inchiesta è il pm Michele Martorelli, lo stesso che ha seguito il caso Bio-On. Secondo la versione ufficiale, Ion sostiene di aver operato nel rispetto delle normative e intende dimostrarlo davanti agli inquirenti.
Andrea Pignataro ha 54 anni e un passato da trader alla Salomon Brothers. Si è formato a Bologna, dove ha anche mosso i primi passi prima di costruire, nel 1999, una struttura societaria capace di inglobare marchi e infrastrutture come fossero tessere di un domino. Oggi è accreditato di un patrimonio personale da 34 miliardi, secondo solo a quello di Giovanni Ferrero. Una scalata fatta di acquisizioni, fusioni e strategie poco inclini alla trasparenza, almeno stando a chi oggi lo accusa. Poi è arrivata la Finanza a fare l’inventario.
Fisco e big tech: da Google ad Amazon sotto la lente dell’erario italiano
L’inchiesta su Ion si inserisce in un filone ben nutrito. Negli ultimi mesi, le autorità italiane hanno stretto la morsa sui grandi nomi dell’economia digitale, rimettendo ordine tra i numeri dichiarati e quelli effettivamente versati.
Google, a febbraio, ha firmato un assegno da oltre 300 milioni per chiudere la partita fiscale relativa al quinquennio 2015-2019. Archivio alla mano, la Procura di Milano ha chiesto la chiusura del fascicolo.
Meno serena la posizione di Amazon, ancora alle prese con una verifica su operazioni datate 2019-2021. Secondo l’accusa, la piattaforma avrebbe fatto da sponda a venditori extra Ue interessati a bypassare l’Iva italiana. Se i sospetti dovessero reggere, il conto finale potrebbe salire fino a 3 miliardi.
Iva e servizi digitali: le contestazioni a Meta e apple
Meta, il colosso che tiene in piedi Facebook, Instagram e WhatsApp, ha chiuso il 2024 con un’indagine fiscale sul groppone. Secondo l’Agenzia delle Entrate, avrebbe evitato l’applicazione dell’Iva per servizi digitali destinati agli utenti italiani tra il 2015 e il 2021, per un ammontare vicino agli 887 milioni di euro. Secondo Meta, l’accesso gratuito non rientrerebbe in un perimetro imponibile, quindi niente tassa. Una linea che potrebbe anche reggere, ma intanto il dossier è stato trasmesso con tutte le carte in regola.
E mentre Meta discute sulla natura “non imponibile” delle sue piattaforme, in Europa qualcun altro è stato chiamato alla cassa. Apple dovrà rimborsare oltre 13 miliardi di euro all’Irlanda, dopo che la Corte di Giustizia Ue ha bollato gli sconti fiscali ottenuti da Cupertino come aiuti di Stato fuori norma.