Referendum 8 e 9 giugno, 2,5 milioni di euro in rimborsi ai promotori

Rimborsi, visibilità e dinamiche politiche attorno al referendum abrogativo 2025: chi lo promuove e sostiene, quanti soldi si muovono attorno

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 24 Maggio 2025 13:48

Questo articolo fa parte di un ciclo dedicato al referendum 2025, che ha l’obiettivo di illustrare in modo chiaro e documentato le posizioni a favore e contro i quesiti, nonché gli scenari in caso di raggiungimento del quorum. QuiFinanza mantiene una linea editoriale imparziale e si impegna a fornire un’informazione completa e obiettiva, senza sostenere alcuna posizione politica o ideologica.

Il referendum abrogativo dell’8-9 giugno 2025, con i suoi 5 quesiti su lavoro e cittadinanza, è oggetto di attenzione non solo per i temi al voto, ma anche per gli aspetti economici legati alla sua organizzazione. La normativa vigente prevede un rimborso di 1 euro per ogni firma valida raccolta da parte dei comitati promotori, fino a un tetto complessivo di 2.582.285 euro annui. Questo rimborso, finalizzato a coprire le spese sostenute nella fase di promozione e raccolta firme, viene erogato solo se almeno uno dei quesiti raggiunge il quorum (50% + 1 degli aventi diritto al voto).

Con cinque quesiti sul tavolo e una partecipazione elettorale che supera la soglia richiesta, i promotori possono legittimamente aspirare a una somma complessiva intorno ai 2,5 milioni di euro. Non è un premio, ma un rimborso previsto dalla normativa per chi si sobbarca l’onere – e l’onore – di mettere in moto la macchina referendaria. Ma davvero verranno erogati così tanti soldi?

Quanto incassano i promotori se si raggiunge il quorum

Il meccanismo dei rimborsi rispetto al referendum è regolato dall’articolo 1, comma 4 della legge 157/1999. Il testo stabilisce che il rimborso è dovuto per le spese sostenute dai promotori del referendum, con un tetto massimo annuo di spesa fissato dal bilancio statale.

Per il 2025, il limite massimo complessivo è pari a 2.582.285 euro. Il rimborso si calcola su base proporzionale al numero di firme valide raccolte, e spetta solo se almeno un quesito referendario supera il quorum.

Anche se il tetto dei rimborsi è stabilito su base annua, nulla vieta che un solo referendum ne assorba l’intera dote, a patto che gli elettori si presentino in massa. Per i promotori, la matematica è semplice: più votanti, più possibilità di rimborso. Se invece il quorum non si raggiunge, la cassa rimane chiusa.

Va anche assolutamente ricordato che il referendum abrogativo è uno degli strumenti di partecipazione previsti dalla Costituzione italiana. Può essere richiesto da almeno 500.000 cittadini elettori oppure da 5 consigli regionali.

Le firme devono essere convalidate dalla Corte di Cassazione, e solo dopo il vaglio di ammissibilità da parte della Corte Costituzionale il referendum può essere indetto. È un percorso lungo, che richiede organizzazione e risorse, e che si attiva solo quando l’iniziativa raccoglie un consenso popolare concreto fin dalla fase iniziale.

C’è anche un dato da non trascurare: quel mezzo milione di firmatari, di cittadini, equivale all’incirca all’1,1% degli aventi diritto al voto in Italia. Non si tratta di un’iniziativa calata dall’alto, bensì di un processo che nasce da una base popolare, che porta con sé istanze, priorità e aspettative precise.

Chi sono i beneficiari della campagna referendaria

Il sito ufficiale della campagna referendaria elenca i soggetti promotori: vi figurano associazioni e sindacati legati all’area di sinistra, fra cui Magistratura Democratica (Silvia Albano) e diversi dirigenti della CGIL (tra cui il segretario Maurizio Landini).

Gli aderenti motivano il sostegno al referendum abrogativo con ragioni politico-sociali. Magistratura Democratica, ad esempio, dichiara di partecipare “in difesa della Costituzione” perché, nel loro giudizio, “nel disegno costituzionale dei diritti il lavoro è al centro” della Repubblica. Questo punto di vista incontra quello del Pd, che sostiene attivamente il Sì.

Anche il segretario CGIL, Maurizio Landini, sottolinea l’aspetto sociale della consultazione, definendo i quesiti strumenti di “giustizia sociale”.

Nessuna menzione esplicita ai rimborsi previsti dalla legge, anche se non è da escludere che l’attenzione su questo aspetto possa essere letta, da qualcuno, come un elemento delicato nella narrazione pubblica della campagna. La volontà di presentare l’iniziativa come battaglia politica è comunque chiara e coerente con le posizioni espresse.

Cosa guadagnano davvero i promotori del referendum

Oltre all’aspetto economico, c’è quello della presenza mediatica. La campagna referendaria ha permesso a sindacati e associazioni di tornare al centro della scena, tra tour in piazza e coperture stampa tutt’altro che marginali. La CGIL ha organizzato concerti, iniziative pubbliche e maratone informative, con una regia comunicativa che mette in risalto i volti più riconoscibili, a partire da Maurizio Landini.

Il segretario ha ribadito più volte l’importanza del voto definendo “pericoloso” ogni invito all’astensione.

Anche l’adesione di Magistratura Democratica, insieme ad altre sigle civiche, ha contribuito a rafforzare un’immagine di presidio istituzionale e culturale. Il referendum è un momento di partecipazione collettiva che offre anche la possibilità di rafforzare il posizionamento pubblico e il riconoscimento dei soggetti coinvolti.

In tutto questo, resta centrale il ruolo del cittadino, chiamato a esercitare la propria libertà – anche tramite l’astensione, come suggerisce per esempio Fratelli d’Italia – non solo nel momento del voto ma già nella fase che lo precede. Informarsi, valutare le fonti e comprendere il contesto in cui si muovono proposte e promotori sono elementi essenziali per una partecipazione consapevole.

Conoscere le posizioni espresse dalle principali forze politiche consente di collocare i quesiti all’interno di una dinamica più ampia, che va oltre il merito tecnico dei singoli temi. Capire chi li sostiene, da quali ambienti provengono le critiche e quali visioni contrapposte si articolano intorno al referendum aiuta a leggere l’appuntamento elettorale come parte di un confronto più profondo, in cui si intrecciano interessi, strategie e identità politiche.

La trasparenza delle regole e la chiarezza delle motivazioni aiutano a costruire un orientamento libero da automatismi e più vicino e consapevole alla realtà di ciò che ci aspetta dopo il voto.

 

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Fonte: ANSA
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Perché i rimborsi ai comitati non vengono più erogati

Con il decreto legge del 28 dicembre 2013, n. 149 (diventato poi Legge 13/2014), il Governo ha deciso di abolire i rimborsi per le spese delle campagne elettorali. Anche se nel testo non si parla in modo specifico dei referendum, l’obiettivo era chiaramente quello di tagliare tutti i fondi pubblici destinati alla politica elettorale.

Nell’articolo 14 di quella legge, sono stati cancellati quasi tutti i punti della Legge 157 del 1999 che riguardavano i rimborsi (in particolare l’art.1, commi da 1 a 10, e gli articoli 2 e 3), ma è rimasto in piedi solo il comma 4.

Quindi, anche se il comma 4 esiste ancora, tutti gli altri articoli che spiegavano come dovevano essere organizzati e finanziati i rimborsi sono stati cancellati. Questo ha portato, di fatto, alla scomparsa dei soldi stanziati per i rimborsi ai comitati referendari e a una situazione di stallo. Dal 2014 in poi, non risultano più pagati i rimborsi previsti da quella norma.

I motivi sono due:

  • da un lato il decreto del 2013 ha cancellato ogni stanziamento annuale;
  • dall’altro, le leggi di bilancio successive non hanno aggiunto nuovi fondi.

Anche se il comma 4 è ancora scritto nella legge, non può essere applicato perché mancano i soldi per farlo funzionare.