La Cina avverte Israele, stop a Rafah: Netanyahu sfida l’Onu

Netanyahu non ha alcuna intenzione di fermare un conflitto che è politicamente cruciale per il suo governo: lo scontro con la Cina fa tremare il mondo

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Lo scacchiere politico si complica ulteriormente, mentre Israele spinge il proprio esercito sempre più vicino a Rafah. Si sta valicando la soglia di non ritorno da un punto di vista politico (sotto l’aspetto umanitario, invece, quel confine è ormai un ricordo).

Le operazioni proseguono nell’area occidentale di Khan Yunis, con l’esercito di Netanyahu che rastrella l’area nel sud della Striscia di Gaza. Il territorio di guerra si fa sempre più ampio e la distanza da Rafah è ormai insignificante.

La narrativa di Israele non muta e, ignorando gli avvertimenti politici su scala internazionale, si continuano a sottolineare i “trionfi” ottenuti. Ne ha parlato il portavoce militare israeliano, che ha evidenziato come siano stati uccisi più di 30 terroristi.

Khan Yunis è considerata una roccaforte di Hamas e i soldati hanno provveduto a “rafforzare il controllo dell’area con raid sulle infrastrutture terroriste, i cecchini e le pattuglie”. Rafah trema, con i civili visti come scudi umani sacrificabili. Due terroristi, spiega il portavoce, hanno tentato di sfruttare la copertura della popolazione locale nella parte occidentale di Khan Yunis. L’esercito li ha eliminati, per poi distruggere due depositi di armi.

La Cina avverte Israele

Nel fragilissimo equilibrio geopolitico nel quale ci troviamo a vivere, la Cina è ormai da tempo ago della bilancia. Si potrebbe dire che il futuro del mondo passi anche dalle scelte di Pechino in termini di alleanze.

Restringendo l’obiettivo sulla strage che si sta perpetuando a Gaza, però, un portavoce del ministero degli Esteri cinese ha affermato chiaramente come il Paese chieda a Netanyahu di fermare le operazioni militari in atto a Rafah “il più presto possibile”.

Una presa di posizione netta e dura, che ha un notevole impatto nello scacchiere politico: “La Cina si oppone e condanna le azioni che danneggiano i civili e violano il diritto internazionale”. Si richiede l’attuazione di ogni sforzo possibile per evitare ulteriori vittime civili innocenti. Ciò che accade sotto gli occhi del mondo è quello che la Cina definisce un “disastro umanitario”.

A riconferma della vicinanza tra il governo cinese di Xi Jinping e la Russia di Putin, quest’ultima ha espresso lo stesso livello d’allarme attraverso le parole del vice ministro degli Esteri Mikhail Bogdanov.

La risposta di Israele

A livello internazionale si ha però ben chiara l’idea dell’operato di Netanyahu, che di fatto non ha politicamente alternativa alla guerra. Una strage d’interesse mascherata in malo modo da dichiarazioni che sottolineano concetti come difesa e diritto.

Gli appelli per limitare la difesa di Israele rafforzano Hamas”. Ecco le parole di Israel Katz, ministro degli esteri di Netanyahu. Non una risposta diretta alla Cina, bensì a Josep Borrell, responsabile della politica estera Ue.

Questi ha di fatto chiesto di limitare l’attuale mole di fornitura d’armi a Israele. Ci si scontra però contro un muro di gomma, con Katz che ribadisce il pieno rispetto delle leggi internazionali di guerra: “Assicuriamo il movimento sicuro dei civili a Gaza, a differenza di Hamas, che lo impedisce”.

Nulla pare possa frapporsi tra Israele e l’avanzata a Rafah. Ogni giorno il premier Benjamin Netanyahu si fregia dei risultati raggiunti, in modalità che ricordano il conflitto russo-ucraino. Le sue forze speciali hanno liberato due ostaggi rapiti lo scorso 7 ottobre. Ciò è avvenuto con un blitz nel sud di Gaza, mentre Hamas denunciava la morte di almeno 100 persone nei raid israeliani, annunciando la morte di altri tre rapiti nei bombardamenti.

“Una delle operazioni di salvataggio di maggior successo nella storia di Israele”, ecco le parole del premier, mentre Gallant, ministro della Difesa, ha tentato di accendere gli animi dei cittadini descrivendo Hamas come vulnerabile e penetrabile.

Tensioni internazionali

La tensione aumenta, ora dopo ora. Il terrore di fare la prima possa e scatenare un conflitto internazionale è ancora reale ma non eterno. Nbc ha svelato la furia del presidente americano Joe Biden, furibondo con Netanyahu. Tra i due sarebbero volati insulti.

Uno stato di guerra aperta offrirebbe però a Israele giustificazioni di cui attualmente è priva, cambiando potenzialmente gli scenari. Intanto le provocazioni aumentano, con Francesca Albanese, inviata del Consiglio dei diritti umani, che si è vista negare l’accesso a Israele.

Un faccia a faccia contro l’Onu, con Israele che l’ha definita “persona sgradita”. Il governo fa riferimento a un suo tweet in risposta al presidente francese Macron: “Il più grande massacro antisemita di questo secolo? No. Le vittime del 7 ottobre non state uccise a causa del loro ebraismo ma in reazione all’oppressione di Israele. La Francia non ha fatto nulla per impedirlo. I miei rispetti alle vittime”.

Lei ha però precisato come tutto ciò sia una “non notizia”. Il motivo risiede nel fatto che ormai da 16 anni le venga impedito di visitare il territorio palestinese occupato: “Niente può giustificare i crimini contro i civili israeliani, ma la causa non è l’antisemitismo. Si può parlare di odio verso il regime di oppressione da 56 anni in questi territori”.

In questo scenario le elezioni USA 2024 potrebbero davvero decidere le sorti del mondo, il che ci riporta a scenari appartenenti agli inizi del secolo scorso. Occorre infatti guardare anche al fronte russo. La campagna elettorale di Trump prosegue e ha ora nel mirino la Nato. Si paventa un potenziale addio che, anche se impraticabile, lascia intendere il tipo di politica esterna che l’ex presidente vorrebbe condurre. Sulla sua strada un provvedimento presentato da due senatori, di cui un repubblicano. Non tutto il partito è con lui, certo, ma la pancia del Paese agogna un suo ritorno.

Se lo augura anche Putin, che troverebbe un potenziale e del tutto inaspettato alleato, sotto alcuni aspetti. Hanno fatto il giro del mondo le parole di Trump, che ha fatto riferimento a un episodio avvenuto durante una riunione con gli altri leader dei Paesi Nato: “Il presidente di uno dei Paesi più grandi mi ha chiesto se li avessi difesi da un attacco della Russia, in caso di mancato pagamento. Gli ho detto ‘no, non vi proteggerei. Anzi, inviterei la Russia a fare il diavolo che vuole”.