Pensioni, la riforma-mannaia rischia di far perdere 300 euro al mese

Il governo immagina Quota 41 per tutti dal 2024 in sostituzione di Quota 103 che non ha riscosso successo. Uscire prima dal lavoro significa però incassare assegni più bassi

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

La materia previdenziale, in Italia, è un cantiere permanente e ogni governo fa i suoi ritocchi. Anche l’esecutivo Meloni sta valutando diverse opzioni per mettere mano alle pensioni. L’unica certezza, al momento, è che in mancanza di una misura che vada a sostituire Quota 103 a partire da gennaio 2024 tornerà in vigore la riforma Fornero introdotta a suo tempo dal Governo Monti. Per la Lega, azionista dell’attuale esecutivo e partito che ha sempre osteggiato la Fornero, si tratterebbe di una soluzione improponibile.

Quota 41 per tutti dal 2024: l’idea del governo Meloni

Quota 103 prevede l’uscita anticipata dalla vita lavorativa con 62 anni d’età e 41 anni di contributi versati. L’idea sul tavolo del governo è quella di rimpiazzare la misura con Opzione 41 (altresì detta Quota 41), ovvero l’uscita dal lavoro per tutti con 41 anni di contributi versati a prescindere dall’età anagrafica e con il ricalcolo contributivo dell’assegno, sul modello di Opzione Donna.

Quota 41 ha i suoi pro e i suoi contro, sia per i lavoratori che per il governo. Chi, avendo iniziato a lavorare molto giovane, dovesse scegliere Opzione 41 potrebbe lasciare il lavoro prima ma avrebbe un assegno ridotto fino al 16%. Per le casse dell’Inps si tratterebbe di una immediata boccata d’ossigeno, solo parzialmente ridimensionata dal fatto che l’aumento dei nuclei familiari con Isee bassi allargherebbe la platea delle persone che beneficiano di bonus ed esenzioni.

Fatte le simulazioni Quota 41 permetterebbe di lasciare il lavoro con un anticipo che, a seconda delle categorie di appartenenza, va dai 10 ai 22 mesi. A fronte però di una decurtazione dell’assegno che va dal 10% al 16%.

Il taglio degli assegni con Quota 41 per tutti è stato proprio uno dei motivi di frizione fra il governo e l’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico.

Il sottosegretario al Lavoro in quota Lega Claudio Durigon è certo che “Quota 41 si farà” perché “è un obiettivo di legislatura”. Però la misura è al momento solo una bozza e non è stata sottoposta ufficialmente ai sindacati.

Quota 41: sindacati favorevoli

In mancanza di una quadra su Opzione 41 il governo potrebbe tentare l’eventuale strada della proroga di Quota 103, che però non sembra aver avuto molto appeal: la misura, dalla sua introduzione, ha registrato solo 17mila domande di cui quelle accolte sono 14mila.

I sindacati non disdegnano l’idea alla base di Quota 41, che anzi rientra nella piattaforma unitaria delle richieste di Cgil, Cisl e Uil insieme ad altre iniziative. Le sigle spingono anzi per una vera trattativa negoziale e non per ulteriori tavoli di ascolto. Fra le richieste dei sindacati c’è anche uno scivolo preferenziale per l’uscita dal lavoro con 62 anni d’età (contro gli attuali 67, limite per la pensione di vecchiaia), nuovi riconoscimenti in merito al lavoro gravoso e usurante, l’introduzione della pensione contributiva di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e povere, il riconoscimento del lavoro di cura, il rilancio della previdenza complementare negoziale e la piena tutela del potere d’acquisto delle pensioni in essere.

Quota 41 per lavoratori precoci: requisiti 2023

Quota 41 oggi esiste già ma si applica a una piccola fetta di lavoratori che rispettano stringenti parametri:

  • essere lavoratori precoci, cioè avere già maturato almeno 12 mesi di contributi entro i 19 anni d’età;
  • appartenere a una categoria tutelata dallo Stato (disoccupati, invalidi almeno al 74%, caregiver, lavoratori usuranti e gravosi).

La speranza del governo è reperire le risorse per estendere Quota 41 a tutti.