Pensioni anticipate: sono sempre meno con la nuova Quota 103

Quota 102 e Quota 103 non piacciono agli italiani, e Opzione Donna viene scelta da sempre meno lavoratrici: le pensioni anticipate non convengono nel 2023

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Mirko Ledda

Editor e fact checker

Scrive sul web da 15 anni, come ghost writer e debunker di fake news. Si occupa di pop economy, tecnologia e mondo digitale, alimentazione e salute.

Pensioni anticipate poco interessanti per gli italiani: Quota 102 e Quota 103 non piacciono, Opzione Donna è quasi scomparsa. Lo attestano i dati dell’ultima rilevazione dell’Inps. Nel primo trimestre del 2023 sono andati in pensione 174.610 lavoratori. Meno di un terzo ha usufruito dei trattamenti anticipati. Si tratta del 38% in meno rispetto allo scorso anno di pensionati con le quote: 51.583 nel 2023 contro 83.153 nel 2022.

Ad abbassarsi sono anche in numeri generali delle pensioni. Oltre un quinto in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le cifre del 2023, da gennaio a marzo, sono le seguenti.

  • 65.137 trattamenti di vecchiaia.
  • 51.583 trattamenti anticipati.
  • 8.167 trattamenti di invalidità.
  • 49.723 trattamenti ai superstiti.

Flop di Quota 102 e Quota 103 : calo dei numeri nel 2023

Quota 100, con uscita a 62 anni di età e 38 di contributi, è stata sostituita lo scorso anno da Quota 102, che ha alzato il requisito anagrafico a 64 anni. Nel 2023 è entrata in vigore Quota 103, con accesso a 62 anni di età e 41 di contributi.

Il cambiamento dei requisiti ha bloccato dunque molti lavoratori dal richiedere la pensione anticipata, che rappresentano meno del 30% del totale erogato dall’Inps – la percentuale sale al 36% per i dipendenti e al 44% per quelli pubblici.

Opzione Donna: i nuovi requisiti affossano la misura

È andata peggio a Opzione Donna. Le nuove regole previste dalla Legge di bilancio del governo Meloni hanno permesso l’accesso alla misura a solo 151 italiane. L’anno scorso le domande andate a buon fine erano state 4.185.

Possono usufruire di Opzione Donna solo le lavoratrici in situazione di svantaggio con 60 anni di età e 35 anni di contributi, ovvero quelle che fanno parte delle seguenti categorie.

  • Care giver che assistono da almeno 6 mesi il coniuge, il partner o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità o un parente o affine di secondo grado convivente.
  • Persone con invalidità civile superiore o uguale al 74% con ridotta capacità lavorativa.
  • Essere dipendenti o licenziate da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale.

Gender gap nelle pensioni: le donne prendono meno

Dal rapporto dell’Inps è emerso anche un evidente gender gap dei trattamenti previdenziali. Le pensioni delle donne valgono in media il 33% in meno rispetto a quelle degli uomini. L’importo medio nazionale è di 1.111 euro al mese, ma per gli uomini sale a 1.357 euro e per le donne non raggiunge i tre zeri, fermandosi a 904 euro.

Sono solo 17.111 gli assegni anticipati per le pensionate a fronte dei 34.472 della controparte maschile. Anche per questa categoria di trattamenti si nota una disparità. La cifra media percepita dalle donna è più bassa di un quinto: 1.527 euro contro i 2.043 euro degli uomini.

Il gender gap pensionistico, di cui vi abbiamo parlato già qua, è dovuto principalmente al fatto che le donne versano meno contributi a parità di età anagrafica, a causa di impegni lavorativi meno costanti nel tempo.

Non è raro infatti che una lavoratrice si trovi nella situazione di dover rinunciare alla carriera per la famiglia, sia quando viene programmato l’arrivo di un figlio, sia quando si verificano imprevisti ed emergenze, come nel caso di malattia di un familiare. Qua è possibile approfondire le cause del fenomeno.

Qua il piano per ridurre il gender gap in tutto il mondo del lavoro, a partire dalle retribuzioni.