Ok all’aumento degli stipendi: come cambia la busta paga

Il Decreto Aiuti bis stabilisce un taglio del cuneo fiscale dell'1,2%, in aggiunta a quello dello 0,8% disposto a gennaio. La misura garantirà stipendi mediamente più alti, ma avrà anche ricadute su tasse e Bonus 200 euro

I quasi 15 miliardi di euro complessivi previsti dal Decreto Aiuti bis (qui trovate tutte le misure per famiglie e imprese), fresco di approvazione da parte del Consiglio dei ministri, andranno a incidere, oltre che su pensioni e Bonus come quello da 200 euro, anche sulla busta paga dei lavoratori italiani. In quest’ultimo caso, la strategia escogitata dal Governo prevede un taglio del cuneo fiscale maggiore rispetto a quanto preventivato prima dell’ok al provvedimento.

Taglio del cuneo fiscale (e dei contributi)

Dall’iniziale 1%, il taglio del cuneo fiscale è passato all’1,2%, in aggiunta allo sgravio contributivo dello 0,8% stabilito da gennaio e attualmente in vigore (oltre che alla riduzione dell’Irpef e all’assegno unico per i figli). La sforbiciata finale si assesta dunque sul 2% complessivo. L’iniziativa andrà a tutelare i redditi medio-bassi, perché riguarderà i contribuenti che guadagnano non più di 35mila euro lordi l’anno (retribuzioni imponibili lorde non superiori a 2.692 euro mensili). In termini pratici, vuol dire che lo Stato chiederà ai lavoratori meno contributi per la pensione e il welfare.

Durante la conferenza stampa di presentazione del decreto il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha riferito che il taglio del cuneo fiscale ha un onere per la finanza pubblica netto di 1,2 miliardi di euro.

Aumento dello stipendio: quanto vale l’aiuto

I contributi “tagliati” saranno versati dallo Stato, incrementando dunque la somma che il contribuente si vedrà accreditata in busta paga. L’annunciata sforbiciata dell’1% si tradurrà in circa 18-20 in più al mese per chi si trova nella fascia più alta della platea dei beneficiari, cioè chi percepisce uno stipendio di circa 1.600 euro netti mensili.

La cifra sarà ovviamente inferiore per chi ha redditi più bassi: chi guadagna mille euro al mese, vedrà un aumento medio di circa 10 euro. Estendendo il calcolo ai sei mesi in cui la misura sarà in vigore (retroattiva per il mese di luglio e fino a dicembre 2022) i lavoratori dipendenti dovrebbero percepire circa 100 euro lordi in più in busta paga. Ecco alcuni esempi chiarificatori, che comprendono la sola misura dell’1,2%:

  • Per chi prende 1.000 euro: l’aumento mensile sarà di 12 euro, quello semestrale di 64 euro
  • Per chi prende 1.500 euro: l’aumento mensile sarà di 18 euro, quello semestrale di 108 euro
  • Per chi prende 2.000 euro: l’aumento mensile sarà di 24 euro, quello semestrale 144 euro
  • Per chi prende 2.692 euro: l’aumento mensile sarà di 32,30 euro, quello semestrale 193,8 euro

Unendo anche il taglio dello 0,8% disposto a gennaio, l’incremento in busta paga per uno stipendio di 1.000 euro mensili sale da luglio a 1.020, dopo essere stato portato a 1.008 da gennaio (la differenza sul mese già trascorso dovrebbe essere riconosciuta retroattivamente ad agosto).

A questi calcoli bisogna aggiungere anche la tredicesima, così come si legge nel comunicato stampa della presidenza del Consiglio dei ministri: “Quanto alle politiche sociali, si dispone la riduzione del cuneo fiscale in favore dei lavoratori dipendenti per i periodi di paga dal 1° luglio al 31 dicembre 2022, inclusa la tredicesima. Si prevede inoltre l’anticipo al 1° ottobre 2022 della rivalutazione delle pensioni, l’estensione del Bonus 200 euro a lavoratori attualmente non coperti e il rifinanziamento per 100 milioni di euro nel 2022 del Fondo per il sostegno del potere d’acquisto dei lavoratori autonomi”.

Come funzionano i contributi

Sulla retribuzione imponibile previdenziale riconosciuta al dipendente si calcolano i contributi dovuti all’Inps che, di solito, ammontano al 33% per quanto riguarda i lavoratori subordinati. Di questo 33%, la quota più consistente grava sul datore di lavoro: il 23,81% nel settore privato, il 24,20% nel pubblico. Di conseguenza, la percentuale di cui deve farsi carico il dipendente è del 9,19% nel privato e dell’8,8% nel pubblico.

Dalla retribuzione imponibile previdenziale viene dunque sottratta la quota di contributi da versare alla Cassa. Sul risultato ottenuto, poi, si applica l’Irpef dovuta dal dipendente, al netto delle detrazioni, così da calcolare lo stipendio netto effettivamente percepito.

L’altra faccia della medaglia: le tasse e il Bonus 200 euro

Dato che i conti pubblici devono sempre quadrare, almeno sulla carta, come farà lo Stato ad ammortizzare l’esborso extra per il taglio del cuneo fiscale? Con ogni probabilità i lavoratori dovranno pagare più tasse in proporzione all’imponibile: chi guadagna di più, sborserà di più.

La misura del Governo destinerà inoltre meno risorse del Bonus 200 euro, garantito a 30 milioni di connazionali e costato circa 6,8 miliardi di euro. Il contributo non sarà infatti rinnovato, ma solo esteso a chi era stato escluso dalla prima versione come lavoratori precari e stagionali.