Parcella azzerata per l’avvocato che non informa correttamente il cliente

La competenza tecnica del legale non basta se non è accompagnata da chiarezza, correttezza e comunicazione, fin dal principio: lo dice la Cassazione

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 25 Ottobre 2025 20:21

La diligenza professionale si manifesta in vari modi, anche nel mondo dell’avvocatura. Chi ogni giorno lavora districandosi tra leggi, norme e codici sa bene che esistono confini da non oltrepassare, pena la violazione di obblighi di diversa gravità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce a quali rischi va incontro l’avvocato che, nell’esecuzione del mandato ricevuto dal cliente, non informa in maniera completa e esaustiva su tutti i rischi legati al fare causa contro qualcuno. Si può perdere in tribunale e, proprio per questo, il professionista è tenuto ad avvertire il cliente.

Se non lo fa, non può pretendere il pagamento di tutta la parcella. In tal caso, infatti, verrebbe meno il rapporto di fiducia, e al cliente non può essere imposto un sacrificio economico sproporzionato. Vediamo insieme, in sintesi, i contenuti della pronuncia n. 25889, che – oltre a risolvere il caso concreto – offre un principio di orientamento generale per i rapporti tra cliente e avvocato.

La causa contro l’ex avvocato

Tutto ha avuto origine da una causa civile relativa a una donazione, conclusasi con esito sfavorevole per una donna che, dopo la sconfitta, si è vista recapitare dal suo ex avvocato una richiesta di oltre 13mila euro.

Convinta di non dover corrispondere quella somma, la cliente si è opposta all’ingiunzione di pagamento, avviando un nuovo giudizio e sostenendo che il legale non l’avesse mai avvertita del rischio concreto di perdere la causa.

Davanti al giudice, la donna si è avvalsa di un elemento decisivo: la testimonianza dell’ex segretaria dello studio legale, la quale ha confermato che il professionista non aveva mai spiegato alla cliente la reale probabilità di soccombere in giudizio. Ma, come è noto, nessuna causa è vinta in partenza.

La decisione del tribunale civile è stata tuttavia poco soddisfacente per la donna. Il giudice le ha riconosciuto il diritto a non pagare l’intera parcella, ma ne ha ridotto l’importo solo di poche centinaia di euro.

Ha ritenuto infatti che, alla luce dei fatti emersi, la cliente avrebbe comunque scelto di agire in giudizio anche se fosse stata informata dei rischi. Tanto è bastato, secondo il magistrato, a giustificare una parcella comunque consistente per l’attività svolta dal legale.

Perché la Cassazione ha bocciato la sentenza

La controversia è arrivata infine davanti alla Corte di Cassazione, dove la donna ha ottenuto una decisione a lei favorevole.

I giudici supremi hanno ritenuto errato il ragionamento logico-giuridico del tribunale di merito, che aveva presunto che la ricorrente avrebbe comunque intrapreso l’azione giudiziaria soltanto perché, dopo la sconfitta in primo grado, aveva proposto appello.

Si è trattato però, ha osservato la Corte, di una deduzione priva di solide basi. Il comportamento successivo della donna non poteva essere utilizzato per ricostruire le sue intenzioni iniziali.

In sostanza, la presentazione dell’appello non ha avuto alcun valore per stabilire che cosa la cliente avrebbe deciso di fare se, all’epoca, fosse stata adeguatamente informata del rischio di perdere.

Ciò significa che, sul piano deontologico, ha sbagliato non solo l’avvocato restio a fornire le necessarie informazioni, ma anche il giudice che ha disposto una riduzione minima della parcella.

In discussione c’è infatti la violazione dell’articolo 2729 del Codice Civile, secondo cui le presunzioni devono sempre fondarsi su fatti “gravi, precisi e concordanti”.

Il solo elemento dell’iniziativa in appello, precisa la Corte, non è stato sufficiente a integrare tali requisiti e dunque a dimostrare che la cliente avrebbe comunque deciso di agire in giudizio, anche se fosse stata correttamente e tempestivamente informata.

L’avvocato deve sempre dire al cliente tutti i rischi

Difendere e tutelare i diritti del proprio cliente non significa soltanto compiere attività tecniche, in aula e fuori dall’aula.

Significa, anzitutto, rispettare un dovere professionale di lealtà che trae fondamento dall’art. 1176 del Codice Civile, il quale impone al professionista una diligenza media adeguata alla natura dell’incarico. Non solo.

Come il Codice Deontologico Forense (art. 27), la stessa legge professionale forense n. 247/2012 all’art. 13 spiega che:

Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico; è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l’incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale.

In pratica, l’avvocato non può tacere elementi che potrebbero indurre il cliente a non affidargli l’incarico per contratto o a rinunciare a un’azione giudiziaria.

Il cliente deve essere messo in condizione di compiere una scelta consapevole, valutando in anticipo costi, benefici e rischi del contenzioso.

E la comunicazione deve sempre avvenire in forma scritta. In mancanza, la qualità della prestazione professionale si riduce, con inevitabili conseguenze anche sul fronte del compenso (e al di là dei casi il cliente ha gratis un avvocato).

La Cassazione spiega inoltre che la decisione finale sul calcolo del compenso spetterà al giudice del rinvio, che dovrà applicare questi principi in concreto.

Che cosa cambia con la nuova sentenza

La pronuncia della Cassazione 25889/2025 ci insegna che il rapporto cliente-avvocato si basa su un elemento imprescindibile: la fiducia reciproca.  Ma la fiducia, da sola, non basta.

Deve essere alimentata dalla trasparenza e da una comunicazione onesta, soprattutto quando si tratta di affrontare le incertezze di una causa. Il cliente non è un semplice spettatore del processo, ma deve essere pienamente consapevole delle scelte che lo riguardano.

Immaginiamo il caso tipico di ambito condominiale. Un avvocato consiglia al proprio cliente di agire in giudizio per ottenere il risarcimento di un danno da un vicino, senza però spiegargli che la prova del danno è debole e che la causa potrebbe concludersi con la condanna alle spese legali.

Ebbene, il cliente, confidando nel parere positivo del legale, decide di procedere e perde la causa, trovandosi a pagare sia il proprio avvocato sia le spese della controparte.

In casi come questo, l’avvocato non ha poi il diritto di pretendere tutto il compenso, per attività che, altrimenti, non avrebbe svolto. Il silenzio non è scusato ma, anzi, è un inadempimento contrattuale che incide direttamente sulla qualità della prestazione e sul diritto al pagamento.

Ma anche nel caso in cui non sia provato che, con un’informazione adeguata, non ci sarebbe stata un’azione legale, la negligenza dell’avvocato andrà pur sempre valutata negativamente.

In termini pratici, il giudice ben potrà ridurre l’importo della parcella, in misura variabile e proporzionata a tutti gli elementi concreti e alla gravità dell’omissione.

Concludendo, l’avvocato che non avvisa dei rischi processuali viola un obbligo fondamentale della sua professione. E come per il caso dell’errore dell’avvocato, quella mancanza può costargli cara, anche l’intera parcella.