Vendo su Vinted, eBay o Etsy: devo pagare le tasse?

Scopriamo in quale modo vengono tassate le vendite online. Andiamo ad analizzare in quali casi è necessario dichiarare le transazioni effettuate e quando si può evitare di farlo

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Le vendite effettuate su Vinted, eBay, Etsy e altre piattaforme simili sono rilevanti ai fini della dichiarazione dei redditi? Eventuali compensi che derivano dalle vendite online, devono essere sempre tassati? E se sì, in quale misura? È necessario aprire la partita Iva per poter essere in regola?

Queste sono solo alcune delle domande che pongono quanti hanno ottenuto un qualsiasi guadagnano da una vendita online. Sono molte, infatti, le famiglie che hanno deciso di rivendere qualche oggetto scovato in cantina o dimenticato in garage. I soldi che si possono ottenere grazie a questa attività possono spaziare da pochi euro a cifre sicuramente più consistenti: tutto sta nella quantità e nella qualità degli oggetti messi in vendita.

Oggi le soluzioni per vendere degli oggetti online si stanno allargando a macchia d’olio: è possibile passare dai social network, strutturare un sito web di proprietà o appoggiarsi a dei portali online dedicati, come possono essere Vinted, eBay o Etsy.

La vendita online può coinvolgere alcuni oggetti usati, ma c’è anche chi ha iniziato una vera e propria attività economica, che può essere legata all’artigianato o al piccolo commercio. Questo è il motivo per il quale è necessario prestare la massima attenzione alle regole fiscali da rispettare. E che non devono essere tralasciate, per non incappare in situazioni spiacevoli.

Vendita online, come funziona

Sono diverse le soluzioni per poter creare un piccolo commercio domestico. Si può scegliere di fare un piccolo mercatino in casa o addirittura si può prendere un accordo con un negoziante privato con tanto di contratto in conto vendita. Oggi come oggi, uno dei metodi più diffusi sono le vendite online: non importa che si tratti di un oggetto fatto a mano o di uno usato. Hobby o semplice volontà di liberarsi – monetizzandoli – di vecchi oggetti: su Internet è possibile trovare molti potenziali acquirenti. In alcuni casi è possibile arricchirsi, in altri trovare i soldi per fare una cena fuori.

eBay sicuramente è il sito più famoso e storico nel quale è possibile mettere in vendita i propri oggetti, ma oggi sempre più utenti utilizzano anche Vinted per gli abiti usati e Etsy per gli oggetti artigianali. Sono a tutti gli effetti dei negozi online: dopo essersi registrati è possibile inserire i propri annunci e cominciare la vendita con piccoli e rapidi passi.

Il profilo fiscale

Dopo aver effettuato la prima vendita arriva il momento cruciale. Quello in cui porsi una domanda: il compenso appena ottenuto deve essere tassato? Quali regole è necessario seguire per inserirlo nella dichiarazione dei redditi? Per rispondere a queste domande è necessario andare ad analizzare il profilo fiscale del singolo contribuente. La vendita online può essere riconducibile a tre diverse ipotesi, che portano a tre conseguenze diverse dal punto di vista fiscale. Possiamo, infatti, avere:

  • le vendite per le quali non si configura un’attività commerciale. In questo caso non si devono pagare le tasse;
  • la vendita di oggetti online che configurano un’attività commerciale occasionale e, che risulta essere tassabile ai fini Irpef;
  • la vendita che configura un’attività commerciale abituale, che è tassabile ai fini Irpef e che risulta essere rilevante ai fini Iva.

Come si fa a capire se una vendita online rientra nella prima casistica o in una delle successive? Sono due i fattori che determinano in quale modo debbano essere gestite le operazioni:

  • l’occasionalità della vendita;
  • l’intento speculativo della vendita.

Il requisito dell’occasionalità

Nel momento in cui si procede a vendere un bene “una tantumnon stiamo svolgendo un’attività commerciale. Siamo davanti, molto semplicemente, ad una cessione del tutto episodica. Questo ragionamento vale sia quando si vende un oggetto nuovo, un bene usato di cui eravamo già in possesso o un qualsiasi prodotto di artigianato fabbricato con le nostre mani.

In questa casistica rientra la vendita di un mobile, della propria auto o di un tappeto. Stesso discorso vale anche quando vendiamo un vestito dismesso. È un’operazione del tutto episodica. Il classico esempio è costituito dalla vendita fatta nei confronti di un amico o di un qualsiasi altro soggetto che ne sia interessato. Poco importa il mezzo attraverso il quale viene effettuata la cessione: quindi vale anche per le vendite online.

Il fatto che la vendita sia, a tutti gli effetti episodica, fa sì che l’operazione non possa essere inquadrata come commerciale. Indipendentemente dal corrispettivo economico.

Quanto è stato incassato non conta ai fini pratici. Quello che è determinante è che la vendita rimanga episodica o meno nel tempo. Oltre tutto è necessario sottolineare che per i beni usati non ci sono obblighi fiscali, nel momento in cui si rimane in questa particolare fattispecie.

In altre parole fino a quando la cessione è episodica, anche quando la vendita è online, l’operazione non ha alcuna rilevanza ai fini fiscali: non è un’attività abituale di tipo commerciale.

Lo stesso tipo di riflessione deve essere posta per quanto concerne l’Iva. Queste operazioni risultano essere escluse dal campo di applicazione dell’Iva perché manca il requisito soggettivo. Non è necessario, quindi, assolvere ad alcun adempimento.

L’aspetto speculativo

Nel momento in cui si effettuano delle vendite online utilizzando Vinted, eBay o qualsiasi altra piattaforma, è necessario analizzare l’intento speculativo. Questa particolare variabile entra in gioco nel momento in cui si gestiscono i beni che possono essere definiti come oggetti da collezione. Tra questi rientrano gli orologi, le automobili o le moto d’epoca.

Quanto il valore degli oggetti è destinato a crescere nel tempo è necessario valutare se il maggiore valore ottenuto grazie alla vendita possa costituire reddito. In questo caso è necessario andare ad analizzare un caso specifico. L’Agenzia delle Entrate, attraverso la risoluzione n. 204/E/2002, ha deciso di far entrare nel reddito d’impresa quanto un’azienda aveva guadagnato da un unico affare. L’AdE aveva preso questa decisione perché per concludere quell’unico affare era stato necessario adempiere ad una serie di atti economici. Si trattava, infatti, della vendita di un box auto.

Quindi, volendo sintetizzare al massimo, la discriminante tra l’eventuale provento che non determina reddito e quello che determina reddito è costituito direttamente dalle finalità che il cedente ha espressamente perseguito con la vendita dei beni.

Un esempio in questo senso ci viene fornito dalla sentenza n. 33 del 13 gennaio 2004 della CTP di Pisa. I giudici hanno ritenuto non reddituale la vendita di più auto da corsa da parte di un avvocato che aveva questa passione. Le vendite sono state effettuate nel corso di un solo anno ed avevano portato ad un controvalore di 845 milioni di lire. Benché avessero determinato un arricchimento del diretto interessato, questi atti non erano animati da un fine speculativo. Sono semplicemente gli atti tipici di un amatore che acquista e vende nello spirito di conservare e migliorare il proprio patrimonio.