L’Intelligenza artificiale avrà un impatto sul 60% dei posti di lavoro nei Paesi avanzati. Ma più che sostituirli, li integrerà

Un nuovo studio del Fondo monetario internazionale rivela i possibili impatti dell'IA sul lavoro, e nelle economie avanzate e in quelle emergenti, con differenze importanti

Foto di Miriam Carraretto

Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

L’Intelligenza artificiale trasformerà l’economia globale. In particolare, avrà un impatto su circa il 40% dei posti di lavoro in tutto il mondo, sostituendone alcuni e integrandone altri. “Siamo sull’orlo di una rivoluzione tecnologica che potrebbe far ripartire la produttività, stimolare la crescita globale e aumentare i redditi in tutto il mondo. Tuttavia, potrebbe anche sostituire posti di lavoro e aggravare la disuguaglianza. Abbiamo bisogno di un attento equilibrio tra le politiche per sfruttarne il potenziale” dichiara il Fondo Monetario Internazionale.

La nuova analisi condotta dagli esperti del Fondo Monetario Internazionale sulla possibile relazione tra Intelligenza artificiale e lavoro sottolinea il “fascino” che sta generando l’IA su tutti noi, e però, dall’altra parte, anche la preoccupazione per il mondo che verrà, sollevando importanti interrogativi sul suo impatto sull’economia globale.

“L’effetto netto è difficile da prevedere, perché l’Intelligenza artificiale si diffonderà nelle economie in modi complessi. Ciò che possiamo dire con una certa sicurezza è che dovremo elaborare una serie di politiche per sfruttare in modo sicuro il vasto potenziale dell’Intelligenza artificiale a beneficio dell’umanità” scrive l’FMI.

Come sappiamo, molti studi sembrano dire che i posti di lavoro verranno sostituiti dall’Intelligenza artificiale. Eppure, sappiamo che in molti casi è probabile che l’IA integrerà il lavoro umano.

“I risultati sono sorprendenti” spiega il Fondo Monetario Internazionale: quasi il 40% dell’occupazione globale è “esposta” all’Intelligenza artificiale, cioè in qualche modo subirà delle conseguenze, negative o positive, collegate all’IA. Storicamente, l’automazione e la tecnologia dell’informazione hanno avuto la tendenza a influenzare le attività quotidiane, ma una delle caratteristiche che distingue l’Intelligenza artificiale è la sua capacità di avere un impatto sui lavori altamente qualificati. Per questo motivo sono le economie avanzate quelle che si trovano ad affrontare maggiori rischi legati all’IA, ma anche maggiori opportunità di sfruttarne i benefici, rispetto ai mercati emergenti e alle economie in via di sviluppo.

Le possibili conseguenze dell’IA sulle economie avanzate

Nelle economie avanzate, circa il 60% dei posti di lavoro potrebbe essere “influenzato” dall’Intelligenza artificiale. Ma è anche vero, dicono le previsioni, che circa la metà di questi lavori potrebbe trarre vantaggio dall’integrazione dell’Intelligenza artificiale, migliorando la produttività. Tanto che per Bill Gates, grazie all’IA lavoreremo soltanto più 3 giorni alla settimana.

Per l’altra metà, le applicazioni dell’IA potrebbero eseguire compiti chiave attualmente svolti da persone, il che potrebbe ridurre la domanda di manodopera, portando a salari più bassi e a una riduzione delle assunzioni. “Nei casi più estremi, alcuni di questi posti di lavoro potrebbero scomparire”.

E in Italia? Come impatterà l’IA

In Italia, secondo uno studio di qualche mese fa di The European House-Ambrosetti e Microsoft, un’adozione capillare dell’IA da parte delle imprese può dare una spinta decisiva alla produttività: se le aziende e la Pubblica amministrazione italiane adottassero diffusamente l’Intelligenza artificiale, soprattutto nella sua forma generativa, potremmo assistere a un notevole aumento del Pil nazionale, che potrebbe incrementare fino a 312 miliardi di euro, equivalente a un +18%.

Gli incrementi di produttività derivanti dall’adozione diffusa dell’Intelligenza artificiale varieranno notevolmente a seconda del settore. Ad esempio, settori con una componente fisica più marcata, come l’agricoltura e le costruzioni, potrebbero registrare aumenti inferiori al 20%. Al contrario, settori come il commercio, l’educazione, la PA e i servizi professionali potrebbero beneficiare di aumenti medi tra il 20 e il 25%. Le aziende digitali e finanziarie, invece, potrebbero sperimentare incrementi superiori al 25%.

Il Belpaese deve però prima di affrontare sfide non più rinviabili: mancanza di innovazione, crescita economica limitata, carenza di lavoro qualificato. Un dato su tutti: per rendere diffusa l’adozione dell’Intelligenza artificiale nel nostro Paese, è necessario affrontare la sfida di digitalizzare circa 113mila piccole imprese, che costituiscono un pilastro fondamentale dell’ecosistema economico italiano. Inoltre, è cruciale aumentare il numero di laureati nelle discipline tecnologiche, attualmente tra i più bassi in Europa, di almeno 130mila unità.

Le possibili conseguenze dell’IA sulle economie emergenti e povere

Meno forte l’impatto dell’Intelligenza artificiale sui mercati emergenti, dove l’esposizione all’Intelligenza artificiale dovrebbe essere del 40%, e nei Paesi a basso reddito, dove si parla del 26%. Ma se è vero, com’è vero, che i Paesi meno avanzati risentirebbero meno dei questa nuova rivoluzione, è anche vero che molti di loro non dispongono delle infrastrutture o della forza lavoro qualificata per sfruttare i vantaggi dell’IA, e quindi aumenterebbe il rischio che, nel tempo, la tecnologia possa peggiorare la disuguaglianza tra Paesi.

Le disparità sarebbero anche visibili all’interno di uno stesso Paese. L’Intelligenza artificiale potrebbe influenzare la disuguaglianza di reddito e di ricchezza all’interno dei Paesi. “Potremmo vedere una polarizzazione all’interno delle fasce di reddito, con i lavoratori che riescono a sfruttare l’Intelligenza artificiale, che vedrebbero un aumento della loro produttività e dei loro salari, e quelli che non riescono, che resterebbero indietro”.

Pur vero però che l’Intelligenza artificiale, dicono le previsioni contenuto nello studio dell’FMI, può aiutare i lavoratori meno esperti a migliorare la loro produttività più rapidamente. I lavoratori più giovani potrebbero trovare più facile sfruttare le opportunità, mentre i lavoratori più anziani potrebbero avere difficoltà ad adattarsi.

L’esperimento sull’assistente vocale

Per avere una prova concreta, l’FMI ha analizzato l’introduzione scaglionata di un assistente conversazionale generativo basato sull’Intelligenza artificiale utilizzando i dati di 5.179 agenti che si occupano di assistenza clienti.

Il risultato è che l’accesso allo strumento aumenta la produttività, misurata in termini di problemi risolti ogni ora, in media del 14%, compreso un miglioramento del 34% per i lavoratori alle prime armi e poco qualificati, e con un impatto minimo invece sui lavoratori esperti e altamente qualificati.

L’IA riesce a diffondere le migliori pratiche dei lavoratori più abili e aiuta i nuovi lavoratori a spostarsi lungo la curva dell’esperienza. Inoltre, migliorano il sentiment dei clienti, aumenta la fidelizzazione dei dipendenti e aiuta l’apprendimento dei lavoratori.

L’effetto dell’IA sugli stipendi

Per quanto riguarda i compensi, l’effetto dipenderà in gran parte dalla misura in cui l’IA integrerà il lavoro dei lavoratori ad alto reddito. Se lo farà in maniera potente, potrebbe portare a un aumento “sproporzionato” del loro reddito da lavoro.

Inoltre, i guadagni di produttività derivanti dalle aziende che adottano l’Intelligenza artificiale aumenteranno probabilmente i rendimenti di capitale, il che potrebbe anche favorire i redditi più alti. Ma anche qui lo scenario è che potrebbero crescere le disuguaglianze.

Un dato su cui senz’altro dobbiamo riflettere è che, prosegue l’FMI nella sua analisi, “nella maggior parte degli scenari, l’Intelligenza artificiale probabilmente peggiorerà la disuguaglianza complessiva”: una tendenza preoccupante che la politica è chiamata ad affrontare prima che sia troppo tardi.

“È fondamentale – si legge ancora nel documento – che i Paesi creino reti di sicurezza sociale e offrano programmi di riqualificazione per i lavoratori vulnerabili”. L’Unione europea si sta già muovendo, e non a casa ha già lanciato l’AI Act, che dovrà ora essere formalmente adottato dal Parlamento e dal Consiglio per diventare legge dell’Unione.

L’AI Preparedness Index del Fondo Monetario

Cosa sta facendo in tutto questo il Fondo monetario internazionale? Per aiutare i Paesi a elaborare le giuste politiche, ha sviluppato un indice di preparazione all’Intelligenza artificiale –  chiamato AI Preparedness Index – che misura la preparazione in 4 settori chiave: le infrastrutture digitali, le politiche del capitale umano e del mercato del lavoro, l’innovazione e l’integrazione economica, la regolamentazione e l’etica.

La componente relativa alle politiche del capitale umano e del mercato del lavoro, ad esempio, valuta elementi quali gli anni di scolarizzazione e la mobilità nel mercato del lavoro, e anche la percentuale di popolazione coperta da reti di sicurezza sociale. La componente normativa ed etica valuta l’adattabilità ai modelli di business digitali del quadro giuridico di un Paese e la presenza di una governance forte per un’applicazione efficace.

I risultati rivelano che le economie più ricche, comprese quelle avanzate e alcune economie di mercato emergenti, tendono ad essere meglio attrezzate per l’adozione dell’Intelligenza artificiale rispetto ai Paesi a basso reddito, sebbene vi siano notevoli differenze. Singapore, Stati Uniti e Danimarca hanno registrato i punteggi più alti nell’indice, dimostrando di essere i più pronti a sfruttare il buono che c’è dell’IA.

Le economie avanzate dovrebbero dunque dare priorità all’innovazione e all’integrazione dell’IA, sviluppando allo stesso tempo solidi quadri normativi, conclude l’FMI. Per i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo, invece, la priorità dovrebbe essere quella di gettare solide basi attraverso investimenti nelle infrastrutture digitali e in una forza lavoro digitalmente competente.