La tecnologia è parte integrante di numerosissime attività di lavoro, tanto che ormai non se ne può più prescindere senza evitare blocchi, intoppi o rallentamenti della produzione, disagi per il personale e ripercussioni sul profitto aziendale. Il punto però è che, se da un lato ogni lavoratore subordinato è tenuto al rispetto dell‘orario di lavoro, dall’altro è (o dovrebbe essere) libero di riposarsi e recuperare le energie psicofisiche nel resto della giornata.
Pensiamo ad esempio al caso di chi, alle otto di sera, si sta preparando per uscire a cena con i propri familiari e riceve sullo smartphone la notifica di una nuova email o messaggio del capo, che chiede di controllare una pratica o di preparare con urgenza una presentazione per il giorno seguente. Ma pensiamo anche a chi, magari in vacanza al mare o in montagna, riceve la telefonata di un superiore che raccomanda di riprendere in mano le carte di lavoro per qualche verifica fuori orario. Su queste e altre simili situazioni si agita l’odierno dibattito sul diritto ad un’effettiva disconnessione.
Non sorprende allora che in questi giorni un tema caldo sia proprio la proposta di legge sul riconoscimento, a favore di tutti i lavoratori, di un pieno diritto a staccare dai collegamenti internet professionali. Vediamo perché questo testo è meritevole di attenzione e perché il diritto alla disconnessione è un’esigenza non rinviabile.
Indice
Punti chiave del ddl sul diritto alla disconnessione
Depositata in Parlamento a luglio da alcuni deputati dell’opposizione – a seguito di una raccolta di adesioni denominata “Lavoro, poi stacco” – la proposta di legge sul diritto alla disconnessione farà tappa in Senato. Alla base di questa iniziativa c’è l’associazione giovanile L’asSociata, una realtà costituita da lavoratori della Gen Z e nata alcuni anni fa per avvicinare i giovani al mondo delle istituzioni e proporre idee di cambiamento.
Tra queste idee, l’introduzione del diritto a non rispondere a mail e messaggi dopo il lavoro. I promotori dell’iniziativa legislativa hanno preso alla lettera la richiesta, depositando alla Camera un testo intitolato proprio “Lavoro, poi stacco“. Lo scopo, come accennato, è l’introduzione anche in Italia del diritto alla disconnessione di tutti i lavoratori, stabili e precari, subordinati e autonomi, in smart working come in presenza.
Alla base dell’iniziativa c’è il riconoscimento della libertà per i lavoratori di ignorare le comunicazioni fuori orario senza subire ritorsioni o sanzioni.
In particolare la proposta dispone:
- un intervallo di riposo di minimo dodici ore consecutive, dopo la fine della giornata di lavoro;
- la facoltà di irreperibilità e di non rispondere, nel caso si ricevessero telefonate o email in queste ore (tranne le ipotesi di comprovata urgenza);
- la possibilità di emettere sanzioni amministrative pecuniarie per chi non rispetta il diritto alla disconnessione.
Vero è che può sempre succedere di dover riaccendere il pc per un’emergenza, specialmente nelle aziende più grandi e attive. Ma attenzione perché, in tali circostanze, la proposta di legge indica che il datore di lavoro sarebbe obbligato a specificare che si tratta di una situazione eccezionale, da pagare in busta paga come straordinario. In caso contrario, per un minimo di dodici ore dalla fine del turno, il lavoratore – di qualsiasi tipologia o categoria – non dovrà essere disturbato.
La situazione attuale in Italia
La citata proposta di legge indica una nuova via che estende la tutela dei lavoratori. Sul piano normativo, infatti, è stato fatto finora qualcosa, ma non abbastanza: anzitutto la legge n. 81 del 2017 ha rappresentato un primo approdo sul tema del diritto alla disconnessione a cui è poi seguita la legge n. 61 del 2021. Si tratta però di testi focalizzati sui lavoratori in smart working.
Perché serve un diritto alla disconnessione effettivamente applicato? L’iniziativa in oggetto intende andare oltre gli accordi aziendali, che non tutte le aziende posseggono. Oltre i confini non soltanto del lavoro da remoto ma anche del lavoro subordinato in senso ampio, dato che ci sono partite Iva e lavoratori autonomi che svolgono consulenze con orari di lavoro ben precisi. Servono limiti alla reperibilità fissati dalla legge, per evitare che la disconnessione fuori orario diventi sempre più fonte del cosiddetto tecnostress o, peggio, di burnout.
Ecco perché ha senso un nuovo testo normativo, in grado di estendere il diritto di staccare a tutte le categorie di lavoratori. Al momento, infatti, è a discrezione delle aziende e datori di lavoro, che variabilmente concedono tutele speciali ai propri lavoratori per ciò che attiene al diritto alla disconnessione.
Ben si comprende allora perché l’associazione giovanile l’asSociata ha proposto che le aziende con più di 15 dipendenti diano – a loro spese – gli strumenti digitali ai propri dipendenti. Frequentemente, infatti, smartphone, cellulari e tablet personali sono gli stessi utilizzati per motivi di lavoro, facendo accrescere il rischio di ricevere comunicazioni fuori orario, violando il diritto alla disconnessione.
Non dimentichiamo, inoltre, che la proposta in oggetto non è pensata per regolamentare meramente il rapporto datore di lavoro-dipendente: mira infatti anche a vietare ‘intrusioni’ tra colleghi che usano strumenti come Whatsapp ed e-mail, oltre che ad estendersi alla generalità dei lavoratori.
Il ricatto della connessione fuori orario
I giovani sono coloro che più di altri sostengono il progetto di un cambio di rotta nelle dinamiche del mondo del lavoro. Se la fine della pandemia ha determinato un ridimensionamento dello smart working, che pur è oggi maggiormente diffuso rispetto ad una decina di anni fa, il concetto di work life balance – con una divisione precisa e sacrosanta tra carriera e vita privata – permane nelle aspettative delle nuove generazioni.
C’è però il rovescio della medaglia. Non pochi lavoratori si mostrano disponibili a tutte le ore di tutti i giorni della settimana perché hanno paura di perdere il lavoro, e di dover affidarsi alla Naspi in attesa di trovarne un altro. Non dimentichiamo poi i lavoratori con figli piccoli o contratti precari, coloro che alimentano il sommerso e coloro che aspettano un aumento (e magari non sanno come chiederlo) o sperano in un contratto a tempo indeterminato, per essere più fiduciosi e avere un po’ più di potere d’acquisto. Il diritto alla disconnessione, però, dovrebbe valere a priori, per evitare danni alla salute mentale e fisica, il rischio di burnout e un ambiente lavorativo iper-competitivo e tossico.
Vero è però che le odierne tecnologie consentono a tutti di essere costantemente connessi, mentre il lavoro da casa crea maggiore commistione con la vita privata e la precarietà dei contratti costringe i lavoratori in una posizione spesso troppo debole per opporsi alle richieste aziendali. La nuova proposta di legge mira a introdurre una tutela in più, anche se – in concreto – non sarà comunque facile applicare il diritto alla disconnessione, mantenendo l’eccezione dei casi urgenti e senza lasciare al lavoratore l’onere di esporsi.
Oggigiorno, lavoratrici e lavoratori si sentono spesso messi alla prova e in competizione con colleghe e colleghi. Consentire deroghe al diritto alla disconnessione è per molti una sorta di costrizione da rispettare, se si vuole sperare di tenere il posto pur nella consapevolezza che – a forza di eccedere in stanchezza e frustrazione – il rischio concreto è quello di compromettere proprio il rendimento sul lavoro. Ecco perché in Italia serve riconoscere appieno e quanto prima il diritto alla disconnessione, con un testo di legge che lo regolamenti dall’alto e indipendentemente dalla presenza di accordi aziendali.
La situazione al di fuori dall’Italia: approfondimenti e rinvio
Gli italiani lavorano molto e di più di tanti altri lavoratori del continente. Secondo recenti dati Eurostat riferiti al 2023, infatti è ‘stakanovista’ il 10% degli abitanti del nostro paese, restando in ufficio 49 ore a settimana quasi un lavoratore su dieci tra i 20 e i 64 anni, ossia l’equivalente di un giorno in più rispetto all’orario settimanale standard. La percentuale è maggiore della media dell’Unione Europea (7,1%).
All’estero, a differenza dell’Italia, il tempo libero è davvero libero, grazie a leggi che obbligano alla disconnessione. Basti pensare al caso della Francia, che è stata pioniera da questo punto di vista introducendo il Codice del Lavoro nel 2016.
Di diritto alla disconnessione si discute da tempo anche fuori dai confini nazionali, ma la legislazione degli Stati membri UE su questo tema riflette marcate differenze. In base al recente rapporto dell’Eurofound Right to disconnect: implementation and impact at company level, al momento a disporre di una legislazione in tal senso sono soltanto nove paesi, ossia Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Slovacchia e Spagna.
Concludendo, per ulteriori dettagli sulla situazione globale in materia di diritto alla disconnessione, rinviamo al nostro recente articolo che offre una panoramica anche in riferimento a paesi extraeuropei, come l’Australia.