Da oggi chi dirà queste cose al lavoro potrà essere licenziato

Una sentenza della Cassazione interviene sul caso delle allusioni sessuali sul posto di lavoro di un dipendente toscano. Ecco quando il licenziamento è legittimo

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che promette una piccola, ma importante rivoluzione per quanto riguarda i licenziamenti legittimi. E lo hanno fatto respingendo il ricorso di un lavoratore di un’azienda toscana, licenziato per allusioni sessuali.

I giudici di piazza Cavour hanno infatti stabilito che chi si rende protagonista di inappropriate allusioni sessuali sul posto del lavoro può essere licenziato. Anche nel caso in cui le suddette allusioni sono state avanzate “senza volontà di offendere e in un clima di goliardia”.

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Il caso delle allusioni sessuali finito in Cassazione

Il caso esaminato dalla Cassazione riguardava il ricorso di un lavoratore toscano contro la decisione della Corte d’Appello di Firenze. Quest’ultima aveva confermato il pronunciamento del Tribunale di Arezzo, che aveva dichiarato legittimo il suo licenziamento per “aver tenuto comportamenti consistenti in molestie sessuali ai danni di una giovane collega neoassunta con contratto a termine e assegnata a mansioni di addetta al banco del bar”.

L’uomo era stato denunciato dalla donna alla direzione aziendale in due diverse occasioni, riportando allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale. Il comportamento è stato definito dai giudici “indesiderato e oggettivamente idoneo a ledere e violare la dignità della collega”. Per questo motivo rappresenta giusta causa del licenziamento, “a nulla rilevando che fosse assente la volontà offensiva e che in generale il clima dei rapporti tra tutti i colleghi fosse spesso scherzoso e goliardico“.

Nel ricorso il lavoratore aveva provato a sostenere l’inattendibilità della collega, dato che il Gip aveva archiviato una sua denuncia per stalking e violenze sessuali. La Corte ha però affermato che “il reato di stalking era estraneo ai fatti di causa e alle ragioni del licenziamento”. I giudici hanno quindi evidenziato come “il carattere comunque indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, risulti integrativo del concetto e della nozione di molestia” (rinuncia agevolata al ricorso in Cassazione: come e quando).

In quali casi si rischia il licenziamento

Oltre alla pronuncia della Cassazione, la materia in oggetto era già al centro del Testo unico sulle Pari opportunità del 2006. Qui si specifica che per molestia sessuale sul posto di lavoro non si indicano soltanto le aggressioni fisiche, ma tutti i “comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo“.

Dichiarando inammissibile il ricorso, i supremi giudici inseriscono di fatto tra le cause di legittimo licenziamento tutti i “comportamenti indesiderati” sopra specificati, incluse le allusioni a sfondo sessuale, che ledono la dignità della vittima e turbano il clima dell’ambiente di lavoro. Le molestie a sfondo sessuale sul luogo di lavoro sono disciplinate anche dalla Direttiva europea 2002/73/CE, che parla di “discriminazioni fondate sul sesso”. Anche questo testo stabilisce che può essere licenziato chiunque leda dignità, reputazione e sicurezza dei colleghi.

Il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro e a tutelare i suoi dipendenti. E, dato che le allusioni sessuali rientrano nel novero delle molestie, il licenziamento di chi si rende responsabile di simili azioni è legittimo.