Case Green, gli effetti sui cittadini: la direttiva costerà fino a 55mila euro a famiglia

Ogni Paese dovrà decidere come assicurare la riqualificazione delle abitazioni meno efficienti. In Italia fari puntati su 5 milioni di edifici

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

La direttiva europea Case Green (nota anche come Energy Performance of Buildings Directive, EPBD) è pronta per entrare in vigore. Durante la sessione plenaria del Parlamento prevista dall’11 al 14 marzo, sarà approvato il testo che, dopo un’ultima revisione in Consiglio, sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. L’approvazione di questo provvedimento è avvenuta dopo lunghe trattative e segue il lavoro svolto un anno fa dal Parlamento europeo nel definire la sua posizione negoziale, successivamente discussa nel trilogo delle istituzioni comunitarie.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 9, l’Italia è tenuta a ridurre il consumo medio di energia del suo patrimonio residenziale a partire dal 2020, anno in cui inizia il conteggio, fino al 2050, quando si mira a raggiungere emissioni zero nel settore abitativo. Entro il 2030, l’Italia dovrà ridurre il consumo energetico medio del 16%, mentre entro il 2035 il target sarà del 20-22%. Per rispettare questi obiettivi, il Governo italiano dovrà elaborare una curva progressiva di riduzione dei consumi energetici.

Le regole stabilite dalla direttiva

Senza l’imposizione di una classe energetica minima da rispettare, diventa difficile anticipare quali immobili subiranno maggiormente l’impatto delle disposizioni. Tuttavia, una più attenta analisi del testo fornisce alcuni indizi significativi. Un passaggio cruciale della direttiva spiega che il miglioramento generale dell’efficienza energetica degli edifici residenziali non può essere ottenuto solo attraverso le prestazioni degli edifici nuovi, i quali tendono naturalmente ad aumentare la media. Infatti, i Paesi membri dovranno garantire che almeno il 55% della riduzione del consumo di energia primaria sia conseguito tramite il rinnovamento degli edifici più energivori. Questi edifici, secondo le definizioni della EPBD, rappresentano il 43% degli immobili meno efficienti e dovranno essere oggetto di riqualificazione.

In Italia, secondo i dati Istat, vi sono circa 12 milioni di edifici residenziali. Pertanto, sarà prioritario intervenire sui circa 5 milioni di edifici con le prestazioni più scadenti, ognuno dei quali composto da una o più unità immobiliari.

Una sfida pratica deriva dal fatto che attualmente solo una piccola percentuale di abitazioni possiede una certificazione energetica, poiché la legge ne richiede l’elaborazione solo in determinati casi (come la vendita, la nuova locazione, la ristrutturazione integrale, la nuova costruzione, ecc.) e stabilisce che essa scada dopo dieci anni.

Quanti sono gli edifici da ristrutturare in Italia

Il database dell’Enea contiene oltre 5 milioni di Attestati di Prestazione Energetica (APE) relativi a altrettante unità immobiliari. Il 51,8% di queste ricade nelle due classi energetiche peggiori, ovvero F e G. È probabile che i lavori di riqualificazione imposti dalla EPBD debbano partire da qui, ma il rischio di un livellamento verso il basso potrebbe essere così diffuso da rendere difficile l’individuazione dei fabbricati meno performanti. Se consideriamo solo le certificazioni rilasciate nel 2022 in occasione del trasferimento di un immobile, vediamo che addirittura il 63,6% delle case si colloca nelle classi F e G. Questa percentuale scende appena al 58,1% in occasione delle nuove locazioni.

Alcune di queste esclusioni riguardano milioni di immobili. Ad esempio, secondo l’Istat, 3,1 milioni di edifici residenziali sono stati costruiti prima del 1945, di cui addirittura 1,8 milioni prima del 1918. Secondo i dati dell’Enea, gli edifici costruiti prima del 1945 sono quelli che nel 2022 hanno ottenuto i punteggi peggiori, con il 67% classificato nelle classi F e G.

Sarà cruciale comprendere come l’Italia adotterà le nuove regole e quali risorse saranno disponibili insieme ai meccanismi di agevolazione (si veda l’articolo adiacente). Per quanto riguarda gli interventi consigliati all’interno degli APE, la coibentazione di tetti e pareti è di gran lunga la più diffusa (65,1%), seguita dalla sostituzione delle finestre (14,5%) e dagli interventi sugli impianti di riscaldamento (11,8%).

I costi shock delle famiglie

Il team di Scenari Immobiliari ha cercato di quantificare l’investimento necessario partendo dalla stima dello stock. “Applicando costi unitari di riqualificazione energetica, differenziati per tipologia immobiliare, caratteristiche fisiche e desiderio di avanzamento di classe, stimiamo un investimento complessivo compreso tra 1.100 e 1.750 miliardi di euro per l’intero patrimonio nell’attuale classificazione”.

Per quanto riguarda l’impatto finanziario sulle famiglie per raggiungere gli obiettivi entro il 2033, dipenderà naturalmente dalle caratteristiche degli immobili e si stima tra i 20.000 e i 55.000 euro circa. “Non stiamo considerando la possibilità di raggiungere la neutralità energetica (NZEB), ovvero un consumo energetico tendente a zero, ma semplicemente rispondere alle indicazioni dell’Europa”, concludono.

Il miglioramento di almeno due classi energetiche comporta interventi esterni come la coibentazione dell’edificio e la sostituzione della caldaia, con la possibilità di installare pannelli fotovoltaici. All’interno delle abitazioni, per quelle in classi energetiche inferiori, sono necessari interventi come la sostituzione di infissi e finestre e la potenziale sostituzione degli impianti a gas con soluzioni meno inquinanti. È da notare che presto solo queste ultime potrebbero accedere agli incentivi disponibili.

E arrivano le prime proposte di incentivi per le ristrutturazioni

L’arrivo della direttiva spinge il Parlamento ad agire, con la presentazione di proposte di riforma dei bonus edilizi. Questo perché l’Europa richiede agli Stati membri di fornire misure finanziarie adeguate e di progettare piani di finanziamento integrati, che includano incentivi per ristrutturazioni profonde e graduali.

Inoltre, la direttiva fornisce indicazioni specifiche, come il divieto di incentivare l’installazione di caldaie alimentate da combustibili fossili a partire dal 2025. Si mette inoltre una forte enfasi sui sistemi elettrici, come le pompe di calore, e si sostiene l’adozione di sistemi ibridi, che combinano caldaie e pompe di calore. Si darà priorità agli aiuti destinati alle famiglie più bisognose e alla ristrutturazione profonda degli edifici, che coinvolge una percentuale superiore al 25% dell’involucro dell’edificio.

Tra le proposte di legge presentate alla Camera vi è una della Lega che prevede una detrazione base del 60% per interventi di efficientamento energetico e messa in sicurezza antisismica, incrementata fino al 100% in presenza di diverse condizioni meritevoli di tutela: abitazione principale, proprietario con ISEE fino a 15.000 euro, edifici con classe energetica G e obbligo di raggiungere la classe E entro il 2035. Nelle stesse circostanze si prevede la possibilità di cessione del credito o sconto in fattura. Un’altra proposta di legge di Forza Italia prevede incentivi crescenti fino al 90% in base ai livelli di efficientamento, con cessione del credito e sconto in fattura ammessi per i forfettari e i contribuenti con reddito fino a 50.000 euro.

Il problema comune a tutte queste proposte, presentate tra l’autunno 2022 e l’estate 2023, è che dovranno confrontarsi con le risorse pubbliche disponibili per il 2025. Ciò è particolarmente importante alla luce del costo lasciato in eredità dal superbonus, che alla fine di gennaio 2024 ha maturato detrazioni per un totale di 107,3 miliardi di euro.