Russia sconfitta e spartita: cosa vuole l’Ucraina dopo la guerra

Una torta di compleanno, la nascita di nuovi Stati e la spartizione di territori: sono questi gli ingredienti del piano ucraino per la guerra contro la Russia. Mosca crollerà? E cosa succederà dopo?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Il 4 gennaio 2023 Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina (Hur), ha festeggiato il suo 37esimo compleanno con una torta a dir poco speciale: sulla glassa superficiale campeggiava l’immagine di una Russia divisa, spartita tra i Paesi limitrofi. E il funzionario ucraino si è fatto fotografare mentre taglia il dolce con una baionetta. Una scenetta e un atteggiamento d’altri tempi, quando le vignette novecentesche raffiguravano le grandi nazioni durante le guerre mondiali. Una scenetta che però rivela una pulsione profonda dell’Ucraina sul futuro della Russia dopo il conflitto in corso.

L’idea di una spartizione del territorio russo tra i vari Paesi è un’idea vecchia di secoli e un piano concreto di almeno vent’anni. Alla fine dell’era Yeltsin, il predecessore di Vladimir Putin, circolavano varie ipotesi e previsioni di smembramento della Federazione Russa e nel 2015, col conflitto in Donbass già in essere, un rapporto della CIA prevedeva addirittura un Big Bang russo dalla cui disintegrazione sarebbero nati diversi Stati. Dunque cosa vuole Kiev? Non solo sconfiggere la Russia, ma anche partecipare alla spartizione post-bellica della nazione più vasta del pianeta?

Il piano ucraino (e occidentale) sulla Russia dopo la guerra

Che vinca o che perda sul campo, la Russia di Putin è destinata a sparire (lo avevamo spiegato anche qui). A Kiev ne sono più che convinti, con Budanov in prima linea nell’opposizione a quello che è considerato “l’ultimo impero coloniale” ancora esistente sulla Terra. Come ha notato Mauro De Bonis su Limes, si ripresenta un po’ lo stesso copione che seguì il crollo dell’Unione Sovietica. La vera sfida sarà gestire questa polverizzazione, questa decolonizzazione che poterà alla nascita di nuovi Stati o al rafforzamento di quelli esistenti, soprattutto in Asia Centrale, con inevitabile complicazione degli equilibri geopolitici esistenti. Citofonare alla Cina per informazioni in merito.

Il piano ucraino di una vera e propria “spartizione” dei territori che la Russia perderà dopo la pace non sembra tuttavia percorribile. Sicuramente dovrà inserirsi nell’alveo della cura degli interessi occidentali nell’area, con gli Stati Uniti che sembrano sempre più convinti di salvare la Russia moscovita e integrarla nel sistema europeo. Uno scenario teorizzato in più occasioni dal Premio Nobel Henry Kissinger (come avevamo spiegato qui), che però dovrà necessariamente passare da un’autentica riforma federalista del Paese, per evitare lotte intestine e l’ascesa di nuovi leader attraverso la decentralizzazione del potere.

Dopo la rivolta filo-europea di Maidan, nel 2014, sui siti ucraini era rimbalzata la mappa di una futura divisione della Russia con territori “che torneranno o diventeranno indipendenti e altri parte di Stati vicini”. La Siberia, ad esempio, andrà alla Cina. Otto anni di guerra in Donbass sono poi culminati con l’invasione russa del 24 febbraio 2022, e le ipotesi di frammentazione russa sono confluite nel disegno di Budanov. Con una condizione primaria: la divisione del territorio nemico in più parti potrà essere evitata se la leadership attuale (Putin) lascerà il potere e darà garanzie in merito sul futuro.

L’altro scenario è ben più drastico e inaccettabile per Mosca: la Federazione dovrà restituire i territori occupati in Ucraina e rinunciare al controllo di altri Stati ex URSS, come Georgia, Moldavia e Azerbaigian. Dovrà inoltre restituire le isole Curili al Giappone e rinunciare all’exclave di Kaliningrad (importantissima dal punto di vista strategico, come avevamo spiegato qui) che tornerà tedesca. La Repubblica di Carelia andrà invece alla Finlandia, mentre la Cina potrà ottenere anche l’Estremo Oriente russo oltre alla Siberia. La Repubblica del Nord Caucaso tornerà indipendente col nome di Ičkerija, già scelto dai secessionisti ceceni dopo la prima guerra (vinta) contro Mosca.

La spartizione della Russia

In tutto sono otto i distretti in cui viene divisa la Federazione Russa, che comprendono 82 entità (divise tra Regioni, Repubbliche, Territori e Circoscrizioni autonome) più le tre città federali di Mosca, San Pietroburgo e Sebastopoli. I distretti Centrale e Nord-Occidentale rappresentano il nucleo di quella Russia che l’Occidente vuole “europea”, mentre le mire ucraine si concentrano sul distretto Meridionale. Ci sono poi anche i distretti del Caucaso del Nord, del Volga, degli Urali, della Siberia e quello estesissimo dell’Estremo Oriente russo. Tutta questa enorme galassia federale rischia quindi di andare in pezzi, secondo uno schema preciso dettato, tra gli altri, da un documento desecretato pubblicato poi come analisi geopolitica, dal titolo: “Come può cambiare la mappa politica del mondo dopo la sconfitta della Federazione Russa. Previsioni e ipotesi della Hur”. La stessa che è poi finita sulla torta di Budanov.

In base al piano ucraino, come accennato, la Cina otterrà un territorio immenso: l’intero distretto federale dell’Estremo Oriente e una porzione del distretto Siberiano. La restante parte siberiana verrà accorpata ai distretti degli Urali, parte di quello Nord-Occidentale e parte di quello del Volga per formare una nuova e gigantesca Repubblica dell’Asia Centrale. Con la galassia degli stati che finiscono in -stan alla finestra per raccogliere la loro parte. La Finlandia otterrà, oltre alla Repubblica di Carelia, anche la regione di Murmansk. La Russia sarà ridotta al suo distretto Centrale e a quel che resta dei distretti del Volga e Nord-Occidentale. L’Ucraina, ovviamente, avrà indietro gli oblast di Crimea, Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, attualmente occupati dai russi.

Ma Kiev potrebbe spingersi anche oltre la rivendicazione dei territori che erano suoi prima dello scoppio della guerra. Non è infatti molto chiaro il destino di territori russi di confine, i cui contorni appaiono letteralmente sfocati in diverse versioni delle mappe circolate sui siti ucraini. Parliamo delle regioni di Brjansk, Kursk, Orel, Belgorod, Voronež e Rostov, del territorio di Krasnodar e della Repubblica di Adighezia. Budanov ha dato la colpa al tratto troppo ampio del pennarello, ma è chiaro che c’è ben altro dietro la previsione grafica.

I tre fattori che porteranno al crollo della Russia

Che la Russia sia destinata al collasso, insomma, è opinione imperante sia in Occidente sia in Ucraina. Nel Paese invaso viene citata in particolare la teoria del generale americano Ben Hodges, ex comandante dell’esercito Usa in Europa, secondo il quale esistono tre fattori che potrebbero portare al crollo della Federazione. Intervistato dal The Telegraph, l’ufficiale statunitense sottolinea innanzitutto che il crollo russo possa essere inizialmente graduale, per poi mutarsi in “evento rapido, violento e incontrollabile”. Un autentico tsunami geopolitico la cui portata spaventa gli analisti.

  • Il primo fattore che porterà Mosca alla caduta è l’ormai compromessa fiducia interna all’esercito russo, da sempre la base della legittimità del Cremlino. I soldati si sentono “umiliati” in Ucraina, i cittadini tra 18 e 50 anni in Russia evitano la mobilitazione (qui avevamo parlato della “guerra sporca” di Putin) e le minoranze etniche subiscono un reclutamento coatto.
  • Il secondo fattore riguarda il danno arrecato all’economia russa dalle sanzioni occidentali e dalla perdita di contratti di fornitura energetica verso i Paesi europei; un meccanismo che Hodges ha definito “irreversibile”.
  • Il terzo fattore si riferisce alla “sottopopolazione” della Russia, che come ogni impero ha sempre fatto della demografia un elemento fondante della propria potenza. Hodges scrive che, nonostante sia 70 volte più grande della Gran Bretagna, la sua popolazione è solo il doppio. E “ora che la madrepatria è in una posizione debole, qualsiasi senso di identità nazionale può rapidamente deteriorarsi”.

L’ipotesi di un crollo della Federazione Russa solleva grossi interrogativi sulla sicurezza globale, visto che, come ribadito più volte dal Cremlino, Mosca reagirà alle minacce dirette alla propria sovranità nazionale ricorrendo alle armi nucleari. Ammesso che non si arrivi a un’escalation atomica, dopo il collasso chi otterrà le armi nucleari russe? Una questione sollevata anche dal ministro della Difesa ucraino Oleksij Reznikov, secondo il quale nei prossimi anni la Russia perderà in ogni caso parti costituenti del suo attuale impero e sarà completamente demilitarizzata nella sua parte europea. A garantire la democrazia e l’integrità di nuovi Stati che nasceranno, come il Bashkortostan e il Tatarstan, ci penserà la fervente coalizione anti-russa che è emersa con forza durante questo conflitto, secondo Reznikov.

Una nuova era di guerra ad alta tecnologia

Intanto la fine del conflitto sembra ancora molto lontana. I russi non mollano la presa sulla Crimea, il territorio “meglio difeso” della Federazione secondo il Cremlino, e sul Donbass, dove si continua a combattere ferocemente. Dall’altro lato della barricata Kiev continua in una controffensiva che promette grandi imprese e che può contare sul rinnovato supporto occidentale, come l’annuncio statunitense della fornitura delle temibili bombe a grappolo (la morte da alberi e finestre: il “lato oscuro” della guerra in Ucraina). Quella che si sta svolgendo è intanto diventata un nuovo tipo di guerra “ad alta intensità”, che combina “tecnologia all’avanguardia con uccisioni su larga scala e consumo di munizioni”.

Secondo il The Economist, l’invasione russa in Ucraina ha causato la più grande guerra in Europa dal 1945, e ha trasformato anche il modo in cui il mondo si prepara al conflitto, con conseguenze epocali per la sicurezza globale. Il conflitto tra Mosca e Kiev “ha infranto ogni illusione sul fatto che un conflitto moderno possa limitarsi a campagne di contro-insurrezione o evolversi verso lotte a basso numero di vittime nel cyberspazio“. Secondo il settimanale britannico, questa guerra contiene tre lezioni da cui trarre insegnamento.

La prima è che il campo di battaglia sta diventando sempre più leggibile grazie ai satelliti e all’uso di droni. La seconda lezione riguarda il fatto che, nonostante il tempo in cui viviamo possa essere definito “l’era dell’intelligenza artificiale”, la guerra “può ancora coinvolgere un’immensa massa fisica di centinaia di migliaia di esseri umani e milioni di macchine e munizioni”. Il consumo di munizioni e attrezzature nel conflitto russo-ucraino appare infatti sbalorditivo: la Russia ha sparato oltre 10 milioni di proiettili in un anno, mentre l’Ucraina perde 10mila droni al mese. La terza lezione, che valeva anche per gran parte del XX secolo, è che il confine di una grande guerra è ampio e indistinto.