La Russia ritira i soldati dall’Armenia, l’annuncio di Putin dopo le vittorie dell’Azerbaijan

Putin annuncia il ritiro delle truppe russe dall'Armenia dopo la sconfitta del Paese nella guerra per il Nagorno Karabakh

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

L’esercito della Russia si ritirerà dal confine tra Armenia e Azerbaijan. Lo ha annunciato lo stesso governo di Mosca, nel giorno della presentazione del primo ministro al parlamento, la Duma. Il contingente russo era stato mandato per fare interposizione tra i due Paesi nel 2020 per evitare ulteriori tensioni sulla regione contesa del Nagorno Karabakh. A inizio 2024 però l’Azerbaijan è riuscita a conquistare l’area.

È stata l’Armenia ad allontanarsi progressivamente dalla Russia, dopo l’attacco subito da parte dell’Azerbaijan. Il presidente dell’ex repubblica sovietica riterrebbe, stando alle dichiarazioni dello stesso ministro degli esteri russo, non più necessaria la presenza dei soldati di Mosca all’interno del suo territorio. Il Paese si sta progressivamente avvicinando all’Unione europea e all’occidente, mentre in Georgia continuano le manifestazioni contro il governo filorusso.

La Russia ritira i suoi soldati dal confine tra Armenia e Azerbaijan

Il 10 maggio il governo russo ha annunciato il ritiro del proprio contingente dal confine tra Armenia e Azerbaijan e dall’aeroporto armeno di Yerevan, dove era stanziato dal 2020. Il suo invio era stato richiesto quattro anni fa dallo stesso governo armeno nell’ottica di disincentivare un attacco dell’Azerbaijan, in particolare verso la regione separatista del Nagorno Karabakh, un’area a maggioranza etnica armena situata però interamente all’interno dei confini azeri.

A settembre del 2023 però l’Azerbaijan aveva comunque attaccato il Nagorno Karabakh, senza che il contingente russo potesse fare nulla per contrastare l’avanzata dell’esercito azero. La regione è caduta rapidamente in mano alle forze di invasione e l’Armenia è stata costretta di fatto ad una resa, anche se i colloqui di pace sono ancora in corso per stabilire il destino dell’area e delle popolazioni armene che ne compongono la maggior parte della popolazione.

Questo evento ha però allontanato sensibilmente l’Armenia dall’orbita russa. Il governo dell’ex repubblica sovietica ha criticato Mosca per la sua inattività sul fronte con l’Azerbaijan, fino ad affermare che non fosse più necessaria la presenza di soldati russi sul suo territorio. Difficilmente la Russia avrebbe comunque potuto intervenire dato che buona parte delle sue risorse belliche sono impegnate al momento in Ucraina.

Le truppe russe erano rimaste nella regione per garantire il passaggio delle popolazioni in fuga dal Nagorno Karabakh in Armenia attraverso un varco in territorio azero.Il ritiro non sarà immediato e dovrebbe avvenire in maniera graduale per permettere all’esercito armeno di prendere il controllo delle posizioni occupate dai russi. Il confine con l’Azerbaijan e l’aeroporto della capitale Yerevan dovrebbero essere abbandonati entro agosto di quest’anno quando il ritiro sarà completato.

La guerra in Nagorno Karabakh e l’esodo delle popolazioni armene

La situazione del Nagorno Karabakh è molto complessa. Si tratta di un’area la cui popolazione è principalmente di etnia armena e di religione cristiana ma interamente inglobata all’interno del territorio dell’Azerbaijan, anche se a pochi chilometri dal confine con l’Armenia. La sua particolare posizione e composizione etnica furono causa di problemi fin dall’indipendenza delle repubbliche caucasiche dall’Unione sovietica. La prima guerra del Nagorno Karabakh si concluse nel 1994.

Nonostante il cessate il fuoco imposto anche grazie all’intervento russo sotto mandato dell’Onu, non viene trovata una soluzione politica per la regione che rimane di fatto indipendente dall’Azerbaijan. I negoziati proseguono senza ottenere risultati e con una crescente tensione che sfocia nel 2016 nella cosiddetta Guerra dei 4 giorni. Tra il 2 e il 5 aprile una rapida offensiva azera con l’appoggio verbale della Turchia. È la Russia a fermare anche questa avanzata, imponendo un altro cessate il fuoco.

A settembre del 2020 però un’altra offensiva azera ottiene la conquista di buona parte del territorio a sud del Nagorno Karabakh, ai tempi reclamato dalla repubblica indipendente autoproclamata di Artsakh, alleata dell’Armenia. Tre anni dopo, a settembre del 2023, un altro attacco azero che durerà una sola giornata causerà lo scioglimento della repubblica autoproclamata riportando di fatto l’intera regione sotto il controllo azero.

In seguito agli accordi per la fine delle ostilità, si è verificata una migrazione di massa da parte della popolazione armena della regione. Circa 100mila persone di etnia armena sono fuggite dal Nagorno Karabakh tra gli allarmi della comunità internazionale per la possibilità di una pulizia etnica della regione. Questo è avvenuto nonostante le autorità azere avessero assicurato la volontà di integrare le popolazioni armene all’interno del Paese.

L’Armenia verso l’occidente: tensioni anche in Georgia contro il governo filorusso

La scelta dell’Armenia di allontanarsi dalla Russia chiedendo il ritiro delle sue truppe dal confine con l’Azerbaijan può essere considerata come il risultato della sconfitta nella guerra ormai decennale per il Nagorno Karabakh. L’ex repubblica sovietica ha fatto capire a Mosca di non essere più interessata nel suo aiuto militare anche a causa del fallimento di Putin nel mantenere la regione nell’orbita azera.

Di conseguenza, l’Armenia sta ora tentando di avvicinarsi all’occidente, per trovare una nuova alleanza internazionale nella quale inserirsi. Una mossa che potrebbe anche aiutare a smorzare il conflitto con l’Azerbaijan, che è sostenuto dalla Turchia e che ha rapporti commerciali con l’Europa grazie alle esportazioni di gas naturale e petrolio, principali risorse del Paese. La regione del Caucaso in generale sembra volersi allontanare dalla Russia, come confermano le proteste in corso in Georgia.

Per la seconda volta in meno di un anno, il governo georgiano sta cercando di far passare una legge sugli “agenti stranieri” molto simile a quella che ha bandito moltissime associazioni occidentali dalla Russia. La popolazione ritiene che questo sia un significativo passo verso la sfera di influenza di Mosca. Il Paese ha subito due invasioni russe in tempi recenti, in Abcasia e Ossezia del nord, regioni ora di fatto sotto occupazione militare. Nonostante questo l’ex repubblica sovietica punta molto sul suo avvicinamento all’Unione europea, vista come un modo per uscire dall’influenza russa e dal rischio di un controllo più stretto di Putin sul Paese.

Il tentativo di far approvare la legge sugli agenti stranieri ha causato la reazione della popolazione che in diverse città del Paese, ma in particolare nella capitale Tbilisi, ha manifestato per le strade chiedendo un’altra volta che il presidente ritiri la legge. Durante le proteste, oltre alle bandiere georgiane, i manifestanti hanno sventolato molto spesso anche quelle dell’Unione europea e dell’Ucraina.