Ancora dopo un anno dall’infezione, 1 persona su 4 lamenta disturbi legati al Covid. Si tratta del cosiddetto Long Covid, che purtroppo interessa moltissimi ex positivi. In questi mesi si sono succeduti diversi studi internazionali a riguardo, che hanno cercato di indagare cause e conseguenze del Covid che non passa. Come se il virus in qualche modo si fosse “annidato” all’interno dell’organismo, pur essendo negativi e guariti da tempo.
I contagi Covid nel mondo hanno superato la soglia dei 400 milioni da inizio pandemia. A renderlo noto è la Johns Hopkins University, che aggiornando la sua mappa ha precisato che i casi ad oggi sono stati 400.810.109, i decessi 5.764.461. La soglia dei 300 milioni di casi era stata superata poco più di un mese fa: i positivi degli ultimi 28 giorni sono stati infatti 86.871.381.
Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono stati registrati 500mila decessi e 130 milioni di contagi Covid nel mondo da quando è stata scoperta la variante Omicron, alla fine di novembre. Un conteggio che il funzionario dell’Oms, Abdi Mahamud, ha definito “più che tragico”, e che ci dice che, per quanto stiamo forse volgendo davvero verso la fase endemica di convivenza pacifica con il virus, Omicron non può e non deve essere sottovalutata. Ed è fondamentale vaccinarsi.
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Long Covid, i sintomi
Sempre più di frequente, le alterazioni dell’olfatto rappresentano uno dei sintomi più comuni della sindrome da Long Covid (chi rischia il Long Covid: i fattori “spia”). Tra il 20% ed il 25% dei pazienti lamenta, infatti, questi disturbi anche dopo un anno dall’infezione da Sars-CoV-2. A dimostrarlo, ora, sono i risultati di uno studio italiano prospettico, il primo al mondo di questo genere.
Lo studio, coordinato da Arianna Di Stadio, professoressa associata di Otorinolaringoiatria all’Università di Catania, e pubblicata sulla rivista scientifica “Brain Sciences”, è stato condotto su 152 pazienti che riferivano disfunzione olfattiva da Covid-19. Criteri di inclusione sono stati l’alterazione olfattiva dopo infezione da Sars-CoV-2 persistenti per oltre 6 mesi dall’infezione, età maggiore di 18 anni e inferiore a 65 anni.
Lo studio ha rilevato proprio che l’alterazione dell’olfatto è una caratteristica comune della sindrome da Long Covid. Ma non solo questa. Sempre più spesso le persone che hanno contratto il Coronavirus anche settimane o mesi prima lamentano cefalea, disfunzioni cognitive, confusione mentale, spesso descritta come “brain fog”, nebbia cognitiva, che potrebbe influenzare l’olfatto, alterando il ricordo degli odori o attraverso un meccanismo condiviso di neuroinfiammazione.
Il coinvolgimento cognitivo nel Long Covid è evidente. “I pazienti che riferivano cefalea, confusione mentale, o entrambe – evidenziano i ricercatori – mostravano un rischio significativamente maggiore di soffrire di anosmia e/o iposmia se confrontati con la controparte senza sintomi neurologici. Nella nostra coorte di pazienti post-Covid con sintomi olfattivi persistenti oltre i 6 mesi, la cefalea e il coinvolgimento cognitivo erano associati con deficit olfattivi più severi, coerentemente con meccanismi neuroinfiammatori mediatori di una varietà di sintomi nei pazienti con sindrome Long Covid”.
Come evitare il Long Covid: il ruolo del vaccino
Ma una buonissima notizia c’è. La vaccinazione può ridurre il rischio di Long Covid: questo è quanto suggerisce una ricerca condotta dall’Office for National Statistics (ONS) britannico.
Lo studio, condotto su oltre 6mila adulti, ha rilevato che coloro che sono stati vaccinati due volte avevano una probabilità inferiore del 41% di auto-segnalazione dei sintomi Covid settimane dopo il primo tampone positivo. Complessivamente, il 9,5% del gruppo vaccinato con doppia vaccinazione ha riferito di aver sperimentato un Long Covid, definito come sintomi che durano più di 4 settimane, rispetto al 14,6% di un gruppo socio-demografico corrispondente che non era stato vaccinato.
David Strain, professore alla facoltà di Medicina dell’Università di Exeter e capo della British Medical Association sul Long Covid, ha affermato che i risultati dell’ONS hanno mostrato che bassi livelli di alcuni anticorpi erano più comuni in coloro che hanno sviluppato Long Covid rispetto ai pazienti che si sono rapidamente ripresi.
“Sappiamo che i vaccini innescano queste risposte immunitarie“, ha detto. “Se prendi il Covid con livelli più elevati di queste immunoglobuline, è meno probabile che diventi Long Covid. E’ rassicurante che la vaccinazione mitighi il rischio di Long Covid” ha spiegato.
Differenze etniche nei tassi di mortalità Covid
Un altro dato molto interessante rilevato dallo studio è che ha evidenziato differenze nei tassi di mortalità tra persone di diversa estrazione etnica, con un tasso di decesso più alto per il gruppo del Bangladesh (ben 5 volte maggiore del gruppo bianco britannico per gli uomini, e 4,5 maggiore per le donne), seguito dal gruppo Pakistan (3,1 per gli uomni, 2,6 per le donne) e neri africani (2,4 per gli uomini 1,7 per le donne).
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i diversi tassi sono anche collegati a dove vivevano le persone, allo svantaggio sociale, all’occupazione, alla salute generale e, anche, però, allo stato vaccinale. Ma i gruppi Bangladesh e Pakistan sono rimasti a rischio più elevato della media anche dopo l’adeguamento per questi fattori. Già ricerche precedenti avevano evidenziato un gene, più comune nelle popolazioni dell’Asia meridionale, che potrebbe esporre questo gruppo a un rischio maggiore di Covid.
“L’analisi mostra che da quando è iniziato il programma di vaccinazione, il rischio di morte per Covid ha continuato a essere più elevato nella maggior parte dei gruppi di minoranze etniche rispetto al gruppo bianco britannico. Per la prima volta, dimostriamo che la minore copertura vaccinale in alcuni gruppi etnici contribuisce anche all’elevato rischio di morte per Covid, in particolare nei gruppi dell’Africa nera e dei Caraibi neri” ha aggiunto Vahé Nafilyan, dell’ONS.
Attenzione ai bambini
Lo studio mostra anche che, mentre i livelli di infezione stanno diminuendo nella maggior parte dei gruppi di età, stanno aumentando nei bambini in età scolare.
Da qui la raccomandazione a vaccinare il prima possibile anche i bambini, perché il rischio di malattia Covid severa o grave non è per nulla da sottovalutare. In arrivo c’è anche il vaccino per la fascia 6 mesi-5 anni.
Per quanto i dati dicano che, nella stragrande maggioranza dei casi, i bambini prendono il Covid in modo relativamente leggero, sono in preoccupante aumento forme di infezione potenzialmente pericolose, come la sindrome multisistemica infiammatoria Mis-C, e il Long Covid, con manifestazioni di spossatezza, dolori articoli persistenti e anche eruzioni cutanee talvolta.