Cos’è il “Jet Tempest” e quanto spende l’Italia per le armi in Europa

In un periodo in cui è tornato di stretta attualità il dibattito sulla Difesa comune europea, l'Italia presenta un progetto cardine per il futuro militare

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Mai come in questo periodo storico è tornato di stretta attualità il tema della spesa militare che ogni Stato deve sostenere per finanziare il proprio comparto bellico. La questione si fa particolarmente rilevante per i Paesi che – come l’Italia – fanno parte di un sistema istituzionale sovranazionale (nel nostro caso l’Unione europea) e aderiscono a organizzazioni per la collaborazione in specifici ambiti. Il riferimento è alla Nato, nata nel 1949 proprio per la cooperazione nel settore della difesa.

Il conflitto che da quasi cinque mesi vede l’Ucraina difendersi dall’invasione della Russia sta avendo ripercussioni che coinvolgono tutti i cittadini del pianeta. I capi di Stato e di governo di tutto il mondo sono tornati a discutere del supporto armato necessario per rispondere alla richiesta di aiuto di Volodymyr Zelensky: in particolare, gli Stati Uniti del presidente Joe Biden continuano a rifornire Kiev in maniera sempre più importante e lo stesso sforzo viene richiesto ai partner europei, che però hanno mostrato diverse divisioni su questo punto, avanzando parecchi dubbi in svariate occasioni di confronto.

Il progetto della “Difesa europea” e la questione della spesa militare

Nel Vecchio Continente la discussione ha ripreso nuova linfa in merito alla necessità della creazione di una Difesa europea, progetto più volte ipotizzato dal Dopoguerra ad oggi ma poi sempre abortito per la mancanza di unità d’intenti. Lo scoppio delle ostilità in Ucraina ha portato i Paesi dell’Ue ad annunciare un incremento della spesa militare di 200 miliardi di euro, dopo che questo budget era cresciuto negli ultimi 20 anni di appena il 20%, rispetto al 66% degli Usa, al 292 per cento della Russia e a un mostruoso 592% della Cina.

Nella prospettiva (a oggi ancora molto lontana) di una completa integrazione degli apparati bellici – finora gelosamente custoditi all’interno dei rispettivi confini nazionali – un impulso senza precedenti è arrivato dalla cittadina inglese di Farnborough, dove in questi giorni si riuniscono alcune delle realtà imprenditoriali più importanti di tutta Europa. Tra i protagonisti, è emerso con un ruolo assolutamente centrale il colosso italiano dell’aerospaziale Leonardo (l’ex Finmeccanica), che ha illustrato il proprio progetto rinominato Tempest per voce dell’amministratore delegato Alessandro Profumo.

La collaborazione tra Italia e Gran Bretagna e il ruolo degli altri Stati membri

Si tratta di un velivolo altamente tecnologico sviluppato assieme ai britannici di Bae e agli svedesi della Saab, con un contributo anche dei giapponesi. È un sistema d’arma futuribile che può essere impiegato con o senza pilota, basato su strumenti altamente innovativi di comunicazione, intelligenza artificiale e cloud. Nell’ottica di quanto detto finora, appare assai significativo come la collaborazione si sia sviluppata sull’asse italo-britannica, ossia proprio con il Paese che è uscito dall’Unione europea.

E infatti il progetto Jet Tempest ha suscitato le immediate reazioni di Germania, Spagna e Francia, che parallelamente stanno lavorando ad un altro programma similare ma che ad oggi appare più in ritardo rispetto a quello presentato da Italia e Gran Bretagna. In quest’ottica, i vertici di Leonardo hanno anche specificato come si stia sviluppando assieme a francesi, tedeschi e spagnoli l’Eurodrone, un velivolo senza pilota di media altitudine e lunga durata che dovrebbe rappresentare il futuro degli aeromobili a pilotaggio remoto.