Berlusconi e la teoria dei “3 colpi di Stato” contro di lui e l’Italia

Il fondatore di Fininvest, Milan e Forza Italia credeva ciecamente di essere stato investito da ben tre colpi di Stato. Ecco quando, e di cosa si trattò

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Tra le tante cose che ricordiamo vividamente di Berlusconi, morto a 86 anni il 12 giugno 2023, nel giorno del suo funerale di Stato, c’è senz’altro la teoria dei “3 colpi di Stato” di cui sarebbe stato vittima lui, e con lui l’Italia intera. Non golpe, attenzione, ma proprio colpi di Stato, spiegò in un’intervista divenuta celebre l’ex Cav a Corrado Formigli su Piazzapulita, La7.

I golpe sono condotti da ufficiali subalterni, come colonnelli o di rango inferiore, o sottufficiali come sergenti, si hanno cioè quando giovani ufficiali o reclute arrivano a impadronirsi del potere. Il colpo di Stato invece è un vero e proprio ammutinamento, con gravi implicazioni per l’integrità dell’istituzione stessa.

Nel nostro Paese, dicevamo, secondo il fondatore di Fininvest, del Milan e di Forza Italia, ce ne sarebbero stati ben tre di colpi di Stato. Berlusconi, celebre per i toni e le posizioni spesso egocentrati, antipolitici e disallineanti (qui abbiamo raccolto 20 delle sue frasi più celebri), in quell’intervista rivelò la sua teoria.

Il primo colpo di Stato

Ecco il primo colpo di Stato. “Mi riferisco prima di tutto al ’93, quando furono fatti fuori i 5 partiti occidentali e democratici che ci avevano governato per 50 anni e anche i loro leader, e si spianò la strada a una conquista definitiva del potere da parte della sinistra” denunciò il leader azzurro.

Naturalmente si riferiva a Tangentopoli. L’inchiesta della Procura di Milano che spazzò via i partiti della Prima repubblica venne definita da B. “un’operazione venuta da lontano”, cioè dalla nascita nel ’64 di Magistratura democratica, corrente di estrema sinistra che già teorizzava una via giudiziaria al socialismo, da realizzarsi attraverso l’uso alternativo del diritto da parte di magistrati militanti.

Con la stagione di Mani pulite i magistrati milanesi, diceva il leader di Forza Italia, “diversi dei quali hanno poi fatto carriera politica a sinistra, hanno decapitato selettivamente e scientificamente tutti i partiti di governo, risparmiando l’ala sinistra della Dc e il Pci-Pds perché funzionali al loro disegno politico”.

Nel 92-93 la democrazia fu sospesa. Nel 1964 una corrente di sinistra diede vita a Magistratura Democratica, che poi si divise nel ’68 e una parte si unì alle forze extraparlamentari, tanto che l’Unità nel ’78 li accusò di essere andati oltre. Questa magistratura fu istruita da Gramsci” ebbe a dire il Cav. Che rincarò la dose ricordando pure il suo “calvario”: “Abbiamo dovuto avere tanta forza morale, tanto coraggio, perché già dal ’94, dopo due mesi arrestarono mio fratello Paolo”.

Arrivò così quella che aveva etichettato come “dittatura della magistratura”. Inizio e fine di un’era, in cui anche il mondo socialista si trovava in un momento di grande trasformazione, travolto dagli illeciti di Mario Chiesa, e con Bettino Craxi che divenne espressione del degrado morale che l’Italia stava attraversando, forse per la prima volta.

La cosa paradossale, come sottolineò all’epoca Norberto Bobbio, fu che proprio il più forte partito comunista dell’Occidente riuscì a sopravvivere al crollo dell’Unione sovietica e dei suoi miti, cambiando nome e rinnovandosi nel profondo, mentre fu il Psi, da sempre suo alter ego, rimase intrappolato in una serie di contraddizioni insanabili.

Il secondo colpo di Stato

Il secondo colpo di Stato arrivò invece nel ’94, quando B. scese in campo con Forza Italia e vinse le elezioni. Mentre oggi si discute di ciò che sarà il “partito non-partito” dopo di lui, allora Berlusconi divenne presidente del Consiglio. Forza Italia riuscì a spostare ben 4 milioni di voti, agendo sul 10% dell’elettorato indeciso, grazie alla tv commerciale di Berlusconi.

“Dopo 7 mesi (durante un vertice Onu a Napoli, ndr) ci fu un avviso di garanzia. Neanche consegnatomi da chi doveva consegnarlo, ma fattomi pervenire attraverso la prima pagina del Corriere della Sera”. Una fase estremamente travagliata della nostra storia politica, che Berlusconi definì, sempre in quella intervista, “l’alleanza mediatico-giudiziaria che aveva fatto anche questo”.

Berlusconi poi “insistette” con la Lega per continuare a governare in attesa che il processo avanzasse. “Invece – così continuò a raccontare il leader di FI – il capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro chiamò Bossi e gli disse: ‘Berlusconi ormai è nel baratro, devi sciogliere l’alleanza con lui e far cadere il governo, altrimenti cadi nel baratro anche tu'”. E qui Bossi gli credette “e fu mandato a casa un governo sostituito da un altro governo con presidente e governatore”.

In un presunto dossier arrivato chissà come nelle mani di Berlusconi più avanti, si parlò anche del ruolo dell’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi. In quelle pagine, diceva il “cerchio magico” di Berlusconi, si sarebbe raccontato un episodio rivelatore, trascritto proprio da Ciampi: “Una cena dal Segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, è l’occasione per annotare i giudizi del presidente della Repubblica (Scalfaro, ndr) che appare preoccupato dal fenomeno Berlusconi, fino ad auspicare un fronte tipo Comitato di Liberazione Nazionale”. Insomma, secondo questo presunto dossier, Berlusconi andava fatto fuori, politicamente parlando.

La teoria del “colpo di Stato permanente”

Per 20 anni abbiamo vissuto così, con tentativi continui di colpi di Stato, disse Berlusconi. È la tesi sostenuta anche da Paolo Becchi, docente di Filosofia pratica e bioetica all’Università di Genova, che nel 2014 ci scrisse persino un libro-denuncia dal titolo “Colpo di Stato permanente”. Considerato l’ispiratore della richiesta di impeachment presentata dal Movimento 5 stelle contro l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma sconfessato pure dallo stesso Grillo, in sostanza Becchi – e Berlusconi – erano convinti che Napolitano fosse stato il regista di un colpo di Stato che perdurava da quasi tre anni. Anche Alan Friedman, più tardi, nel suo libro “Ammazziamo il gattopardo” tentò di svelare i presunti retroscena di questa machiavellica macchinazione.

Il “soft putsch” – il secondo per Berlusconi – sarebbe iniziato nell’estate 2011 con la crisi dell’euro “creata sui giornali attraverso l’innalzamento artificioso dello spread, “che mise sotto schiaffo il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti” spiegò Becchi in una intervista al giornale di Berlusconi, Il Giornale appunto. “Si capiva perfettamente che i poteri forti italiani e stranieri avevano cominciato a muoversi sotto traccia”.

Poteri forti, ma chi esattamente? Becchi fece i nomi, e iniziò a parlare di colpo di Stato già nel 2012: in Italia, oltre a Napolitano, di Carlo De Benedetti, cui faceva capo il gruppo editoriale della Repubblica e dell’Espresso, e il duo Abramo Bazoli-Corrado Passera, allora alla guida di Intesa Sanpaolo, prima banca del Paese. “Non si dimentichi – diceva Becchi al giornalista – che Bazoli è sempre stato il dominus anche del Corriere della Sera”. All’estero, colpevole sarebbe stata la troika, formata da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale.

Come capì Becchi che era in atto un colpo di Stato? Bastava, disse, aver letto la lettera strettamente riservata inviata il 5 agosto dalla Bce a Berlusconi, con l’ultimatum a varare con urgenza misure per rafforzare la reputazione della firma sovrana dell’Italia, poi resa pubblica dal Corriere, e l’editoriale “Il podestà straniero” scritto da Mario Monti sulla medesima testata due giorni dopo, in cui si censurava – continuò – l’incapacità di prendere serie decisioni da parte del governo. “Un’autocandidatura a presidente del Consiglio (quella di Monti, ndr). Oggi sappiamo che era quello l’accordo raggiunto sotto banco con Napolitano”.

Per Becchi, il ruolo di Napolitano nella caduta del Cavaliere fu fondamentale, con una strategia di lungo percorso. “Prima abbiamo assistito al lento logoramento del capo dei moderati a opera di Gianfranco Fini, rimasto presidente della Camera, nonostante lo scandalo della casa di Montecarlo, solo perché protetto da Napolitano. Ma l’implosione del Pdl non è bastata ad acciaccare il potere carismatico del suo leader. Allora si è passati allo screditamento per vicende di letto. Altro buco nell’acqua: in Italia quelle al massimo sono considerate benemerenze. Quindi è scattato l’assedio economico, nel fondato timore che Berlusconi e Tremonti avessero predisposto un piano B per l’uscita dall’euro”, ricordando l’andamento del titolo Mediaset in Borsa a ridosso dell’avvento di Monti. “Per annientare il Cavaliere stavano distruggendo la sua azienda e anche l’Italia”.

A “Uno Mattina” Berlusconi ebbe poi ad attaccare gli allora presidenti di Senato e Camera e il presidente del Consiglio, che non ritennero di fare alcuna dichiarazione dopo le rivelazioni dell’ex-ministro del Tesoro americano, Timothy Geithner, che secondo lui confermavano le sue teorie.

“Si tratta di una notizia gravissima e trovo scandaloso il comportamento di alcuni giornali, che non hanno nemmeno messo in prima pagina la notizia delle violazione delle regole democratiche e della sovranità del nostro Paese” disse Berlusconi. “Era una menzogna il fatto che il Paese fosse sull’orlo del baratro, che no ci fossero i soldi per pagare gli impiegati pubblici e i pensionati. Fu messa in giro tutta questa storia che era contro il premier Berlusconi, che difendeva gli interessi nazionali contro certe proposte che facevano comodo ad altri Stati, come poi si è visto, perché chi successe a me si è inchinato a queste proposte”.

Poi nell’estate del 2011 la bufera dello spread fu fondamentale. “Al G20 di Cannes già circolava la voce che io non sarei stato più presidente del Consiglio una settimana dopo, tanto che Zapatero mi disse ‘Ma perché non ti dimetti e lasci il posto a Monti?’. La formazione del governo Monti fu un colpo di Stato nei confronti di chi non consentiva alla Germania e alla Francia di portare avanti le loro decisioni sulla politica economica. Un colpo di Stato che si é avuto qui, con la messa in campo di un governo che i cittadini non avevano eletto”.

Il terzo colpo di Stato

Infine, il terzo e ultimo colpo di stato di cui Silvio Berlusconi e l’Italia sarebbero stati bersaglio diretto, è quello del 2000: si tratta della fase dei processi, quelli che, disse, “hanno praticamente reso incandidabile per anni 6 il leader del centrodestra, aprendo la strada a un’affermazione della sinistra”.

Per il Cavaliere i magistrati erano “incontrollabili e irresponsabili nemmeno di ciò che commettono per colpe gravi e dolo e si giudicano tra di loro”. La magistratura, fatta da funzionari che non sono stati eletti dal popolo, che sono impiegati come quelli delle Poste e del catasto, diceva, si è trasformata da ordine dello Stato in un contropotere dello Stato, “il contropotere più forte di tutto il nostro assetto istituzionale, che tiene sotto di sé il potere esecutivo e il potere legislativo”.

Magistratura che naturalmente non gli andava a genio nemmeno nelle vicende del processo Mediaset. “C’è stato un progetto studiato e realizzato scientificamente da parte di certi pm e del Pd ed è stato nel cambiare strategia sui miei processi. La strategia divenne quella di aggiungere pm di sinistra già nei collegi occupati dalla sinistra, quindi 3 su 3 giudici di sinistra”. Poi ci furono le “cene eleganti” e tutto il resto.