Eni, il dividendo porta un miliardo allo Stato: il piano strategico 2027 tra privatizzazione e investimenti

Eni ha presentato il suo piano strategico per il 2027, premiato dagli analisti: rimane però il timore per l'effetto della privatizzazione

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Redazione

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Eni, la principale compagnia petrolifera italiana, ha presentato il suo piano strategico fino al 2027. Un prospetto accolto con favore dagli analisti e dagli investitori, che conferma il rafforzamento del modello “satellitare”, che prevede a sua volta che le varie attività controllate dal gruppo siano gestite da società separate, che è anche possibile quotare in Borsa. Proprio sui mercati finanziari, l’azienda ha mostrato ottimi risultati, anche se leggermente inferiori rispetto a quanto si aspettassero gli esperti.

Questa performance in Borsa ha portato giovamento anche al principale azionista di Eni, lo Stato italiano. Tramite alcune società gestite dai ministeri economici, l’Italia controlla il 34% delle azioni dell’azienda. Il governo però ha individuato questo asset come uno dei più appetibili per una privatizzazione. Una prospettiva che non piace ai mercati, che temono il cosiddetto “overhang”.

Il piano strategico di Eni per il 2027: tra mercati e investimenti

Gli analisti di Barclays hanno confermato in una nota la raccomandazione di overweight delle azioni di Eni, con un target price di 19 euro, dopo la presentazione del piano strategico dell’azienda per il 2027. Significa che gli esperti prevedono che le azioni dell’azienda saliranno fino a raggiungere quel prezzo, dai circa 14 euro di marzo 2024, e ne hanno quindi “sovrappesato” il valore basandosi sui progetti presentati nel documento.

Questi progetti riguardano in particolare il cosiddetto segmento downstream del gruppo, un termine specifico del settore delle risorse naturali che indica tutte le operazioni che si svolgono dopo quelle di estrazione. Dalla distribuzione allo stoccaggio al trasporto fino alla raffinazione, tutto ciò che non riguarda direttamente il ricavare gas o petrolio dal sottosuolo rientra in questa definizione.

Per Eni questi progetti riguardano principalmente tre aziende controllate dal gruppo: Plenitude, Enilive e Versalis. Tutte e tre vanno verso una ristrutturazione per aumentarne sia la competitività sia i margini di guadagno che il gruppo ricaverà dalle loro operazioni. Tutte queste realtà stanno vivendo un periodo di profondo mutamento, per diverse ragioni. Plenitude, che si occupa della distribuzione di energia elettrica e gas, si sta misurando con il nuovo mercato libero dell’energia in Italia. Un segmento che a sua volta è turbolento, data l’entrata progressiva di moltissimi clienti dal cosiddetto mercato tutelato e la competizione serrata che si sta sviluppando in tutto il Paese tra aziende regionali più piccole e nazionali più grandi.

Enilive invece riunisce vari servizi per la mobilità gestiti dal gruppo Eni. Dalle auto a noleggio breve Enjoy, presenti in molte grandi città italiane, alla rete di ricarica per auto elettriche fino alle stazioni di servizio della compagnia. Per questa realtà la sfida principale è la transizione energetica: si prospetta o una cessione, o comunque una quotazione in borsa, come dichiarato dall’amministratore delegato Claudio Descalzi.

La transizione energetica riguarda anche Versalis, che riunisce tutte le attività di raffinazione di Eni presenti in Italia, su tutti gli impianti di Marghera e Torres. Questa è forse la società che sta vivendo la trasformazione più profonda, come sottolineato dalla stessa Eni. Tra una decina d’anni in Europa non potranno più essere vendute auto a combustione e, entro il 2050, le stesse non potranno più circolare. La raffinazione del petrolio nel continente non ha quindi un futuro a lungo termine, anche perché si tratta di un’attività con emissioni altissime e quindi sempre più costosa.

Eni ha quindi intrapreso un ambizioso piano di trasformazione del core business di Versalis dalla petrolchimica alla biochimica. L’obiettivo è quello di fare dell’Italia un polo significativo per la produzione di biocarburanti, oltre che di prodotti biochimici specialistici con un alto margine di guadagno. Dalle materie plastiche agricole ai polimeri per auto, è prevista una svolta significativa con investimenti non solo in Europa, ma anche in Nord America e in Asia.

Il pericolo della privatizzazione: perché agli investitori non piace il piano del governo

Il 2023 è stato un anno molto positivo per Eni, soprattutto dal punto di vista finanziario. L’azienda ha potuto eseguire un buyback, un acquisto delle sue stesse azioni sul mercato, che ha fatto aumentare il valore dei singoli titoli. In un anno si sono apprezzate del 16%, superando i 14 euro con un giovamento significativo per gli investitori. Un’operazione da 2,2 miliardi di euro, cifra leggermente inferiore a quanto previsto, ma compensata da un dividendo, maggiore del 6% rispetto al previsto, restituito agli azionisti, pari a 1 euro per azione.

A giovare di questo risultato è soprattutto il principale azionista che controlla ora il 34% delle azioni della società petrolifera: lo Stato italiano. Possedendo quasi esattamente un miliardo di azioni Eni, l’erario ha ottenuto lo scorso anno 1 miliardo di euro dalla partecipazione nell’azienda, stando a quanto riporta il Fatto Quotidiano. Come anticipato, gli analisti di Barclays vedono in ascesa il valore delle azioni di Eni fino a 19 euro l’una. Ma su questa previsione incombe una prospettiva sempre più probabile: la privatizzazione.

Bloomberg ha infatti anticipato nei mesi scorsi che il piano di privatizzazioni del Governo italiano, annunciato da tempo dalla premier Giorgia Meloni e che vorrebbe ricavare 20 miliardi di euro dalle partecipazioni dello Stato in varie aziende, prevede la vendita anche del 4% delle azioni d Eni. Un calcolo preciso, che permetterebbe alle società controllate dai ministeri economici di mantenere di fatto il controllo della società, ricavando, nelle speranze dell’esecutivo, 2 miliardi di euro.

Denaro che servirebbe per diversi progetti del Governo, ma che potrebbe mettere a repentaglio il futuro finanziario di Eni nel breve periodo. Questa mossa esporrebbe infatti il titolo in Borsa al cosiddetto “rischio di overhang“. Una situazione che si verifica quando una quantità rilevante di azioni di una singola società finiscono in vendita sui mercati finanziari in pochissimo tempo. L’enorme offerta di azioni fa calare il prezzo delle stesse, facendo di conseguenza diminuire la capitalizzazione di mercato della società.

Un fenomeno che potrebbe compromettere, se fosse abbastanza acuto, l’operazione stessa di privatizzazione da parte del Governo, almeno parzialmente. Riteniamo tuttavia che Eni potrebbe risolvere questo problema utilizzando parte del suo nuovo mandato di riacquisto perpartecipare a qualsiasi ABB” hanno commentato gli analisti stessi di Barclays. In breve, Eni avrebbe la capacità di tamponare la situazione, acquistando nuovamente le sue stesse azioni sul mercato e aumentandone il prezzo per contrastare l’eventuale effetto della privatizzazione.