Antonella Picchio, esponente dell’economia femminista: cos’è e cosa prevede

Antonella Picchio è da anni portabandiera dell'economia femminista, ormai sempre più pratica e presente nella nostra società, anche se non abbastanza

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Antonella Picchio è una ben nota economista, che ha insegnato presso numerose Università italiane e straniere. Da Roma Tre all’Università di Modena, fino alla New School of Social Research di New York.

È stata presidente di IAFFE e parte della redazione di Feminist Economics, lavorando sul Well-being Gender Budgets presso il Centre of Analysis of Public Policy. Una personalità a dir poco di spicco nel suo campo, che è quello dell’insegnamento di Macro Economia, Economia di genere e Sviluppo Umano.

Non si può però parlare di lei senza affrontare il tema dell’economia femminista. Ecco il focus di questo articolo, che mira a gettare luce su un argomento poco trattato dalla massa e ai più sconosciuto.

Cos’è l’economia femminista

Quando si parla di economia femminista si fa riferimento a una teoria che aiuta a comprendere i processi economici alla base del quotidiano e, al tempo stesso, di quelle disuguaglianze di genere ancora vive e spesso considerate irrilevanti o fasulle.

Nel corso degli anni, però, si è tramutata anche in pratica. Ciò attraverso una sempre più frequente attuazione di processi che mirano a rispettare i criteri femministi, basati principalmente sul rispetto e la parità di trattamento.

Anno dopo anno, tra realtà, web e aule universitarie, si opera tra teoria e pratica per un sistema economico differente. Uno che non ponga i rapporti di dominio al centro, bensì la vita (di tutti).

Il pensiero di Antonella Picchio

L’economista Antonella Picchio si batte su questo fronte da molti anni. Oggi la discussione sul femminismo è centrale, proprio perché c’è chi ha lottato per consentirlo.

L’economia femminista produce approcci innovativi, ha spiegato in passato, evidenziando l’esistenza di una massa di lavoro non pagata. Nel 2011 diceva: “A livello di paesi industrializzati, pur con le dovute differenze, circa due terzi del lavoro domestico e di cura non pagato viene fatto dalle donne e un terzo dagli uomini. Ciò che colpisce nei dati sull’uso del tempo e sulle diseguaglianze di genere è la persistenza nel tempo e la generalità nello spazio del lavoro non pagato”.

Decisamente forti e illuminanti le sue parole alla rivista ERE. L’elemento più grave è che quanto evidenziano non è figlio di un’arretratezza o di un lascito passato, sottolinea, bensì di una chiara struttura del sistema economico dominante.

Si ha la necessità di affrontare sempre più tematiche di questo genere. L’economia femminista non è solo teoria, come detto, e dalle parole è passata alla pratica in questi anni, anche se non abbastanza.

“Il problema non è soltanto che gli uomini si occupano poco dei bambini e degli anziani. È che non si occupano di loro stessi”. È questa la loro vera colpa, spiega Picchio. Accontentandosi di una vita che non li soddisfa, rifiutano il dialogo e il mostrarsi vulnerabili, celando questa parte di sé in profondità e, al tempo stesso, nell’intimo casalingo.

Qui pretendono però un lavoro domestico enorme, che passa anche attraverso la cura costante ricevuta dalle donne. Ciò al fine di sostenere “l’attacco portato ai loro corpi e menti dal lavoro salariato”. Ciò a sottolineare come un sistema differente sarebbe benefico per tutti, non soltanto per le donne. “Ciò che opprime le donne non è la forza maschile, ma la debolezza maschile”.