Lo schema è chiaro: se Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia – che sono gli azionisti di maggioranza del governo – sono in qualche modo costretti a trattare con l’Europa e a fare i conti con le casse sempre più vuote (come dimostra bene la legge di Bilancio), si apre una prateria a destra per cavalcare l’antieuropeismo, e Matteo Salvini ha deciso da tempo di provare ad occuparla per recuperare i voti erosi alla Lega e riportarla sopra il 10%, ovviamente a spese dell’alleato. Un progetto chiaro che pervade da mesi la scena politica, con Salvini che propugna l’alleanza a destra e gli alleati di governo che guardano al PPE, con l’intento di entrare nella stanza dei bottoni a Bruxelles. Alleanza a destra che si sarebbe dovuta celebrare domenica a Firenze con un raduno di tutti i leader europei di quell’area, ma che si sta in realtà trasformando in un clamoroso flop. Assenti Marine Le Pen e il vincitore delle elezioni olandesi Geert Wilders, restano solo l’estrema destra tedesca di AFD e una manciata di leader nazionalisti est europei. E certo palazzo Chigi nessuno se ne fa un cruccio.
Il nodo delle Europee
Le Elezioni Europee della prossima primavera sono uno spartiacque politico fondamentale, motivo per cui la dialettica politica è già da qualche mese una sorta di campagna elettorale permanente. E il nodo alleanze tiene banco, perché quelle a Bruxelles sono spesso più importanti e decisive rispetto a quelle nazionali. FdI ha l’esigenza di trovare sponde moderate per governare in Italia e crescere in Europa, per entrare finalmente nelle stanze che contano. La Lega punta al contrario sulla sfida ‘antagonista’ alle istituzioni di Bruxelles e al rapporto coi sovranisti. Per questo Giorgia Meloni ha flirtato per mesi con Manfred Weber, il segretario del PPE che vorrebbe prendere il posto di Ursula Von der Leyen: il presidente del Consiglio italiano scommette sulla (difficile) sostituzione dei socialisti col suo gruppo dei conservatori, stante il PPE perno della prossima Commissione. Salvini predica al contrario alleanze solo a destra e incalza il governo ogni volta che gli è possibile, logorando di fatto la Premier sul fronte interno. Si vedano anche gli emendamenti alla Manovra, espressamente ‘vietati’ da Meloni, fatti passare per incomprensione.
Firenze verso il flop
Già l’invito di Marine le Pen a Pontida aveva avuto il sapore del ‘messaggio’ sulle alleanze in Europa, che a Palazzo Chigi non era stato preso granché bene. E anche Forza Italia, per voce di Tajani, ha sempre voluto tenere a debita distanza Le Pen e soprattutto i tedeschi di ADF. L’appuntamento di domenica a Firenze, però, rischia di trasformarsi in un boomerang per Salvini, che dopo aver annunciato presenze di peso deve fare i conti col rifiuto della stessa Le Pen e di Wilders. La prima si limiterà ad un messaggio, il secondo ha l’ovvia necessità di non compromettersi, e dunque tenersi le mani libere, in vista della formazione di un governo ad Amsterdam, per il quale gli serve l’appoggio di altri gruppi. Salvini avrebbe voluto cavalcare l’onda olandese, sebbene nei giorni scorsi abbia fatto parecchio discutere una foto di Wilders in campagna elettorale, con un cartello su cui appariva lo slogan ‘neanche un centesimo per l’Italia’. E’ il vecchio punto debole dei sovranisti, che tendono ovviamente ad esserlo per se stessi.
“Non giriamoci intorno, Salvini a Firenze puntava a lanciare messaggi di forza in Europa e agli alleati in Italia, per sostenere la tesi secondo cui il centrodestra italiano dovrà andare unito senza alleanze con i socialisti europei. Invece il piano ora naufraga”, riporta Antonio Fraschilla su Repubblica da un deputato di lungo corso molto vicino a Salvini. “La Le Pen non viene perché vuole trattare lei per il gruppo sovranisti anche con i conservatori guidati da Meloni”.
Il ritorno di Draghi
In tutto ciò non va sottovalutata la solida presa di posizione di Mario Draghi, tornato sulla scena pubblica e da molti indicato come possibile prossimo presidente del Consiglio Europeo. Parlando del futuro dell’Unione europea Draghi si è detto “preoccupato”, evocando l’importanza di far “diventare Stato” l’Ue. Una sorta di ‘sovranismo europeo’ che serve anche a disinnescare le tensioni centrifughe, e che ha subito incassato il favore di personaggi di spessore come Jacques Attali, definito dai media francesi “l’uomo che sussurrava ai presidenti” per le strette collaborazioni con Mitterand, di cui è stato consigliere speciale, Nicolas Sarkozy e François Hollande. Secondo Attali l’Europa “deve prima di tutto avere un progetto reale di Europa sovrana militarmente, tecnologicamente, culturalmente, scientificamente e in termini alimentari”.
Road map
Giorgia Meloni, per quanto sia stretto, segue il sentiero dello sganciamento dai gruppi sovranisti per saldarsi al PPE e spostare sul centrodestra il baricentro della prossima Commissione. Progetto che ha visto una frenata con le elezioni spagnole e soprattutto polacche, ma che potrebbe aver ritrovato vigore con quelle olandesi. Non tanto per Wilders, quanto per il magro risultato dei socialisti. Quel che è certo è che fino al 9 giugno la maggioranza di governo in Italia sarà impegnata in una disputa interna fatta di distinguo e reciproche pressioni, in attesa del responso delle urne europee. Fin qui Salvini ha fatto segnare diversi punti, a Firenze rischia invece il contropiede.
Il siluro di Letta al premierato
A proposito di distinguo, a palazzo Chigi non hanno certo fatto piacere le parole sostanzialmente tombali di Gianni Letta sulla “madre di tutte le riforme”, il premierato caro a Giorgia Meloni. La quale legge nelle parole dell’ex eminenza grigia di Berlusconi la vera ‘linea’ di Forza Italia. La Lega si era limitata a vincolare la riforma all’approvazione dell’Autonomia, Letta è andato ben oltre. Un’uscita così forte, specie da parte di una persona notoriamente prudente come Letta, “non nasce dal nulla” – sospettano ai vertici di FdI.