Iran, il baratro dopo l’attacco: gli Usa frenano Israele, cosa può succedere

Anche se il raid con 300 droni e missili è stato respinto, la linea rossa della guerra tra Iran e Israele diretta è stata superata. Con gli Usa che meno di tutti vogliono l'escalation

Pubblicato: 15 Aprile 2024 09:45

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Il giorno dopo il giorno dopo il maxi attacco fallito dell’Iran a Israele possiamo analizzare gli eventi con mente più fredda. Analizzando gli imperativi strategici di Teheran e Israele ci avevamo azzeccato: gli iraniani non volevano e non vogliono l’escalation, così come gli americani. Ma l’hanno sfiorata, con Israele che freme per reagire e Washington che tira le briglie per calmare la foga. Teheran ha dunque “sbagliato” l’attacco apposta, calcolandone il fallimento? Voleva davvero soltanto mostrare i muscoli dopo il raid israeliano a Damasco che ha ucciso due generali e altri ufficiali dei Pasdaran?

La risposta è sì, ma anche no. Soprattutto no. Perché l’Iran ha organizzato e lanciato un raid senza precedenti per portata e coordinazione con milizie sciite attive in altri Paesi. Con tanto di timbro delle massime autorità della Repubblica Islamica, il che rappresenta un altro primato storico. La linea rossa della guerra diretta, al netto della distruzione pressoché totale in volo dei droni e dei missili iraniani, è stata definitivamente superata. Indietro, insomma, non si torna, si può soltanto andare avanti. Dove tra il “baratro” paventato dal segretario dell’Onu Antonio Guterres e l’invito alla calma degli Usa, c’è il rischio concreto dell’escalation definitiva tra due potenze nucleari (una ufficiale, Israele, e una che l’atomica l’ha quasi certamente sviluppata, l’Iran).

Cosa vuole l’Iran e quali sono i rischi

L’abbiamo già ribadito più volte: l’Iran non vuole lo scontro diretto con Israele, per imperativo strategico deve fare tutto per evitarlo. Ma gli imperativi spesso si disattendono per errore o veemenza, innescando un effetto domino che non presagisce nulla di buono. Durante il Consiglio di Sicurezza Onu riunito nella notte, l’ambasciatore iraniano Saed Iravani ha confermato questa linea, riferendo che il suo Paese “non ha intenzione di impegnarsi in un conflitto con gli Stati Uniti in Medio Oriente. Tuttavia, se gli Stati Uniti avviassero operazioni militari contro l’Iran, i suoi cittadini o la sua sicurezza e i suoi interessi, l’Iran eserciterà il suo diritto intrinseco a rispondere in modo proporzionato”. Le cause alla radice dell’attuale situazione “sono chiare a tutti”, ha proseguito il diplomatico ricordando gli oltre 30mila palestinesi uccisi a Gaza e la Striscia ridotta a un cumulo di macerie. “Il focus di Israele è commettere altri atroci crimini senza interesse per il rispetto delle leggi internazionali”, ha sentenziato chiedendo al Consiglio di Sicurezza Onu di “adottare misure punitive immediate contro Israele”.

Non vogliamo la guerra, ma siamo pronti a farla: il messaggio in sostanza è questo, ma non solo. Come evidenziano le dichiarazioni del capo di Stato maggiore dell’esercito dell’Iran, il maggiore generale Mohammad Bagheri: “La nostra risposta sarà molto più ampia dell’azione militare del 13 aprile, se Israele reagirà contro l’Iran”. Washington e Tel Aviv sono avvisate: “Qualsiasi sostegno alla ritorsione israeliana comporterebbe che le basi militari statunitensi nella regione saranno prese di mira“. Resta però soprattutto il fatto che mai nella storia qualcuno in Medio Oriente aveva lanciato un’offensiva aerea di questa portata: 185 droni, 36 missili da crociera e 110 missili balistici (secondo fonti israeliane). Il tutto in un attacco simultaneo su vasta scala concentrato in una manciata di ore e che ha coinvolto basi e milizie di tre Paesi: Iran, Iraq e Yemen (e forse anche Libano).

E a questo punto diventa quasi marginale la circostanza dei danni limitatissimi provocati da droni e missili iraniani, distrutti al 99% ancora prima di entrare nei cieli d’Israele grazie anche al supporto militare di Usa, Regno Unito e Francia. Perché sembra proprio che l’Iran abbia fatto una sorta di “prova generale” per un attacco futuro, non più “telefonato”. La macchina di guerra aerea è stata massiccia e il fatto che Teheran si sia potuta permettere di sacrificare così tanti mezzi bellici – annunciando l’attacco con tanto di countdown – fa crescere i timori sulle reali capacità e potenza militare dell’Iran. Il cui scopo primario è quello di distruggere Israele a partire dalla sua missione securitaria nella regione, incarnata da quegli Accordi di Abramo voluti dagli Usa che intendono normalizzare i rapporti con le monarchie arabe.

Gli Usa calmano Israele: “L’Ira pagherà, ma al momento giusto”

Anche, e soprattutto, per gli Stati Uniti è vitale evitare l’escalation in Medio Oriente. Con sempre maggiore fatica, la Casa Bianca è riuscita per il momento a frenare Benjamin Netanyahu dal rispondere per le rima all’Iran. Ma Israele ha giurato vendetta ed è sicuramente l’attore più intenzionato ad andare fino i fondo ai suoi propositi, anche per quanto riguarda Gaza e il controllo dell’intera fascia che va dal Mediterraneo alla Valle del Giordano. La reazione, ha spiegato il ministro Benny Gantz dopo ore di riunioni, consultazioni frenetiche e appelli globali alla de-escalation, arriverà. Ma senza colpi di testa, “nel modo e nel momento più adatti. Costruiremo una coalizione regionale contro la minaccia dell’Iran ed esigeremo un prezzo”. E sarà il Gabinetto di guerra a deciderlo. Nell’ottica di rilancio del ruolo di super potenza regionale di cui Israele è stata investita dagli Usa, vero antidoto alla minaccia iraniana a vantaggio di Arabia Saudita ed Emirati. Ma la colla che sta tenendo insieme il Medio e Vicino Oriente è quasi asciutta del tutto.

Israele si è risvegliato rabbioso e ferito nell’orgoglio geopolitico dopo una delle notti più difficili di sempre. Dopo giornate di allarmi e paura per un attacco considerato imminente da parte degli iraniani, sabato sera alle 22 è scattata la “vendetta promessa” di Teheran con cinque ondate di raid: tre con i droni suicidi Shahed 136 e due con missili da crociera e balistici. Un’azione “telefonata” da parte dell’Iran, che ha avvertito gli alleati della regione e non solo ben 72 ore prima dell’ora X, ma che ha comunque impiegato oltre 300 tra droni e missili. La maggior parte di questi sono stati abbattuti prima del confine israeliano, nei cieli dell’Iraq e della Giordania. Teheran da parte sua ha rivendicato che “l’attacco ha raggiunto tutti i suoi obiettivi”, con “duri colpi” inferti a una base aerea del Negev, colpita da missili balistici Kheibar. E ha ammonito non solo gli Usa “a stare fuori dal conflitto” minacciandone le basi nella regione, ma anche tutti quei Paesi che hanno aiutato lo Stato ebraico a contenere l’attacco. Per questo sono stati convocati dal ministero degli Esteri a Teheran gli ambasciatori di Francia, Gran Bretagna e Germania. Poi ha risposto al segretario dell’Onu Antonio Guterres – che ha parlato di “devastante escalation” – sostenendo di aver esercitato “il diritto all’autodifesa“.

Dopo ore di silenzio, nella serata di domenica si è fatta sentire anche la Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, che ha lanciato la più sentita e temuta minaccia culturale, simboli e spirituale. “Gerusalemme sarà nelle mani dei musulmani e il mondo musulmano celebrerà la liberazione della Palestina”, ha scritto in ebraico su X, pubblicando un video di droni iraniani che sorvolano la Spianata delle Moschee.

La telefonata di Biden a Netanyahu che ha evitato il peggio

A evitare che tutto il Medio Oriente si infiammasse definitivamente è stata una telefonata nella notte. Una chiamata consueta, ormai quotidiana, giunta mentre l’attacco iraniano era ancora in corso e il mondo restava col fiato sospeso. Joe Biden da una parte della cornetta, Benjamin Netanyahu dall’altra, col primo che rassicurara il secondo sull’incrollabile sostegno degli Usa a Israele dopo gli attriti sulle modalità di guerra a Gaza. Ma con dei paletti incrollabili, che impediranno agli Stati Uniti di farsi trascinare in un conflitto diretto contro Teheran. Così il presidente americano ha ribadito al premier israeliano che Washington non è disposta a sostenere una risposta militare diretta contro Teheran.

L’insuccesso dell’offensiva dell’Iran è stata definita da Biden “una vittoria” per Israele, un successo strategico che “dimostra la capacità di difendervi dai vostri nemici” assieme agli alleati. La retorica sfoggiata dall’inquilino della Casa Bianca nei confronti del suo amico ribelle Bibi ha l’obiettivo di placare la rabbia dell’intransigente governo ebraico, pronto a scatenare la sua ira contro l’Iran e i suoi alleati in Libano, Siria e Yemen. Uno scenario da evitare assolutamente agli occhi degli egemoni Usa, che hanno impiegato risorse ed energie indicibili per tentare di normalizzare la regione mediorientale e che sanno benissimo che l’esercito di Hezbollah, da solo, potrebbe dare vita con la sua enorme potenza bellica a una guerra totale contro Israele.

Per ora Biden sembra però riuscito a scongiurare il peggio. Secondo fonti israeliane citate dal New York Times, proprio in seguito alla telefonata il premier israeliano avrebbe bloccato la ritorsione sollecitata dai “falchi” del suo Gabinetto di guerra. “Ogni discussione che ha avuto, ogni decisione che ha preso il presidente americano erano volte a evitare un allargamento del conflitto. Gli Stati Uniti non vogliono la guerra“, ha spiegato in serata il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, John Kirby. “L’Iran voleva provocare un grave danno a Israele, ma ha fallito grazie ai sistemi di difesa israeliani e dei loro partner”, hanno sottolineato anche due alti funzionari dell’amministrazione americana in un’altra telefonata con un gruppo ristretto di giornalisti. E su un’eventuale controffensiva, gli Usa hanno spiegato che “le controparti israeliane ci hanno fatto capire che non vogliono un’escalation nell’area”, ma il dialogo su “come procedere” dopo l’attacco iraniano “prosegue”.

Biden, da parte sua, continua comunque a rispondere ai propositi strategici statunitensi e dunque a insistere per la via della diplomazia, la sua preferita anche se ora più fragile che mai, sulla quale sta cercando di coinvolgere anche il resto del mondo, a partire dai partner del G7, con i quali ha avuto una riunione di emergenza convocata dall’Italia. L’appello alla calma è arrivato anche da Russia – che tuttavia non ha mancato di denunciare “la doppiezza” dell’Onu – Cina, Qatar, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, mentre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito in seduta straordinaria.

La posizione dell’Onu, tra “baratro” di Guterres e sanzioni punitive

Lo scontro tra Israele e Iran è stato inevitabilmente duro anche nella riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza Onu convocata dopo l’attacco di sabato notte, mentre il segretario generale Guterres ha avvertito che il Medio Oriente è “sull’orlo del baratro”. Il regime iraniano “non è diverso dal Terzo Reich e l’ayatollah Khamanei non è diverso da Hitler“, ha tuonato il delegato dello Stato ebraico alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, chiedendo “tutte le sanzioni possibili” contro la Repubblica islamica. “Il fatto che Israele si sia mostrato superiore non toglie la brutalità dell’attacco”, ha aggiunto l’ambasciatore israeliano. Da parte sua il collega iraniano, Saed Iravani, ha chiesto al Consiglio di “adottare misure punitive immediate contro Israele“, che vuole solo “commettere altri atroci crimini senza rispetto delle leggi internazionali”. Iravani ha ribadito che Teheran “non ha avuto altra scelta che esercitare il proprio diritto all’autodifesa”, confermando che il suo Paese non vuole un aumento della tensione o “una guerra con gli Stati Uniti”, ma risponderà a “qualsiasi minaccia o aggressione”.

Anche gli Stati Uniti hanno evocato lo spettro di nuove sanzioni contro l’Iran. “Nei prossimi giorni discuteremo con i nostri partner nuove misure punitive in accordo con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”, ha detto l’ambasciatore americano Robert Wood, alludendo alla possibilità di presentare una bozza di risoluzione con nuove misure restrittive contro Teheran. Il più pessimista e preoccupato dei rischi di un conflitto più ampio e letale è apparso, ancora una volta, il segretario generale dell’Onu. “La popolazione mediorientale si trova ad affrontare il pericolo reale di un devastante conflitto su vasta scala. Ora è il momento di allentare la tensione, della massima moderazione e di fare un passo indietro dal baratro”, ha affermato Antonio Guterres. “Né la regione né il mondo possono permettersi altre guerre”.

Il tutto mentre lontano dal Palazzo di Vetro, per le strade dell’Iran metropolitano e rurale, il popolo persiano si perdeva in festeggiamenti e preghiere pubbliche. I sentimenti erano però ovviamente contrastanti, misti di entusiasmo imperiale e paura. Per molti la situazione attuale ha rievocato la guerra lunga otto anni con l’Iraq negli Anni Ottanta. In molti altri a Teheran hanno preferito lasciare la capitale per timore di un imminente conflitto diretto, e questo ha provocato un intenso traffico sulle strade intorno alla città a partire dalla mezzanotte, mentre davanti ai distributori di benzina si formavano lunghe code di auto. Intanto sui social sono diventati virali e commentatissimi i video che mostrano i resti di alcuni missili e droni che erano destinati a colpire Israele, ma che invece sono esplosi o si sono schiantati prima di superare il confine, nelle vicinanze di alcune città importanti dell’Iran come Shiraz, Andimeshk, Behbahan e Isfahan. Nelle immagini si vede anche una casa distrutta dopo essere stata colpita, proprio vicino a Shiraz. Anche la spettacolarizzazione e il pathos pompato dal messo digitale possono rappresentare un fattore determinante per gli esiti della guerra.