La Nato propone un fondo di miliardi per l’Ucraina: come cambia la guerra alla Russia

Gli Usa vogliono congelare la guerra in Ucraina e parlare con la Russia, ma il segretario della Nato ha un suo piano per il conflitto. Un piano che ha bisogno del "sì" di tutti i 32 Stati membri e di soldi

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’Ucraina è in grandissima difficoltà, ma il fatto che si sia impegnata nella fortificazione difensiva della linea del fronte – come la Russia – fa scivolare la guerra sempre più verso i negoziati. Che Mosca vuole discutere solo e soltanto con Washington, e con nessun altro. Nel frattempo gli Usa continuano a voler congelare il conflitto, sempre più stanchi di competere su più fronti e sempre più convinti di voler parlare con una Russia non sconfitta per sottrarla alle grinfie della Cina. Il quadro generale è più o meno tutto qui.

Però c’è un però: per disimpegnarsi dal supporto costante all’Ucraina, l’America deve scaricare l’onere industriale e militare ai Paesi europei, profondamente divisi su ogni dossier ma spinti all’azione dalla rinverdita minaccia di invasione russa, pompata dalla propaganda occidentale. Se da un lato una Difesa comune europea si dimostra una chimera, dall’altro la Nato mostra di essere il vero e unico braccio armato degli Stati Uniti in Europa. Per questo il segretario uscente Jens Stoltenberg ha proposto un fondo quinquennale da 100 miliardi di dollari complessivi per sostenere la resistenza di Kiev.

Il fondo Nato da 100 miliardi di dollari per l’Ucraina

Che l’Ucraina sia a corto di munizioni è noto da tempo, e la situazione non è migliorata. “Gli ucraini non sono però a corto di coraggio”, ha dichiarato Stoltenberg nel suo discorso d’annuncio di un possibile fondo da 100 miliardi di euro per il sostegno militare a Kiev. Un fondo “a prova di Trump”, come l’ha definito il suo stesso ideatore. L’ex presidente, in corsa per la prossima presidenza degli Usa, è infatti fautore del disimpegno militare americano in Europa e nel mondo. Una ricetta indigesta otto anni fa al Congresso e al Pentagono, ma che oggi viene riscritta a matita sul menu geopolitico di Washington. Anche per questo motivo quella di Stoltenberg è una proposta a dir poco ambiziosa, per la cui realizzazione occorre il sì di tutti i 32 Paesi membri della Nato. Un bello scoglio, il cui spuntone più grande resterà comunque il beneplacito degli apparati statunitensi.

L’altro grande “se” riguarda il reperimento delle risorse: chi metterà tutti quei soldi a disposizione di Volodymyr Zelensky? Intanto possiamo dire che 100 miliardi di dollari è su per giù la somma che, dall’invasione russa su larga scala iniziata il 24 febbraio 2022, i Paesi Nato hanno già speso collettivamente per aiutare la resistenza ucraina. In quest’ottica il progetto di Stoltenberg, con altri 100 miliardi spalmati su cinque anni, non appare così fuori dal mondo. A cambiare sarebbe però la gestione dei fondi, concentrata nelle mani dell’Alleanza Atlantica. Tradotto: la Nato vorrebbe esercitare una maggiore e decisiva influenza sul Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina guidato dagli Stati Uniti. Tradotto ancora meglio: Stoltenberg propone il passaggio sotto il comando dell’Alleanza delle riunioni decisionali della coalizione internazionale dei partner dell’Ucraina.

Chi paga?

Ci sono però anche altri ostacoli al progetto del segretario atlantico uscente, come l’opposizione annunciata di Paesi come la Turchia, impero che fa il doppio gioco tra Ucraina e Russia senza schierarsi apertamente, e come Ungheria e Slovacchia, con quest’ultima freschissima di vittoria presidenziale da parte del filorusso (ma pacifista a parole) Peter Pellegrini. Senza dimenticare che l’ipotetico stanziamento dei 100 miliardi in cinque anni dovrebbe gravare sui bilanci degli Stati Ue chiamati a rinforzare l’esercito col 2% del Pil, ponendoli di fronte alla scelta tra la loro sicurezza e quella di Kiev.

Al di là dei miliardi, che pure sono da trovare, resta il cruciale problema dell’industria bellica europea. Nonostante i proclami di riarmo, con l’invito americano a destinare il 2% del Pil nazionale alla Difesa, il comparto versa in una situazione di crisi per questione energetiche, di materie prime e di sostenibilità finanziaria. Si pensi che del milione di proiettili promessi dall’Ue all’Ucraina mesi fa, ne sono stati consegnati nell’ultimo anno soltanto 524mila (munizione per obice da 155 mm). E i restanti? Non pervenuti. Una cosa s’è capita: qualunque iniziativa militare, anche nel campo della produzione, non può prescindere dagli Stati Uniti. E proprio per convincere gli Usa, la proposta Stoltenberg prevede che la parte che dovrebbe mettere Washington nel fondo di 100 miliardi sarà decisamente inferiore al pacchetto di aiuti di 60 miliardi di dollari bloccato al Congresso Usa da settimane.

Secondo l’International Institute for Strategic Studies, nel 2023 Washington ha contribuito al 41% della spesa militare globale, per un totale di 905 miliardi di dollari. La tanto temuta Russia, in crisi anch’essa nonostante l’autoglorificazione, è terza dopo la Cina: il 5% del totale mondiale, con 108 miliardi di dollari. Nel calcolo non sono però considerati gli arsenali nucleari.

La nuova “Ramstein” in Romania: sarà la base Nato più grande d’Europa

La guerra in Ucraina è l’occasione per la Nato di declinare in tattica la strategia degli Usa nei confronti della Russia: allargare i confini dell’Alleanza Atlantica per soffocare la proiezione di Mosca nell’ex area sovietica e impedire così che la potenza russa emerga e diventi egemone in Europa, così come in Asia. L’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato rientra in questo schema, proprio come l’annuncio della costruzione in Romania di quella che diventerà la più grande base militare Nato in Europa. L’hanno già ribattezzata la “nuova Ramstein”, con riferimento alla principale base atlantica situata in Germania, rispetto alla quale sarà il 20% più estesa. La struttura sorgerà nei pressi di Costanza, città romena sul Mar Nero, come ampliamento dell’attuale aeroporto militare “Mihail Kogalniceanu”, che ospita la 101esima Divisione aviotrasportata e aerei da combattimento della Nato. Per un investimento totale di oltre 2,5 miliardi di euro. La Russia vedrà dunque le armi occidentali puntate dirette contro i suoi obiettivi nel sud del suo impero, dalla Crimea occupata e annessa alla Novorossija e al Delta del Danubio.

Nella base, che attualmente ospita circa 5mila persone, potranno essere acquartierati fino a 10mila militari, con tanto di famiglie al seguito e del personale di supporto essenziale. A tal proposito, oltre alle strutture militari e alle più avanzate tecnologie belliche, il complesso prevede anche la costruzione di servizi amministrativi e sociali essenziali come residenze, scuole, asili, negozi, ristoranti, cinema e un ospedale per i futuri abitanti. Tuttavia le tempistiche superano di gran lunga ogni previsione sulla guerra in Ucraina: la “nuova Ramstein” dovrebbe vedere la luce soltanto nel 2040.