In Italia pagare le pensioni rischia davvero di diventare sempre più insostenibile: il sistema ha un problema, interconnesso con il lavoro, il precariato e la bassa natalità. A sostegno di questa ipotesi i dati evidenziati dall’Ufficio Studi CGIA: nel nostro Paese ci sono più pensionati che lavoratori, e questo – nel giro di qualche anno – potrebbe davvero essere un problema.
Perché abbiamo un problema con le pensioni in Italia
Non è un allarme, né si vuole fare leva su un titolo sensazionalistico: l’Italia ha davvero un problema con le pensioni. Il nostro sistema, come molti sapranno, si basa sul sistema contributivo. Questo vuol dire, in sostanza, che i lavoratori di oggi versano dei contributi che servono a pagare gli attuali assegni pensionistici erogati dall’Inps a chi ha smesso di lavorare, sia in tempi recenti che più remoti (questo vuol dire che si sta lavorando anche per pagare le cd. “baby pensioni”, riconosciute in passato a gente già all’età di 40 anni, che ancora oggi le percepisce).
Il meccanismo alla base, di per sé, non sarebbe squilibrato perché si basa su una logica di interscambio. È logico però che per funzionare deve esserci equilibrio tra pensionati e lavoratori, ed è proprio qui che arrivano i problemi. Secondo l’Ufficio Studi CGIA, infatti, attualmente in Italia ci sono più pensionati che lavoratori. Nello specifico: “A livello nazionale il numero delle pensioni erogate agli italiani (pari a 22 milioni e 759 mila assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi (22 milioni 554 mila addetti)”.
I dati, che si riferiscono al 1° gennaio 2022, fanno luce su una situazione squilibrata soprattutto nel Mezzogiorno, anche se – in linea di massima – a livello nazionale si registra una controtendenza solo in alcune regioni.
Pensioni: cosa dicono i numeri
Come sostengono gli esperti, le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese.
“Si segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento)”, riporta il documento CGIA.
Inoltre, anche se tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un numero di occupati inferiore al numero degli assegni pensionistici erogati, le situazioni più “squilibrate” si verificano in:
- Campania (con -226 mila lavoratori rispetto ai pensionati);
- Calabria (-234 mila);
- Puglia (-276 mila);
- Sicilia (-340 mila).
Nel Centro-Nord, invece, presentano una situazione critica solo:
- Marche (-36 mila);
- Umbria (-47 mila);
- Liguria (-71 mila).
Le situazioni più “virtuose”, invece, si scorgono in:
- Emilia Romagna (+191 mila lavoratori rispetto ai pensionati);
- Veneto (+291 mila);
- Lombardia (+ 658 mila).
A livello provinciale, infine, le situazioni più compromesse che si registrano al Nord riguardano Biella (-14 mila), Savona (-18 mila) e
Genova (-38 mila). Tra le realtà più virtuose, invece, scorgiamo Bergamo (+83 mila), Brescia (+111 mila) e Milano (+299 mila). Nel Centro spiccano le difficoltà di Macerata (-14 mila), Terni (-22 mila) e Perugia (-24 mila), mentre dal saldo con segno positivo spicca il
risultato riferito alla provincia di Roma (+275 mila). Nel Mezzogiorno, infine, le situazioni più squilibrate riguardano Palermo (-80 mila),
Reggio Calabria (-86 mila), Messina (-94 mila), Lecce (-104 mila) e Napoli (-137 mila). Tra tutte le 38 realtà provinciali del Sud, solo due
presentano un saldo positivo e sono: Ragusa (+8 mila) e Cagliari (+10 mila).
Pensioni a rischio? Conseguenze e possibili soluzioni
Difficile affermare con sicurezza che un sistema così alla lunga possa reggere senza interventi mirati. L’Italia, infatti, rischia di avere un problema con la gestione dei conti pubblici: pagare le pensioni, quindi, potrebbe diventare insostenibile. A queste uscite, inoltre, si andrebbero ad aggiungere altre spese a carico dell’Erario, come quelle per le attività di cura/assistenza alla persona, che con una popolazione sempre più anziana non farebbero che aumentate, pesando ulteriormente sulle casse statali.
L’effetto opposto, inevitabilmente, sarebbe “una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione più giovane” e, con una società costituita prevalentemente da anziani, anche il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo ne risentirebbe.
Alcuni effetti, inoltre, si stanno iniziando a vedere già oggi: con il progressivo invecchiamento della popolazione, nello specifico, sono sempre di più gli imprenditori che faticano a trovare forza lavoro e personale giovane specializzato (qui i settori dove mancano oggi i lavoratori). In questo caso, come confermano anche i dati dello studio CGIA, l’emergenza potrebbe rientrare col tempo – a partire da un cambiamento del sistema formativo e professionale che si allinea alle nuove esigenze di mercato – ma intanto il problema resta.
Quindi che fare? “Per contrastare il calo delle nascite e il conseguente invecchiamento della popolazione è necessario mettere a punto una serie di interventi”, suggeriscono gli esperti. Riallacciandosi a quanto suggerito dalla Banca d’Italia: “È indispensabile, in particolar modo, potenziare le politiche mirate alla crescita demografica (es. aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.), allungare la vita lavorativa (almeno per le persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale), incrementare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro e, infine, innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’UE”.
E il governo Meloni cosa sta facendo a proposito? Qui le ultime misure inserite in manovra a favore di imprese, famiglie e lavoratori.