L’aumento della cedolare secca dal 21% al 26% sugli affitti brevi previsto dalla Legge di Bilancio potrebbe spingere molti proprietari di alloggi a cambiare piani.
In molte città italiane, conti alla mano, appare già oggi evidente che l’affitto di lungo periodo torna a essere più vantaggioso. L’inasprimento fiscale, se confermato, potrebbe portare a una riduzione degli affitti brevi a favore di quelli di lungo periodo: un vantaggio per chi cerca una casa da abitare e un’opzione in meno per i proprietari e i turisti.
Affitti brevi e cedolare secca dal 21% al 26%
Se la norma sarà confermata, dal 2026 le locazioni tramite piattaforme digitali come Airbnb saranno tassate interamente al 26%, senza possibilità di applicare l’aliquota agevolata del 21% nemmeno su un solo immobile. La stretta potrebbe spingere una parte dell’offerta turistica verso il mercato residenziale, contribuendo ad aumentare la disponibilità di alloggi per famiglie e studenti.
Secondo un’analisi del Sole 24 Ore basata sui dati di Scenari Immobiliari e Aigab (Associazione italiana gestori affitti brevi), la redditività netta degli affitti brevi si riduce sensibilmente una volta considerate tutte le spese di gestione. L’esercizio prende in esame un immobile tipo: trilocale di 65 metri quadri, usato ma in buone condizioni, situato in zona semicentrale. Una casa che può adattarsi tanto a una locazione tradizionale quanto a un utilizzo turistico.
La differenza, spiega Francesca Zirnstein, direttore generale di Scenari Immobiliari, non è solo questione di aliquota:
L’affitto breve è un tipo di attività che va molto bene nelle zone a forte tensione turistica o lavorativa, ma va meno bene in altre. In questi anni molti hanno pensato che fosse un modo per affittare case, in qualsiasi parte d’Italia, tenendole a disposizione. La realtà, però, è che il ritorno economico spesso è molto relativo.
Chi sceglie l’affitto breve affronta un carico di costi più alto: pulizie, manutenzioni, utenze, assicurazioni, oltre alle commissioni dei portali online. Sommando tutto, il margine reale si riduce notevolmente.
Con la nuova aliquota al 26%, il prelievo fiscale sul lordo pesa ancora di più. A Firenze, ad esempio, un trilocale con ricavo medio di 2.975 euro al mese genera, tolti costi e tasse, un netto di circa 1.820 euro, secondo le stime Aigab. L’aliquota più alta comporta un aggravio mensile di quasi 150 euro, pari a oltre l’8% del reddito netto. A confronto, un affitto lungo a canone libero garantisce circa 987 euro netti, che salgono a 1.125 euro con il canone concordato e la cedolare al 10%. La forbice si è ridotta.
Città dove l’affitto lungo vince
I dati mostrano un quadro disomogeneo. L’affitto breve rimane competitivo solo nelle città a forte vocazione turistica o con alta domanda di soggiorni temporanei, come ad esempio Napoli e Firenze. Ma in gran parte d’Italia la convenienza si è ribaltata.
A Torino, Genova e Bologna, la redditività netta dell’affitto breve, già con cedolare al 21%, era inferiore a quella di un contratto lungo ordinario. L’aumento al 26% allarga il divario. A Roma, i due modelli si equivalgono: la differenza tra le due formule è di pochi euro al mese, a conferma di un mercato maturo e stabile.
Perché l’aumento della cedolare secca
Il governo rivendica la misura sugli affitti brevi come parte di una strategia più ampia. La premier Giorgia Meloni ha spiegato che l’obiettivo non è fare cassa, ma riequilibrare il mercato immobiliare e favorire le locazioni a lungo termine per le famiglie.
Di segno opposto la posizione delle associazioni di categoria. Marco Celani, presidente di Aigab teme che l’aumento della tassazione possa tradursi in un “incentivo al nero, più che un modo per favorire gli affitti lunghi”.