L’export agroalimentare italiano verso gli Stati Uniti sta rallentando bruscamente, e l’olio d’oliva è uno dei prodotti simbolo più colpiti. Un dato allarmante, se si pensa che proprio gli Usa rappresentano il primo mercato extra-europeo per il Made in Italy alimentare, con un valore complessivo che secondo Coldiretti e Filiera Italia potrebbe toccare i 9 miliardi di euro annui se si rimuovessero gli ostacoli attuali.
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Perché non si vende più olio italiano negli Stati Uniti
Aprile 2025 ha segnato un crollo verticale. Le esportazioni di olio sono passate da un +75% dell’aprile 2024 a un pesante -17% nello stesso mese di quest’anno. La colpa? In gran parte dei dazi introdotti dagli Stati Uniti, voluti dal presidente Donald Trump.
Il meccanismo è semplice e drammatico al tempo stesso: i dazi introdotti sulle merci europee – inizialmente al 20%, poi ridotti al 10% – hanno reso meno competitive le esportazioni di prodotti simbolo come vino, formaggi e, appunto, olio d’oliva.
In particolare, l’olio italiano, già in una fascia di prezzo premium, risente immediatamente dell’incremento dei costi che si trasferisce in larga parte sul consumatore finale americano, riducendo la domanda e favorendo, indirettamente, le produzioni di altri Paesi.
Non solo, il rallentamento colpisce un settore strategico per il Made in Italy, che vanta negli Stati Uniti una quota significativa di fatturato e un riconoscimento legato a qualità e tradizione.
A lanciare l’allarme è stata Coldiretti, che al Fancy Food di New York ha acceso i riflettori sulla situazione grazie a un’analisi condotta su dati Istat e Eurostat, dai cui è emerso che già nel primo mese di applicazione dei nuovi dazi – aprile 2025 – la crescita delle esportazioni agroalimentari italiane complessive negli Usa si è fermata a un misero +1,3%.
Un crollo se confrontato con il +28,7% registrato nello stesso periodo dell’anno precedente.
Il problema del falso Made in Italy complica le cose
A rendere la situazione ancora più complessa è il contesto macroeconomico. Il dollaro debole rispetto all’euro penalizza ulteriormente la competitività del Made in Italy.
Con un cambio meno favorevole, i prodotti italiani risultano ancora più cari per i consumatori americani, già messi a dura prova dall’inflazione interna.
Secondo Coldiretti, se i dazi dovessero rimanere al 10% per un periodo prolungato, i cittadini statunitensi potrebbero arrivare a spendere quasi 800 milioni di euro in più all’anno per acquistare prodotti agroalimentari europei, con un aggravio che potrebbe spingerli a preferire alternative locali o, peggio, imitazioni.
Ed è proprio questo uno dei pericoli maggiori: il fenomeno dell’Italian sounding.
Gli Stati Uniti sono il primo Paese al mondo per valore di prodotti che evocano l’italianità senza provenire dal Belpaese, un mercato di falsi Made in Italy che Coldiretti stima in oltre 40 miliardi di euro.
Si tratta di formaggi, salumi e oli d’oliva con nomi, etichette e packaging che guadagnano quote di mercato a scapito delle aziende tricolori che investono in qualità e certificazioni.
Italian Sounding | |
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🧀 Cos’è l’Italian Sounding | L’uso di nomi, immagini, colori e simboli che richiamano l’Italia per vendere all’estero prodotti non italiani |
🎭 Esempi tipici | Formaggio Parmesan Sughi Bolognese Salumi San Daniele style Brand fittizi come Giovanni’s o Roma Pizza |
🌍 Dove è più diffuso | Stati Uniti Sud America Germania Europa dell’Est Asia |
📉 Impatto economico | Ogni anno si stima una perdita fino a 120 miliardi di euro per l’agroalimentare italiano |
🧾 Differenza con la contraffazione | L’Italian Sounding non è sempre illegale: sfrutta somiglianze ma non viola direttamente i marchi registrati |
⚖️ Cosa sta facendo l’Italia | Promozione di marchi DOP/IGP Accordi commerciali Ue Campagne istituzionali |
🛡️ Come difendersi | Verificare l’origine, cercare indicazioni DOP/IGP Leggere l’etichetta Made in Italy Acquistare da canali certificati |
Coldiretti lancia l’allarme sull’Italian sounding
Come sottolinea Ettore Prandini, presidente di Coldiretti:
È importante che l’Ue trovi una soluzione diplomatica condivisa per evitare i danni delle guerre commerciali, ma è altrettanto essenziale affrontare i dazi interni che penalizzano le imprese.
L’assenza di un’intesa rischia di compromettere non solo le performance dell’agroalimentare italiano, ma anche l’intero sistema economico nazionale. Lo ribadisce il segretario generale Vincenzo Gesmundo:
I dazi Usa rischiano di avere un peso rilevante sull’economia italiana. A pagarne le conseguenze potrebbero essere tutti i cittadini.
Il rischio, dunque, è duplice:
- l’impatto immediato sui produttori italiani di olio, vino, formaggi e altri simboli del nostro agroalimentare
- la prospettiva concreta di un indebolimento strutturale della presenza del Made in Italy negli Usa.
Ne deriverebbe la perdita di quote di mercato a favore di Paesi competitor e di prodotti di bassa qualità spacciati per italiani.
Se si considera che negli ultimi anni l’export alimentare è stato uno dei pochi settori in grado di garantire crescita e occupazione anche nei momenti più difficili per l’economia nazionale, il rallentamento registrato negli Usa rappresenta un campanello d’allarme che non può essere ignorato.