Gli italiani rinunciano al ristorante, al Sud i dati peggiori

Un segnale preoccupante per l’economia dei consumi: tra inflazione, incertezze globali e salari fermi, la crisi si fa sentire soprattutto nella ristorazione e nel Mezzogiorno

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Pubblicato: 5 Giugno 2025 15:45

Dai dati diffusi dall’Osservatorio Confimprese-Jakala, nel mese di aprile 2025 i consumi complessivi in Italia segnano un calo del 4,1% rispetto ad aprile 2024, un dato che risuona ancora più pesante se si considera che il mese includeva Pasqua e numerosi ponti festivi, periodi normalmente favorevoli alla spesa.

Tra tutti i settori, in difficoltà è il mondo della ristorazione, che pur registrando un lieve +1,1% nello stesso mese di riferimento, mostra una tendenza preoccupante se inserita nel contesto dei primi quattro mesi dell’anno, dove il dato aggregato è in negativo, ovvero: -1,5% rispetto allo stesso periodo del 2024, con tendenze ancora più in negativo se si osservano le regioni del Sud.

Il calo dei consumi in Italia, quali le cause?

Secondo Mario Resca, presidente di Confimprese:

I consumi non sono mai andati così male, se non nel post Covid.

Il suo allarme è fondato: l’Italia si trova in una fase in cui le famiglie stanno rivedendo profondamente le loro priorità di spesa. Per questo motivo la ristorazione, un tempo rifugio accessibile per molte persone, sta diventando un lusso occasionale.

Alla base di questo rallentamento ci sono fattori economici internazionali e interni. Da un lato, la crescente instabilità dovuta a guerre e tensioni geopolitiche (soprattutto in Medio Oriente e Ucraina), dall’altro l’incertezza legata all’eventuale fine della sospensione dei dazi commerciali, che potrebbe avere effetti inflattivi a catena su molti prodotti importati e sulla logistica internazionale.

Negli Stati Uniti, la situazione ha già fatto sentire i primi effetti. L’aumento dei dazi ha spinto giganti come Walmart ad alzare i listini. Se questi effetti si propagano anche in Europa, è facile prevedere un’ulteriore compressione del potere d’acquisto delle famiglie italiane, che si rifletterebbe inevitabilmente sui consumi non essenziali.

Il problema, però, è anche interno e strutturale. I salari italiani, al netto dell’inflazione, sono oggi più bassi dell’8,7% rispetto al 2008, come evidenzia Resca. Una situazione paradossale se si considera che, nello stesso periodo, in Francia sono cresciuti del 25% e in Germania del 20%.

Questo significa che il potere d’acquisto delle famiglie italiane è rimasto fermo (se non diminuito), mentre i prezzi, spinti da inflazione, energia, carburanti e alimentari, continuano a salire. È in questo contesto che si spiega il calo delle uscite al ristorante, anche se limitate o a basso costo.

Le regioni al Sud messe peggio

Considerando il clima generale di incertezza, non è un caso che le persone stiano iniziando a rivedere le proprie decisioni legate al budget familiare, soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’impatto dell’inflazione, della precarietà lavorativa e della stagnazione salariale è più marcato. Uscire fuori la sera, pranzare o cenare al ristorante sono spesso delle occasioni considerate non indispensabili.

Il calo della spesa al ristorante è solo la punta dell’iceberg di un problema più ampio. Si tratta di abitudini che cambiano, al passo di una progressiva erosione del potere d’acquisto, che colpisce soprattutto le famiglie più fragili e le aree già economicamente svantaggiate del Paese, come – appunto – quelle del Sud.

La Puglia, per esempio, segna un preoccupante calo dei consumi al ristorante (-8,7%). Catanzaro è invece la provincia con il dato peggiore in assoluto, -11,7%. Un vero e proprio crollo che evidenzia quanto le famiglie qui stiano tagliando anche sui piccoli piaceri, come la cena fuori o l’aperitivo con amici.

La situazione non è migliore se si guarda il quadro generale. Nel complesso, le regioni del Sud registrano una media del -6,1% nei consumi, contro il -4,3% del Nord-Ovest e il -2,7% del Nord-Est. Questo divario geografico evidenzia una polarizzazione economica crescente, in cui il Meridione fatica a tenere il passo con il resto del Paese.

La crescita dei “mordi e fuggi” e la riduzione dello scontrino medio sono due chiari segnali: si esce meno e si spende meno. Il pasto al ristorante diventa un evento occasionale, non più una routine, e lo si sostituisce con soluzioni più economiche: il take-away, il panino al bar o semplicemente mangiare a casa.

Tutto questo lascia presagire un secondo trimestre ancora difficile per il commercio italiano. Le aspettative di ripresa sono basse, anche perché, come sottolinea l’Osservatorio:

la fiducia delle famiglie e delle imprese resta fragile.

Perché la situazione rischia di peggiorare

Il settore della ristorazione, che rappresenta anche occupazione, indotto, turismo e cultura rischia di subire una lenta contrazione, con effetti negativi sull’intero tessuto economico locale, nonostante il grande valore dell’enograstronomia italiana.

Se l’Italia vuole invertire la rotta, è il momento di agire su salari, fiducia e investimenti mirati al consumo interno. Senza una ripartenza della domanda, il rischio è che la crisi diventi cronica.