Quando l’azienda/datore di lavoro decide di rimborsare al dipendente il costo della connessione Internet, sotto forma di fringe benefit e al fine di consentire lo svolgimento del lavoro in smart working, tale rimborso spese come deve essere considerato ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente e in merito al relativo regime di deducibilità ai fini del reddito d’impresa?
A questa domanda ha risposto l’Agenzia delle Entrate, con l’istanza di interpello n. 371/2021, presentata da una società di professionista interessata ad avviare i propri dipendenti al lavoro da remoto.
Vediamo nello specifico come funziona il rimborso spese della connessione Internet per i lavoratori in smart working e quali sono le indicazioni date dall’Amministrazione finanziaria.
Smart working, il rimborso del canone Internet rappresenta reddito di lavoro?
Come specificato dall’AE, quando si parla di redditi di lavoro dipendente (di cui all’articolo 49 del TUIR) si deve tenere conto del principio di onnicomprensività (art. 51 TUIR), secondo il quale: “tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro costituiscono reddito imponibile per il dipendente”.
In generale, quindi, anche le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso spese costituiscono, per quest’ultimo, reddito di lavoro dipendente, salvo quanto previsto, per le trasferte e i trasferimenti. Il rimborso spese per il canone Internet, riconosciuto sotto forma di fringe benefit, va dunque considerato reddito di lavoro e, di conseguenza, deducibile.
Smart working, i rimborsi spese esentasse
In relazione alla rilevanza reddituale dei rimborsi spese, l’Agenzia delle Entrate (recentemente espressasi anche in tema di omaggi aziendali ai dipendenti) nel rispondere all’interpello – ha ripreso quanto riportato nella circolare n. 326/1997 del Ministero delle Finanze, secondo cui possono considerarsi esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano “spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro e anticipate dal dipendente per snellezza operativa”.
In questa categoria, per esempio, rientra l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice etc.
In relazione al rimborso spese riconosciuto dall’azienda al lavoratore in smart working (scopri qui la differenza con il telelavoro), quando al dipendente vengono rimborsate tutte le spese sostenute per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione dati internet, il costo totale non si considera come investimento fatto a “esclusivo interesse del datore di lavoro”. Inoltre, la relazione tra l’utilizzo della connessione internet e l’interesse del datore di lavoro non sussiste quando il contratto relativo al traffico dati e l’offerta non sono scelti dall’azienda che, invece, si limita a rimborsarne i costi e così rimane estranea al rapporto negoziale instaurato con il gestore.
In un caso come quello portato all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, in presenza di un rimborso spese accordato al dipendente in smart working (scopri qui come funziona dal primo aprile 2024) per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione Internet (attraverso un device mobile oppure un impianto fisso domiciliare), tale fringe benefit – di fatto – risulta sostenuto per soddisfare un’esigenza del dipendente, legata appunto alle modalità di prestazione dell’attività in lavoro agile, che concorre ad assicurare la rispondenza della retribuzione alle esigenze del lavoratore.