Telelavoro e smart working: che differenza c’è?

Dal telelavoro allo smart working, di cosa si tratta e che differenze ci sono tra teleworkers e smart workers

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 21 Gennaio 2017 20:13Aggiornato: 13 Maggio 2024 13:02

Telelavoro e smart working non sono la stessa cosa: tra queste due tipologie di lavoro ci sono alcune differenze, o meglio, l’uno deriva direttamente dell’altro, sviluppandosi e diventando sempre più adottato dalle grandi aziende, per risparmiare sui costi e aumentare la produttività.

Considerando la diffusione che il lavoro a distanza sta avendo in questi anni, vediamo insieme come distinguerli e come fare chiarezza, una volta per tutte.

Che cos’è il telelavoro

Per telelavoro, come fa intuire la parola stessa, si intende un’attività che si svolge a distanza rispetto alla sede centrale della propria azienda o all’ufficio del proprio datore di lavoro. Diffusosi negli anni ’70 del secolo scorso grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche, i teleworkers lavoravano per lo più da casa o in un luogo specifico, non coincidente con gli spazi tipicamente aziendali.

Il telelavoro deve seguire regole precise, come l’obbligo da parte del datore di eseguire ispezioni per assicurarsi regolarità nello svolgimento del lavoro, un adeguato isolamento dell’attività lavorativa da quella quotidiana e il rispetto delle normative in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro.

Inoltre, il datore di lavoro deve occuparsi della compensazione o copertura dei costi, deve servirsi di misure idonee a tutelare i dati utilizzati a fini professionali, dandone piena informazione al telelavoratore, ma anche rispettare il suo diritto alla riservatezza.

In materia molto importante è l’accordo interconfederale del 9 giugno 2004, ma anche i singoli Ccnl disciplinano a riguardo.

Come per lo smart working, il lavoro si svolte a distanza e dunque non presso gli ambienti aziendali, attraverso una connessione web e strumenti informatici quali smartphone, tablet e pc fissi o portatili. E come lo smart working, anche il telelavoro prevede uguale trattamento normativo per chi lavora a distanza, rispetto ai colleghi ‘in presenza’.

Peculiarità del telelavoro è che segue orari piuttosto rigidi, tendenzialmente quelli applicati al personale presente fisicamente in azienda ma anche la regola per cui la postazione di lavoro, differente da quella tipica dell’ufficio, deve essere predeterminata e fissa. Perciò pur lavorando a distanza, il teleworker avrà – almeno sulla carta – un limitato margine di libertà nello svolgimento della prestazione lavorativa.

Cos’è lo smart working

In qualche modo considerabile una sorta di evoluzione del più tradizionale telelavoro, lo smart working, a sua volta, segue alcuni punti essenziali: per esempio uguale trattamento economico rispetto agli “insiders” – ossia i lavoratori in ufficio – e obbligo di informazione su rischio infortuni e malattie professionali con copertura Inail.

Non a caso è previsto l’obbligo, per il datore di lavoro, di presentazione dell’informativa scritta in cui sono individuati i rischi generali e i rischi specifici legati alla specifica modalità di esecuzione del rapporto di lavoro in oggetto.

Tipicamente nello smart working l’organizzazione dell’attività di lavoro si compie per fasi, cicli ed obiettivi ed è stabilità con un accordo individuale (in un altro nostro articolo gli aggiornamenti in materia) tra lavoratore subordinato e azienda. Su un accordo ad hoc, liberamente individuabile dalle parti oppure no, si regge anche il telelavoro.

La parola anglosassone ‘smart’ si lega strettamente all’obiettivo di questa modalità di lavoro: rendere migliore la produttività del dipendente, in virtù della conciliazione tra tempi di lavoro e di vita privata. Nello smart working il dipendente ha orari flessibili e non è vincolato ad una sola postazione predeterminata.

Egli infatti può lavorare nel luogo che desidera, ad es. un parco, una biblioteca oppure l’abitazione usata per la villeggiatura nei mesi estivi: non c’è alcuna differenza e ciò che sarà determinante saranno i risultati conseguiti. Ciò però non toglie che il datore di lavoro possa esercitare il potere di controllo sulla prestazione resa dal dipendente.

Fonte di riferimento normativo per questa tipologia di lavoro subordinato a distanza è la legge n. 81 del 2017.

Le 3 differenze chiave tra telelavoro e smart working

Sopra abbiamo visto gli aspetti tipici di telelavoro e smart working, accennando ad assonanze e differenze. Sintetizziamo di seguito quali sono queste ultime:

  • nello smart working non è più obbligatorio legarsi a un luogo fisico fisso, in cui lavorare. La propria abitazione, una sede distaccata vanno benissimo, ma anche un ristorante, un pub o un parco o  in qualunque luogo si possa portare un computer o uno smartphone e sia presente una connessione Wi-Fi
  • l’orario è autodeterminato dallo smart worker, in quanto l’importante è raggiungere l’obiettivo prefissato e il monte ore è gestito dal lavoratore stesso
  • cambia la fonte normativa di riferimento, in quanto per lo smart working è la legge n. 81 del 2017, mentre per il telelavoro è l’accordo interconfederale del 9 giugno 2004.

Conclusioni

Nonostante alcune critiche rivolte alle aziende in merito alla volontà di ridurre i costi dei luoghi fisici, sfruttando maggiormente il dipendente a distanza – sembra che in media gli smart workers tendano a lavorare più ore rispetto ai colleghi in sede. Ma in realtà per il dipendente ‘a distanza’ ci sono non pochi vantaggi. Ad esempio non deve preoccuparsi dei costi di spostamento in macchina, autobus o treno, e guadagna benessere in termini di maggiore equilibrio tra vita quotidiana e lavoro.

Ne parlammo già nel 2017: secondo alcune ricerche condotte all’epoca dall’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, più del 50% delle grandi aziende che hanno adottato il “lavoro agile” hanno verificato un aumento della produttività del 5-6%. Inoltre, secondo Osservatori.net nel 2017 erano già circa 250.000 i lavoratori smart, il 7% degli impiegati italiani.

Secondo invece dati più recenti, provenienti dallo stesso noto sito web, si può stimare l’aumento di produttività per un lavoratore, derivante dall’adozione di un modello “maturo” di smart working, come compreso tra il 15 e il 20%. Scopri qui quali sono, invece, le caratteristiche del cd. coworking.