Telelavoro e smart working: che differenza c’è?

Dal telelavoro allo smart working: di cosa si tratta e che differenze ci sono tra teleworkers e smart workers

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Redazione

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Telelavoro e smart working non sono la stessa cosa: tra queste due tipologie di lavoro ci sono alcune differenze, o meglio, l’uno deriva direttamente dell’altro, sviluppandosi e diventando sempre più adottato dalle grandi aziende, per risparmiare sui costi e aumentare la produttività.

Che cosa sono il telelavoro e lo smart working?

Per telelavoro, come dice la parola, si intende un lavoro che si svolge a distanza rispetto alla sede centrale: diffusosi negli anni ’70 grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche, i teleworkers lavoravano per lo più da casa o in un luogo specifico decentrato. Con l’Accordo Quadro del 2004, il telelavoro deve seguire normative precise, come l’obbligo da parte del datore di eseguire ispezioni per assicurarsi regolarità nello svolgimento del lavoro, un adeguato isolamento dell’attività lavorativa da quella quotidiana e sicurezza, per il dipendente e per le apparecchiature tecnologiche utilizzate. Per quanto riguarda l’orario, il riposo è obbligatorio per 11 ore consecutive ogni 24 con astensione lavorativa dalla mezzanotte alle 5.

Lo smart working, a sua volta, segue alcuni punti essenziali: per esempio uguale trattamento economico rispetto agli “insiders” e obbligo di informazione su rischio infortuni e malattie professionali con copertura Inail. Ma ecco l’aspetto più evidente che segna il distacco con il  telelavoro: non è più obbligatorio legarsi a un luogo fisico fisso in cui lavorare: la propria abitazione, una sede distaccata vanno benissimo, ma anche un ristorante, un pub o un parco o  in qualunque luogo si possa portare un computer o uno smartphone – andando sempre di più verso il concetto di Byod – e sia presente una connessione Wi-Fi.

L’orario è autodeterminato: l’importante è raggiungere l’obiettivo prefissato e il monte ore è gestito dallo smart workers. Secondo il disegno di legge approvato il 28 gennaio 2016, lo smart working viene concepito come una modalità di prestazione decisa in accordo con datore e dipendente e regolata da un contratto scritto, con diritto di recessione dietro preavviso di 30 giorni.

Nonostante alcune critiche rivolte verso le aziende in merito alla volontà di ridurre i costi dei luoghi fisici sfruttando maggiormente il dipendente a distanza – sembra infatti che in media gli smart workers tendano a lavorare più ore rispetto ai colleghi in sede – in realtà anche per il dipendente ci sono molti vantaggi: ad esempio non deve preoccuparsi dei costi di spostamento e guadagna benessere in termini di maggiore equilibrio tra vita quotidiana e lavoro.

Gli studiano danno ragione al disegno di legge: secondo alcune ricerche condotte dall’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, più del 50% delle grandi aziende hanno adottato il “lavoro agile” con un aumento della produttività del 5-6%. Inoltre, secondo Osservatori.net sono già 250.000 i lavoratori smart, il 7% degli impiegati italiani. L’identikit medio? Uomo, 41 anni e del Nord Italia.