I buoni pasto sono compatibili con lo smart working?

Lavoro a distanza e diritto ai cd. ticket restaurant, le regole di riferimento per orientarsi

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Il lavoro in modalità smart ha avuto grande diffusione in Italia durante il periodo della pandemia e anche oggi le aziende e datori di lavoro, ove possibile, agevolano lo svolgimento delle mansioni a distanza. Nel 2024 si stima saranno più di 3,6 milioni gli smart worker nel nostro paese: questo il dato incluso nella ricerca condotta dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.

Detti lavoratori eseguono le prestazioni dalla loro abitazione o da altre località, attraverso un pc, uno smartphone e una connessione internet, sulla scorta di quanto disposto dagli accordi contrattuali e in base alle rispettive tempistiche e fasce di applicabilità alle singole categorie.

Cosa sono i buoni pasto in breve?

buoni pasto altro non sono che un beneficio a favore dei lavoratori subordinati pubblici o privati. Con essi, i dipendenti possono contare su un ticket restaurant o voucher in alternativa al servizio di mensa aziendale. Titoli di pagamento in forma cartacea, elettronica o digitale, rientrano nell’articolata categoria dei fringe benefit, sono messi a disposizione del personale e servono a coprire i costi della pausa pranzo.

Il datore di lavoro o l’azienda si fa carico dei costi associati, di fatto acquistando i buoni pasto e fornendoli al personale come beneficio aggiuntivo e parte integrante del pacchetto retributivo. In altre parole, il datore di lavoro conferisce ai dipendenti una certa quantità di buoni pasto al mese, il cui valore è fissato dall’accordo tra lo stesso datore e la società emittente dei voucher.

I buoni pasto, oggi anche digitali, possono essere sfruttati in più esercizi convenzionati, ovvero bar, ristoranti, negozi e supermercati, per comprare alimenti e bevande. Ecco perché tali voucher hanno anche il merito di favorire l’economia locale. Non possono essere ceduti a terzi, né essere convertiti in denaro e, inoltre, non sono commercializzabili e possono essere spesi soltanto dal titolare, a cui peraltro è fatto divieto di cumulo.

Dal lato fiscale, sono sottoposti ad una tassazione Irpef in capo al lavoratore dipendente che li percepisce, ma sussiste una franchigia (con esclusione dal reddito imponibile).

Buoni pasto e tipologie di rapporti di lavoro

I buoni pasto sono obbligatori per il datore di lavoro o azienda? In linea generale non c’è alcun dovere di erogarli, salva diversa indicazione nel contratto collettivo di categoria. D’altronde si tratta pur sempre di fringe benefit che, per loro natura, non debbono ritenersi in ogni caso dovuti al personale.

In particolare, con la risposta all’interpello 9562631/2020 le Entrate ricordano che all’art. 4, comma 1 lettera c), del decreto ministeriale n. 122 del 2017 (Regolamento recante disposizioni in materia di servizi sostitutivi di mensa), si è stabilito che i buoni pasto siano assegnabili a tutti i lavoratori subordinati, sia a tempo pieno che part time (anche nel caso in cui l’orario di lavoro non includa una pausa pranzo).

Ciò in quanto, ricorda l’Agenzia delle Entrate, si tratta di una previsione che considera la circostanza per cui il mondo del lavoro è oggi sempre più caratterizzato da forme di lavoro flessibili. La legge non a caso non vieta l’attribuzione di buoni pasto anche a coloro i quali hanno instaurato un rapporto di collaborazione, non necessariamente subordinato, con il soggetto che eroga i buoni pasto.

In altre parole, in base alla legge l’assegnazione dei buoni pasto è slegata dalle concrete modalità di svolgimento dell’attività di lavoro e dall’articolazione dell’orario di lavoro. Lo ha segnalato anche l’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 132 del 2021. Ai fini dell’attribuzione dei voucher, non rileva perciò che il dipendente abbia un contratto che non disponga la pausa pranzo. Infatti, i buoni pasto possono essere erogati anche ai lavoratori per i quali non è prevista la pausa pranzo e possono essere spesi anche al di fuori di questo momento.

I buoni pasto spettano ai dipendenti in telelavoro?

Analogamente, non ha rilievo la modalità in presenza o da remoto della prestazione di lavoro. Ne consegue che tra i potenziali beneficiari dei buoni pasto rientrano anche gli smart worker e, anzi, attribuirli anche a questi ultimi consentirà al datore di lavoro di rispettare il principio di parità di trattamento economico e normativo tra i lavoratori del settore privato in smart working e i lavoratori che eseguono le stesse mansioni all’interno dell’azienda (così come previsto dall’art. 20 della legge n. 81/2017).

Con l’incremento del lavoro da remoto, molti datori hanno allargato l’uso dei buoni pasto anche ai dipendenti in smart working, assicurando loro la stessa convenienza nel gestire i pasti anche non lavorando ‘in presenza’.

Al momento non c’è una regolamentazione specifica che obblighi enti pubblici o aziende a fornire buoni pasto ai dipendenti che effettuano le mansioni a distanza. In altre parole, l’estensione dei ticket restaurant ai dipendenti che lavorano da remoto può essere stabilita tramite accordi collettivi e sindacali, contratti o regolamenti aziendali. Ecco perché la situazione è diversa in base allo specifico luogo di lavoro e, se non espressamente evidenziato nel Ccnl di riferimento, i diritti dei dipendenti in telelavoro si equiparano a quelli dei lavoratori in presenza.

Smart working e buoni pasto: il caso del pubblico impiego

Dato che l’accordo individuale tra il dipendente e il datore è essenziale per fissare i periodi in cui è possibile lavorare da remoto, proprio le condizioni di contrattazione saranno utili a capire se – e in quali casi – i lavoratori avranno diritto ai buoni pasto.

Il diritto ad incassare i buoni pasto per i dipendenti in telelavoro non è automatico per la sola condizione di subordinazione, ma piuttosto è legato a quanto indicato nel Ccnl di categoria e nei contratti aziendali e individuali. Di primario riferimento non potrà che essere l’accordo per lavorare in modalità ‘da remoto’. E la discrezionalità nell’attribuzione di questo benefit non si contrappone al principio fissato dalla legge in tema di smart working, per cui il trattamento economico dei lavoratori ‘da remoto’ non può essere peggiore di quello dei dipendenti che lavorano ‘in presenza’.

In linea generale, nel caso in cui nella contrattazione collettiva di riferimento e nell’accordo aziendale o individuale di lavoro in smart working non vi siano disposizioni ad hoc in tema di buoni pasto, il datore di lavoro non sarà comunque obbligato a erogarli.

Per quanto attiene ai dipendenti pubblici, che peraltro oggi possono giovarsi degli aumenti legati al rinnovo del contratto, rileva la nota di orientamento applicativo dello scorso anno, emanata dall’ARAN – l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni. In sintesi, i lavoratori pubblici che lavorano secondo un regime di lavoro agile non possono incassare i buoni pasto, in quanto detto lavoro agile, per definizione, è una modalità che – pur essendo di tipo subordinato – non prevede alcun vincolo di orario o luogo (ma forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi), e pertanto non è compatibile con il riconoscimento dei ticket in oggetto.

Tuttavia, l’ARAN ricorda anche che i buoni pasto sono concessi in caso di lavoro da remoto, il quale è invece caratterizzato dalle limitazioni di orario che si avrebbero in ufficio. In ogni caso, come ha specificato il tribunale di Roma nella sentenza n. 725 del 2023, anche nel pubblico impiego il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono.

Tassazione buoni pasto lavoratori in smart working: regole e limiti

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che i buoni pasto godono dell’esenzione Irpef, anche se attribuiti ai lavoratori in smart working.

Oggi la normativa fiscale non definisce compiutamente le prestazioni sostitutive di mensa aziendale. Tuttavia, all’art. 51, comma 3, lettera c) del Tuir viene specificato che i buoni pasto entro i limiti di 4 euro (che aumentano ad 8 euro per quelli elettronici) non concorrono alla formazione del reddito del lavoratore subordinato. Inoltre, la legge, lo ribadiamo, non dispone alcuna limitazione al versamento dei buoni pasto da parte dell’azienda.

I voucher per i lavoratori subordinati non concorrono alla formazione di reddito imponibile e lo stesso si applica altresì ai lavoratori in smart working, in quanto questo tipo di agevolazioni fiscali devono essere riconosciute al di là del luogo dove il lavoratore svolge la propria attività, a condizione che sia – appunto – un dipendente regolarmente assunto. Recentemente anche la DRE (Direzione Regionale delle Entrate) del Lazio ha manifestato lo stesso orientamento.

Concludendo, per l’Agenzia delle Entrate ai lavoratori ‘da remoto’ il datore di lavoro non deve applicare la ritenuta d’acconto ai fini Irpef, in quanto dette somme non concorrono alla formazione del reddito imponibile del dipendente e sono totalmente deducibili per chi li eroga. Attenzione però, perché se i ticket sono riconosciuti anche ai lavoratori non ‘in presenza’, il datore di lavoro o l’azienda, proprio come per i lavoratori ‘in presenza’, non dovrà applicare la ritenuta Irpef sul valore degli stessi entro ai limiti previsti.