Il Collegato lavoro 2025 accorpa una serie di modifiche normative di grande interesse per aziende e dipendenti. Introdotto con la legge n. 203/2024 ed entrato in vigore il 12 gennaio scorso, il testo include disposizioni trasversali in materia di rapporti di lavoro, promozione della salute e della sicurezza negli ambienti professionali, ammortizzatori sociali e formazione.
Lo ricorda il sito web ufficiale del Dipartimento per il programma di Governo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e, ora, grazie alla circolare n. 6 del Ministero del Lavoro – pubblicata pochi giorni fa – tutti gli interessati possono fare riferimento a utili chiarimenti sui principali interventi attuati con il Collegato lavoro. Nella circolare compaiono anche alcune indicazioni operative.
Di seguito ci soffermeremo in particolare sul periodo di prova, un argomento che alimenta spesso dubbi e interrogativi da parte dei lavoratori e degli stessi datori. Vediamo insieme quali sono le ultime novità a seguito del Collegato lavoro e cosa cambia per chi intende avvalersi di questo istituto previsto dalla legge e dai contratti collettivi.
Indice
Proporzionalità della durata del periodo di prova
Il Collegato lavoro integra anche le regole relative al periodo di prova, disciplinato dall’art. 2096 del Codice Civile, definito come un lasso di tempo mirato a consentire al datore e al dipendente di valutare se ci sono le condizioni per un proficuo rapporto.
I chiarimenti ministeriali in materia attengono all’art. 13 del Collegato lavoro e spiegano – infatti – che la disposizione integra l’art. 7 comma 2 del d. lgs. n. 104 del 2022, dando più efficace attuazione – sul punto – alla direttiva dell’Unione Europea 2019/1152 avente ad oggetto la trasparenza e la prevedibilità delle condizioni occupazionali. Il Ministero del Lavoro ricorda che:
gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che la durata del periodo di prova nel rapporto di lavoro a tempo determinato sia proporzionata alla durata del contratto.
Numero di giorni previsti e destinatari delle novità
In particolare il menzionato art. 7 oggi non attiene più soltanto alla proporzionalità rispetto alla durata del contratto a tempo determinato e alle mansioni da svolgere in rapporto alla durata del lavoro, ma – alla luce del Collegato lavoro – è oggi definito nei termini seguenti:
- fatte salvo le disposizioni più favorevoli apposte dalla contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a cominciare dalla data di inizio del rapporto professionale;
- in ogni caso la durata del periodo di prova non può essere più bassa di 2 giorni né più alta di:
- 15 giorni, per i rapporti d’impiego aventi durata non superiore a un semestre;
- 30 giorni, per quelli aventi durata superiore a 6 mesi e inferiore a un anno.
Queste novità mirano a esigenze di certezza, spiega la circolare n. 6 del 27 marzo scorso, e il Ministero fa notare anche che questa integrazione al d. lgs. 104/2022 di attuazione della direttiva 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 2019, trova applicazione per i contratti professionali instaurati a far data dall’entrata in vigore della legge in esame, cioè a partire dal 12 gennaio di quest’anno.
Divieto di deroga con Ccnl
I citati limiti massimi, differenziati nel modo appena visto, non possono essere derogati neppure dalla contrattazione collettiva, come definita dall’art. 51 del decreto legislativo n. 81/2015, considerato che:
l’autonomia contrattuale non può – per principio generale – introdurre una disciplina peggiorativa rispetto a quella legale.
Cosa succede nei contratti a termine più lunghi di 12 mesi
Nell’ipotesi di contratti di lavoro a termine di durata maggiore di un anno, fatte salve le più favorevoli previsioni del contratto collettivo, il periodo di prova sarà quantificato moltiplicando un giorno di effettiva prestazione per ogni 14 giorni di calendario, anche oltre la durata massima di 30 giorni, fissata per contratti a termine di durata inferiore a un anno.
Inoltre la circolare ministeriale sottolinea che:
Il legislatore, nell’ammettere eventuali previsioni più favorevoli contenute nei contratti collettivi, non individua esplicitamente il livello della contrattazione richiesto. In proposito, si ritiene che si debba aver riguardo al contratto collettivo applicato dal datore di lavoro.
Principio del favor praestatoris
Per quanto riguarda i criteri in base ai quali valutare quali disposizioni contrattuali siano più favorevoli rispetto
alla previsione normativa, il Ministero nella circolare ricorda che generalmente – in applicazione del principio del favor praestatoris, per il quale in ambito lavoristico è da preferire l’interpretazione che accorda una maggiore tutela al dipendente – è considerata più favorevole per il lavoratore una minore estensione del periodo di prova, a
causa della precarietà che lo stesso implica per il lavoratore subordinato.
E ciò, a maggior ragione, si comprende alla luce del maggior rischio di povertà per i lavoratori con contratto a tempo determinato.
Periodo di prova, funzione e finalità
Sopra abbiamo parlato delle ultime novità sul periodo di prova e, proprio per questo, cogliamo in conclusione l’occasione per ricordare alcuni suoi aspetti chiave. Quando si firma un contratto di lavoro, è possibile che tra le clausole sia presente quella che fissa un periodo di prova iniziale, in cui entrambe le parti hanno l’opportunità di verificare se il ruolo e l’ambiente lavorativo corrispondano alle rispettive aspettative.
Un periodo di prova senza contratto firmato vìola la legge, perché richiede sempre – invece – la forma scritta e la firma da parte del datore di lavoro e del lavoratore in prova. In mancanza, il rapporto è da ritenersi stabile, con le conseguenti tutele per il dipendente. Inoltre, la clausola deve sempre specificare la descrizione del ruolo e delle mansioni da svolgere, oltre a comportare una retribuzione.
Infine, per ulteriori dettagli, rinviamo alla nostra guida sul periodo di prova.