Azienda La Perla, il tribunale dichiara lo stato di insolvenza: fallimento a un passo

Il tribunale di Bologna ha dichiarato lo stato di insolvenza de La Perla Manufacturing Srl, l'azienda bolognese della lingerie di lusso

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Il tribunale di Bologna ha ufficialmente dichiarato lo stato di insolvenza per La Perla Manufacturing Srl, l’azienda bolognese specializzata nella produzione di lingerie di lusso. Il giudice delegato responsabile è Maurizio Atzori, mentre gli avvocati Francesco Paolo Bello, Francesca Pace e Gianluca Giorgi sono stati nominati commissari giudiziali e sono ora responsabili della gestione dell’impresa.

Questa decisione segna l’inizio della fase di osservazione, durante la quale verrà valutata la situazione finanziaria dell’azienda. Al termine di questa fase, si prenderà una decisione cruciale riguardo all’apertura dell’amministrazione straordinaria o alla liquidazione giudiziale. La sentenza che ha dichiarato lo stato di insolvenza è stata emessa oggi durante una Camera di consiglio, e ciò avviene pochi giorni dopo l’avvio della procedura di liquidazione giudiziale per La Perla Global Management Uk.

La decisione del tribunale

Recentemente, il Tribunale di Bologna ha preso la decisione di avviare la procedura di liquidazione giudiziale per La Perla Global Management Uk Limited. Questa società, con sede a Londra, è proprietaria del marchio e detiene tutti gli asset di La Perla a livello mondiale, nonostante la maggior parte dei dipendenti si trovi a Bologna. La scelta di dichiarare la liquidazione giudiziale è seguita al sequestro della società avvenuto il 12 gennaio, precedentemente il marchio era stato oggetto di sequestro a dicembre.

La liquidazione giudiziale, secondo le nuove disposizioni del codice della crisi, ha sostituito la procedura di fallimento. Attualmente, la società è coinvolta in una procedura di liquidazione anche nel Regno Unito. Al fine di prevenire la vendita degli asset, il Tribunale ha optato per il sequestro il 12 gennaio.

I dipendenti de La Perla

La situazione attuale presenta una novità senza precedenti: l’effetto della Brexit ha ostacolato l’applicazione delle regole transfrontaliere, nel mentre in Italia è entrato in vigore il nuovo codice della crisi. I sindacati, nei giorni scorsi, hanno sottolineato che la procedura attuale non segna il “capolinea” per La Perla, poiché tale provvedimento non preclude la possibilità di estendere successivamente l’amministrazione straordinaria anche a La Perla Management Uk. Questa estensione, però, sarà possibile solo dopo che La Perla Manufacturing sarà ammessa all’amministrazione straordinaria.

Il 19 gennaio, i sindacati e i loro rappresentanti avevano richiesto l’avvio della procedura di amministrazione straordinaria. Tuttavia, i requisiti necessari non erano ancora soddisfatti, in quanto, tra le altre cose, l’azienda contava meno di 200 dipendenti. La controllata bolognese, La Perla Manufacturing, che rispetta questo requisito, non aveva ancora ricevuto un pronunciamento dal Tribunale in proposito. La complessità della situazione è accentuata dalla combinazione di fattori legati alla Brexit e alle recenti modifiche normative in Italia.

Sulla situazione de La Perla è intervenuto anche il sindaco di Bologna Matteo Lepore, che ha detto: “Il marchio de La Perla è stato riconosciuto come un patrimonio importante da salvaguardare anche a livello legale e giudiziario. Io credo che questo aspetto il governo lo debba valutare, il governo del Made in Italy non può far andare La Perla in malora”.

La storia dell’azienda e i dati

La Perla sta per compiere 70 anni quest’anno, ma il raggiungimento di questo traguardo dipende dalla possibilità di essere sottoposta a un regime di amministrazione straordinaria. Nel corso degli ultimi 17 anni, l’azienda ha attraversato una serie di cambiamenti, passando da un fondo all’altro, con fatturati e organici che sono scesi dai 250 milioni di euro e 1.500 dipendenti all’inizio del millennio a poche decine di milioni e 500 dipendenti. Dallo scorso ottobre, di questi 500 dipendenti (di cui 300 in Italia), molti non hanno ricevuto uno stipendio.

Durante questi 17 anni, La Perla non è mai riuscita a presentare un bilancio in utile. La speranza di riportare l’azienda su una strada più stabile e sostenibile risiede nella possibilità di essere ammessa all’amministrazione straordinaria, un passo che potrebbe rappresentare un’opportunità cruciale per affrontare le sfide finanziarie e operare cambiamenti significativi per il futuro dell’azienda.

I problemi dell’azienda sono iniziati nel 2006, quando la famiglia Masotti, proprietaria dell’azienda, decide di aprire il capitale a partner esterni per iniettare soldi all’interno del gruppo, gravato da perdite pari a 23 milioni. Solo nel 2004 Alberto Masotti riceve l’Oscar della moda; è l’apice del successo, ma la formula magica con la globalizzazione della domanda e dei mercati si inceppa. Il giro d’affari tracolla velocemente dai 210 milioni del 2005 (con risultati negativi per 25 milioni), ai 186 milioni del 2006 (23 milioni di perdite).

L’entrata degli stranieri e i libri in tribunale

Nel 2007, la famiglia Masotti, proprietaria dell’azienda, gravata da un debito di 70 milioni di euro, prende la decisione significativa cedendo inizialmente il 70% del capitale e successivamente l’intera partecipazione a JH Partners. Quest’ultima è una società con sede a San Francisco specializzata negli investimenti nelle piccole e medie imprese del settore consumer. La serietà di JH Partners è stata avvalorata dalla partecipazione di istituzioni di prestigio come le università di Yale, Harvard, Princeton, Stanford e MIT.

I primi cinque anni di gestione statunitense si rivelano problematici sia dal punto di vista operativo che finanziario per La Perla, nonostante la struttura produttiva rimanga intatta. Nel 2013, con i suoi 1.500 dipendenti, di cui circa la metà in Italia, l’azienda decide di presentare istanza di concordato preventivo, rappresentando un momento difficile nella sua storia finanziaria. L’istanza è sostenuta da un assegno di 69 milioni di euro firmato da Silvio Scaglia, patron di Fasweb, attraverso il suo fondo lussemburghese Pacific Global Management, insieme alla sua agenzia internazionale di modelle Elite. In aggiunta, viene promessa un’ulteriore iniezione di capitale, ammontante a 120 milioni di euro, per supportare lo sviluppo commerciale attraverso l’apertura di nuove boutique in Asia.

La rete dei monomarca La Perla si estende a oltre 200 unità, spaziando da Via Montenapoleone a Milano fino a Rodeo Drive a Los Angeles e Aoyama a Tokyo. Importanti stilisti come Pedro Lourenço e Julia Haart assumono la direzione artistica, portando con sé nuove prospettive creative. Durante questo periodo, viene lanciata la prima linea di prêt-à-porter, affiancata dall’atelier su misura e dalle divisioni consolidate di lingerie, underwear, nightwear e beachwear. Il fatturato dell’azienda registra una ripresa, raggiungendo i 150 milioni di euro.

Tuttavia, nonostante i successi, il traguardo del breakeven fissato a 200 milioni di euro da Marco Patuano, l’ingegnere proveniente da Fastweb che ha guidato l’azienda in questa fase, sembra irraggiungibile. Nonostante gli sforzi e l’iniezione di oltre 300 milioni di euro (alcuni stimano anche 350 milioni) di finanza propria da parte di Scaglia, l’imprenditore italiano, anche lui alla guida di La Perla, è costretto a cedere e a rinunciare al suo obiettivo finanziario.

L’arrivo di Windhorst

Nel 2017, iniziano le trattative con il gruppo cinese Fosun International, già proprietario del Club Med. Fosun International prende 30 giorni di esclusiva per condurre una due diligence con l’intento di acquisire una quota di controllo di La Perla. Tuttavia, a sorpresa, i cinesi decidono di ritirarsi e è la holding anglo-olandese Sapinda, guidata da Lars Windhorst, a rilevare l’intera azienda. Il 2017 si conclude con perdite di 100 milioni di euro per La Perla.

Il declino dell’azienda si fa inevitabile, e si intensifica con tavoli di crisi al ministero del Lavoro, mirati alla riorganizzazione e ai tagli di organico. La situazione peggiora ulteriormente con l’arrivo della pandemia di Covid-19 e il crollo dei conti: il 2018 si chiude con una perdita di 60 milioni di euro, su un fatturato di circa 100 milioni, mentre il 2019, in piena emergenza sanitaria, registra perdite di 89 milioni di euro su un fatturato di 86 milioni.

Il nome di Windhorst finisce nella bufera per altri scaldali legati a emissioni obbligazionarie e conferma l’inaffidabilità del personaggio, che in Italia tampona via via le situazioni emergenziali senza mai presentare un piano industriale e senza farsi più vedere. Fino al triste epilogo di questi giorni.